Un giornalista e il ministro degli interni
inventano i Musulmani Buoni
 

di Miguel Martinez




 

Probabilmente vi sarà capitato di incrociare i tavoli di una comunità di recupero per tossicodipendenti, dove giovanotti particolarmente aggressivi vi chiedono una "firma contro la droga". Chi non firma (e poi non fa un'offerta in soldi), è sottinteso, è un simpatizzante della morte per overdose.

Un discorso analogo vale per il manifesto dei "musulmani moderati" – o come li ha chiamati qualcuno, i musulbuoni - contro il "terrorismo", pubblicato sul Corriere della Sera il 2 settembre 2004, sotto il titolo “Isoliamo i fanatici per un Paese più giusto e più sicuro”.

Nella stessa giornata, e sullo stesso giornale, il ministro degli interni Giuseppe Pisanu ha commentato con grande favore l’appello:

“Sento pertanto il dovere di ringraziare le musulmane e i musulmani che l’hanno redatto e sottoscritto e, per quanto più direttamente mi riguarda, voglio ribadire qui gli impegni che ho assunto per la consulta islamica, lo sviluppo del dialogo interreligioso e l’integrazione sociale degli immigrati”

Belle parole, certamente. Il problema è che si tratta dello stesso ministro Pisanu che da mesi si rifiuta di rispondere alle domande che i musulmani (e/o le musulmane, per restare nel circuito del linguaggio politicamente corretto) gli pongono a proposito di questa misteriosa “consulta” che il ministero degli interni vorrebbe creare per controllare l’islam in Italia.

Il giornale che ospita con tanto rilievo il manifesto è lo stesso che può vantarsi di aver inventato Oriana Fallaci, almeno nella sua nuova versione xenofoba. È lo stesso giornale che da circa un anno pubblica storie degne di Cronaca Vera su inesistenti reti di “terroristi islamici” in Italia.

Non solo. Basta un breve giro di telefonate per confermare un’ipotesi che nasce in base allo stile del testo. L’autore dell’appello sembra che sia proprio il vicedirettore del Corriere della Sera, Magdi Allam, che però preferisce non comparire tra i firmatari.

Ricapitoliamo. Magdi Allam scrive un appello. Lo fa firmare ai suoi amici. Lo fa leggere e commentare al ministro degli interni. Poi corre a cambiarsi, si riveste da giornalista e lancia l’insieme di appello e di commento come se fosse una notizia.

Ha fatto tutto lui, insomma. Non è certo la prima volta: i metodi creativi che usa Magdi Allam gli hanno guadagnato il nomignolo di “Pinocchio d’Egitto”, coniato nientemeno che dal maggior scrittore di fantascienza italiano, Valerio Evangelisti.

 

Una vistosa assenza

Come i lettori sapranno, non esiste un’organizzazione unica dei musulmani italiani. Una sola struttura è presente nella maggior parte del paese e raccoglie la maggioranza delle moschee: l’UCOII, Unione delle Comunità e Organizzazioni Islamiche in Italia. Per il resto, esistono solo piccolissime associazioni e realtà locali.

Eppure nell’appello manca proprio l’UCOII. Il motivo ce lo spiega la stessa UCOII in un comunicato:

 

“La domanda che la maggior parte dei lettori usi a seguire le dinamiche della comunità islamica in Italia si sono posti è: “Come mai l’UCOII, la maggiore organizzazione islamica presente in Italia, quella più impegnata con continuità e coerenza nel dialogo con la società civile e in quello interreligioso, non è tra i firmatari di questo appello?”

 Si potrebbe agevolmente e correttamente rispondere che non abbiamo firmato perché nessuno ci ha informato di questo “manifesto” prima che venisse pubblicato.

Inoltre e soprattutto non ci è parso corretto il metodo seguito da questi fratelli e sorelle nella redazione e nella pubblicazione del “manifesto” che non avremmo comunque potuto sottoscrivere se non proponendo correzioni o almeno riducendo la superficialità e la parzialità che lo caratterizza.

 Per l’ennesima volta ribadiamo di essere fautori di una linea di assoluta chiusura nei confronti del terrorismo e che non riteniamo il sequestro dei civili non armati gesti o azioni lecite, neppure nelle durissime condizioni di svantaggio in cui la resistenza irachena o cecena si trovano costrette ad operare.”

