Trecentomila terroristi in una scatola di biscotti
 




Miguel Martinez  

16 settembre 2004  




“Comprendiamo le iperboli ed usiamo quelle. Se non le usiamo, siamo tipi sospetti.
George Orwell parlava di Neolingua. Ce l'abbiamo, è l'Iperbolico.

La Civiltà, l'Occidente sotto attacco, l'Islam che ci ha dichiarato guerra, la Democrazia da salvare o esportare, la Quarta Guerra Mondiale, Loro (tutti), Noi (tutti), e via così.

E l'Iperbolico è entrato nel linguaggio comune fino a sostituirlo, dicevo, ed esprimersi senza usarlo è diventato difficilissimo.”

Da Haramlik, il blog di Lia

 

Nell’Iperbolico, esiste un termine tuttofare e tuttospiegare: “terrorismo”.

Pierferdinando Casini, in visita a Birkenau, ci annuncia che:

"Oggi un nuovo nazismo e stalinismo si affacciano sotto la forma del terrorismo. Il nazismo come lo stalinismo e il nuovo terrorismo di oggi sono due facce della stessa medaglia".

La metafora zoppica un po’, visto che mette tre elementi su due facce di una medaglia, comunque il concetto è chiaro: secondo Casini, e chi la pensa come lui, il terrorismo sta lì e attacca la civiltà.

Per Fausto Bertinotti, invece, la questione è più sfumata: la guerra genera il terrorismo in una spirale senza fine.

Quindi, per il primo, lo scontro è tra civiltà e terrorismo. Per il secondo, lo scontro è tra guerra e terrorismo.

Però tutti e due sono d’accordo nel definire quell’altra cosa terrorismo.

Che è un’emerita sciocchezza. Per un banale motivo linguistico. Terrorismo non è una causa per cui si fa qualcosa. È un metodo per fare qualcosa.

Non è complicato. Il comunismo è la causa per cui si battono quelli che vogliono una società di eguali.

Il nazionalsocialismo è la causa per cui si battono quelli che vogliono un socialismo, ma nazionale, insomma solo per noi.

Il liberismo vuole più libertà.

E il terrorismo cosa vuole? Far paura alla gente? Ovviamente esiste gente così, come esistono i serial killer. Non ho presente le statistiche, ma se ci fossero dieci serial killer in Italia, avremmo già un problema molto serio.

fantasma

Ora, su La Stampa del 15 settembre 2004, Giuseppe Zaccaria a Baghdad intervista il maggiore Adnan Nassar al-Amri, caposezione al Ministero degli Interni del governo di Allawi. Il caposezione gli fa sapere che

"Il nostro Presidente ha appena ripetuto che le elezioni previste a gennaio si faranno e poco male se due o trecentomila terroristi non vi parteciperanno."

Due o trecentomila "terroristi"? Facendo le proporzioni con la popolazione, è più o meno come dire che la situazione è sotto controllo, perché in Italia ci sono appena settecentomila serial killer in quotidiana attività.

Il termine terrorista viene quindi usato per descrivere non il carattere di singole azioni, ma per descrivere un’intera causa per la quale solo in Iraq, ci sono – secondo i loro stessi nemici – non meno di due o trecentomila persone pronte a dare la vita.

Ora, o gli arabi sono molto strani, oppure Casini e Bertinotti, che adoperano il termine "terrorismo", sono in evidente malafede. Ma cosa stanno cercando di coprire?

Essenzialmente due cose.

 

Aggressione e resistenza

Prima di tutto, non hanno l’onestà di Oriana Fallaci o di Umberto Bossi, i quali attribuiscono comunque una causa al nemico: ci dicono che “ci attaccano” perché vogliono “islamizzare il mondo”. Poi ci dicono che lo fanno attraverso il terrorismo: da qui l'