 

Di diritti e doveri

Se il manifesto si limitasse a condannare gli atti di terrorismo che avvengono in giro per il mondo, ci sarebbe poco da ridire.

Intendiamoci. Un pizzaiolo egiziano che vive in Italia, che rispetta le leggi e il prossimo, non ha alcun dovere di dire alcunché su quello che avviene in Iraq o in Cecenia. Proprio come l’ebreo di Ancona non ha alcun dovere di denunciare Sharon, il battista di Milano non ha alcun dovere di condannare il suo correligionario Clinton quando bombarda il Kosovo, o il buddista di Vigevano non ha alcun dovere di condannare le stragi commesse dall’esercito dello Sri Lanka.

Hanno invece tutti il diritto di condannare quello che vogliono.

Quindi gli autori del manifesto stanno esercitando un diritto, non stanno compiendo un dovere.

 

Una scelta di campo

Ma il manifesto non è una condanna generale di azioni sanguinarie. È una presa di posizione e una scelta di campo:

“Noi musulmane e musulmani d’Italia siamo schierati in modo totale, assoluto e compatto contro il terrorismo di quanti strumentalizzando un’interpretazione estremistica e deviata dell’islam e facendo leva sul fanatismo ideologico hanno scatenato una guerra aggressiva del terrore contro il mondo intero e la comune civiltà dell’uomo. ”

Qui non si condannano azioni. Si cerca di spiegare quello che sta succedendo nel mondo. Ora, questa spiegazione è quella ufficiale di Bush, per intenderci: l’Occidente stava lì tranquillo che si faceva i fatti suoi, ed è arrivato il Terrore che lo ha attaccato appunto con una “guerra aggressiva”.

È una spiegazione di parte. Come è altrettanto di parte spiegare quello che avviene, dicendo che è in corso una guerra di conquista planetaria da parte dell’imperialismo americano.

In Italia, ci sono cattolici che sostengono la prima tesi e cattolici che sostengono la seconda. E non c’è nulla di strano, né di male, nel fatto che anche i musulmani italiani si dividano.

Non c’è nulla di male nemmeno nel fatto che questi musulmani siano talmente di parte da non menzionare l’embargo all’Iraq, la devastazione della Palestina, l’attacco militare all’Afghanistan e all’Iraq, Guantanamo, gli arresti immotivati e le espulsioni di centinaia di musulmani in Italia. Anche questo silenzio è un loro diritto.

 

La Chiesa Patriottica Islamica

Quello che non va è la replica di Pisanu:

“Mi auguro perciò che il «Manifesto» trovi ampia adesione tra le musulmane e i musulmani presenti in Italia. Sono infatti convinto che proprio su queste basi possiamo costruire non un «Islam in Italia», inteso come corpo estraneo e potenzialmente ostile alla realtà nazionale, ma un «Islam italiano», inteso invece come una comunità religiosa di cittadini consapevoli, titolari di eguali diritti e doveri, in una società aperta e pluralista.“

Notate bene. Il ministro degli interni sta dicendo che la base per “costruire un Islam italiano” è che i musulmani accettino la spiegazione statunitense della guerra in corso.

È come se il presidente Hugo Chavez del Venezuela avesse detto, “la Chiesa cattolica può esistere in Venezuela a patto che dichiari che tutti i problemi dell’America Latina sono dovuti all’imperialismo USA. Altrimenti è un corpo estraneo e potenzialmente ostile”.

Oppure immaginiamo  all’inizio del Novecento, un governo che chiedesse a tutti i parroci di dichiarare che la Dalmazia è sacro suolo italico

In Cina, il governo ha sempre diffidato del “cattolicesimo in Cina”, “corpo estraneo e potenzialmente ostile alla realtà nazionale”. Mentre ha promosso una “chiesa patriottica” (più precisamente, l’Associazione cattolica patriottica cinese), un “cattolicesimo cinese” indipendente da Roma. Questa chiesa non si distingue per teologia da quella che conosciamo noi, ma per adesione incondizionata alle spiegazioni che il governo cinese dà di volta in volta della politica e dell’economia.



Certo, c’è una differenza: in Cina vogliono cattolici cinesi. Pisanu non ha problemi invece a lavorare con chi  è strettamente legato con l’estero.

Infatti, uno dei firmatari – Mario Scialoja – è il vicepresidente di un’associazione con sede in Arabia Saudita, un altro – Mahmoud Ibrahim Sheweita – è stato nominato imam della moschea di Roma dal governo egiziano. Abdellah Redouane è un funzionario del ministero marocchino dei beni religiosi, Omar Camilletti  lavora direttamente con il governo saudita.

Nulla di male, viviamo in un mondo globale, ma Pisanu, più che un Islam italiano, sembra volere un Islam occidentalista. Infatti sono stati esclusi proprio i musulmani indipendenti dai governi mediorientali e che sostengono la tesi di un “Islam europeo”. Altri due firmatari, Souad Sbai, presidente dell'Associazione donne marocchine in Italia, e Khalid Chaouki, presidente dei Giovani musulmani d’Italia, sono invece entrambi impiegati della Angelo Costa Srl, una potente società che si occupa di money transfer: casualmente, le sedi di entrambe le associazioni si trovano proprio presso questa ditta. La Angelo Costa, con 300 dipendenti e 4.000 punti vendita, è il partner italiano della Western Union, e pubblica diversi giornali "etnici" per aumentare la propria clientela.

La funzione di associazioni come quella di Souad Sbai e Khalid Chaouki viene espressa con disarmante chiarezza sul sito dell'Angelo Costa:

"Il secondo fattore è stata la sperimentazione di una politica di marketing assolutamente innovativa in Italia, rivolta agli stranieri sul nostro territorio. Una realtà mutevole, sfuggente e frammentaria, ma in continua crescita, spesso necessaria alla nostra economia, con bisogni e consumi talvolta allineati ai nostri, tal altra molto dissimili.

La realizzazione di un progetto marketing strutturato, inizia ovviamente dalla conoscenza del target, in questo caso una moltitudine di etnie, con religioni, lingue, tradizioni diverse. Le indagini e analisi all’interno delle comunità sono tanto necessarie quanto difficili da realizzare. Secondo la Angelo Costa, sono presenti in Italia 2.5 milioni di extracomunitari. La mappatura dei centri di ritrovo, dei luoghi di culto, degli uffici, dei centri culturali, delle celebrazioni nazionali, delle feste popolari, ecc... è stato un lungo lavoro di ricerca, un impegno costante che ha permesso alla Angelo Costa di acquisire un patrimonio di informazioni dettagliate che non ha eguali in Italia."

Riassumiamo. Magdi Allam concorda con il ministro degli interni l’invenzione di un piccolo gruppo di “musulmani moderati”, i quali vengono immediati riconosciuti, a dispetto della grande maggioranza dei musulmani italiani. Riconosciuti dal Ministro degli Interni, perché la coscienza religiosa è ancora oggi affare di polizia.

Questo gruppetto aspira a diventare la rappresentanza ufficiale dell’Islam in Italia, non perché rappresenti i musulmani, ma semplicemente per un fatto militare e politico: riconosce la narrazione ufficiale sulla guerra in corso.

 

Sacrificare all’imperatore

La cosa interessante è che questo avviene a breve distanza da un altro atto solenne di sottomissione: quello di Fausto Bertinotti e di Rifondazione Comunista, quando il segretario del PRC ha proclamato il valore assoluto della “non violenza”.

Commentando questo fatto, Costanzo Preve ha ricordato come l’impero romano fosse tollerante. Chiedeva un’unica cosa: che tutti facessero un sacrificio simbolico all’imperatore. Riconoscendo così che il potere ultimo era suo.

Ora, dire che si è “per la non violenza” sembra una grande banalità. Tutti sono “contro la violenza”, come sono “contro la droga” o “contro la leucemia”.

I comunisti italiani oggi sono persone pacifiche e rispettose della legge, tranne alcune pittoresche frange. Una decina di episodi l’anno di teppismo da parte di adolescenti estremisti sono eccezioni talmente rare che servono solo a confermare la regola. Le stesse nuove BR sono totalmente isolate. Quindi perché mai Bertinotti deve fare solenne voto di non violenza, più di quanto non debba farlo il parroco del paese?

Ma la cultura europea (non certo solo il comunismo) ha sempre sostenuto un principio. Quando si subisce la violenza dell’invasione o del genocidio, e non si può lottare in un’altra maniera, le vittime dell’oppressione hanno il diritto di resistere, anche con le armi.

Negare questo diritto significa che le vittime dell’oppressione non hanno il diritto di difendersi. La violenza rimane quindi un diritto esclusivo degli oppressori. Nel linguaggio orwelliano dei nostri tempi, “no alla violenza” significa “sì al capitalismo e all’imperialismo”.

Allo stesso modo, cosa si chiede a Gianfranco Fini? Non l’abiura della guerra d’Etiopia. Non l’abiura dei roghi delle case del popolo. Non l’abiura delle stragi in Libia. Non l’abiura dei terribili campi in cui venivano rinchiusi gli sloveni. No, si chiede l’adesione del neofascismo a quello che il giornalista israeliano Shraga Elam chiama “la religione dell’olocausto”. Che non è il sacrosanto rispetto per i morti di Auschwitz, ma è un discorso sul presente: è l’esaltazione della politica dello stato d’Israele e, di riflesso, degli Stati Uniti. [1]



Gianfranco Fini

 

Convertiti e pentiti

Ma torniamo al manifesto dei musulmani buoni.

Alcuni dei firmatari sono persone degnissime. Mancano le persone impresentabili, come l’avventuriero Massimo “Abdul Hadi” Palazzi.

Tra gli italiani, troviamo anche una vecchia componente dell’islam italiano: persone di ottimo ceto sociale, alcune delle quali vicine alla massoneria. Citiamo Sergio Yahya, figlio del pittoresco e sorridente Felice Abdul Wahid Pallavicini, che si vanta delle sue ascendenze nobiliari e che fa parte anche di un misterioso “ordine di Malta”: il vero Ordine di Malta, nato con le crociate, ha tra i suoi obblighi quello di appartenere alla chiesa cattolica.



Abdul Wahid Pallavicini

Felice Abdul Wahid Pallavicini vestito da Cavaliere di Malta

Tra gli immigrati, alcuni si sono ritagliati una nicchia con il mestiere della "mediazione culturale". Non voglio sottovalutare l'impegno di queste persone, che fanno molto per risolvere situazioni drammatiche di disagio. Gli orrori di questo mondo sono tanti, e ben venga chi riesce a smussarne certi angoli.

Ma si tratta di un mestiere che alla fine è funzionale al sistema, e che porta con sé una mentalità. Per dirla brutalmente, e a prescindere dalle buone intenzioni, almeno per il ministro degli interni, questo mestiere significa fare in modo che gli attrezzi umani del lavoro capitalistico non creino troppi problemi.

E il mestiere offre quanto meno l'opportunità di crearsi microclientele tra gli immigrati e ogni sorta di utile aggancio con i politici e gli imprenditori italiani.

Il manifesto riflette un’esigenza molto umana. Ci sono persone che vogliono vivere da normali membri del ceto medio di un paese imperialista, senza che i loro nomi o le loro preghiere costituiscano una zavorra che li affondi nella vita pratica. È perfettamente comprensibile che queste persone cerchino una via di uscita da una situazione di vessazione etnico-religiosa che non ha precedenti in Italia dai tempi delle leggi razziali. Su questo sito, abbiamo segnalato sia devastanti persecuzioni giudiziarie contro alcuni musulmani, sia le quotidiane umiliazioni subite da altri. E si tratta solo di una minima parte dei casi.

 

Gli intermediari ai tempi della xenofobia

Pisanu ha idee chiare su come utilizzare i firmatari:

“Coloro che lo hanno sottoscritto manifestano idee e speranze nelle quali può riconoscersi la stragrande maggioranza degli immigrati islamici che sono venuti in Italia soltanto per migliorare le loro condizioni di vita e con il fermo proposito di rispettare la nostra identità e i nostri ordinamenti, senza per questo tradire e nemmeno attenuare la loro fede e la loro cultura.”

Al di là del linguaggio politically correct, il ministro sta dicendo che intende usare i musulbuoni come intermediari tra il potere e le masse islamiche del nostro paese, un po' come il sistema statunitense usava i parroci slovacchi o i capimafia italiani o i politicanti irlandesi per "rappresentare" le masse di immigrati cattolici sfruttati negli Stati Uniti.

Pisanu ha ragione a dire che la grande maggioranza degli immigrati aspira semplicemente a vivere con meno problemi, e certamente uno dei principali problemi di cui soffrono è quello di essere considerati in blocco "terroristi". Ma è stato lo stesso Pisanu a congratularsi energicamente con gli investigatori ogni volta che qualche gruppo di sfortunati extracomunitari veniva arrestato per “terrorismo islamico”; e lo stesso Pisanu a tacere quando venivano poi rilasciati.

Per togliersi di dosso i persecutori alla Oriana Fallaci, non basta gridare, “anche noi la pensiamo come la Fallaci!”

C’è tutta una serie di fattori che rende di difficile attuazione il progetto di Pisanu. E nessuno di questi fattori comprende il “terrorismo islamico”.

Ad esempio, c’è la concorrenza, non tanto per i posti di lavoro, quanto per servizi sociali che diminuiscono continuamente: nel mio comune, la metà dei posti all'asilo nido è finita in mano a persone con cognomi non italiani. Cosa giustissima: se in una certa sede ci sono appena venti posti, è probabile che le venti famiglie più disagiate del quartiere siano composte da immigrati. Che magari si chiamano Rodriguez o Sanchez, ma agli occhi degli italiani esclusi sono sempre extracomunitari, e quindi sospetti musulmani. A nessuno viene in mente di togliere le truppe da Nassiriya e usare i soldi risparmiati per aumentare il numero dei posti all'asilo per tutti: più facile accusare la famiglia Sanchez di "fare parte di al-Qaida".

Le piccole imprese, quando non sfruttano il lavoro in nero, hanno bisogno di creare una classe semiservile di operai con "contratti soggiorno", che non oseranno mai fare un giorno di sciopero. L'etnia-crumira fu una grandiosa invenzione del capitalismo americano, che faceva sparare sugli scioperanti irlandesi per far entrare in fabbrica i crumiri neri.

In forma assai più morbida ma altrettanto efficace, il padrone potrà sempre contare sull’operaio tunisino nell’improbabile eventualità di una lotta operaia. A meno che il padrone stesso non decida di fare il crumiro, chiudendo la fabbrica qui e riaprendola in Romania.

Poi c'è la necessità di unire l'Occidente nello "scontro di civiltà", ricchi e poveri, destri e sinistri, tutti tremanti di fronte a "Bin Laden che ci fa la guerra", tutti disposti ad accettare qualunque misura repressiva e qualunque guerra.

Per non parlare dell'Italia finalmente e miracolosamente unita, dal Nord al Sud, nella xenofobia: chi parla più male dei "terroni mafiosi che si prendono tutti i posti statali" che andavano tanto di moda appena una decina di anni fa? Chi sparla più dei baresi che hanno lo scippo nel sangue, dei sardi sequestratori che intrattengono rapporti amorosi con le pecore, dei calabresi vincolati per tutta l’eternità a faide sanguinarie? O chi tira più in ballo quella specie di autorazzismo, che sostiene che non siamo mica inglesi, per una razza di selvaggi camorristi e truffatori come quella italiana, ci vuole il pugno di ferro?

Il “kamikaze islamico” – che finora non ha mai colpito il suolo italiano, nemmeno una volta – è riuscito a compiere il  miracolo di trasformare questo paese feroce e astioso - come tutti i paesi - in un faro di civiltà, in perenne ammirazione di se stesso. Una felicità cui non si può certo rinunciare solo per integrare qualche islamico negli ingranaggi dell’accezione sociale.

Ma forse ancora più durevole, possiamo già fiutare nell’aria la creazione di quartieri ghetto, in cui il rancore degli esclusi aumenterà di giorno in giorno, come cresce l'odio furente degli escludenti.

Tutte cose ben più serie delle azioni più o meno avventate o suicide dei disperati nei paesi sottomessi all'imperialismo.

Staremo a vedere.





NOTA

[1] Le "pagine" del fascismo che Gianfranco Fini condanna sono "quelle vergognose... della RSI... del manifesto di Verona, in cui si definiscono gli ebrei italiani 'stranieri appartenenti ad una razza nemica'... l'orrore della Shoah, l'infamia delle leggi razziali del '38 e del '43 e le colpe a questo proposito [enfasi aggiunta] del fascismo. Se l'Olocausto è il male assoluto, ciò vale anche per gli atti del fascismo che hanno contribuito alla Shoah. Sappiamo che nella storia complessa del fascismo ci sono anche altri momenti ..." (Gianfranco Fini, Il Secolo d'Italia, 28.11.03).



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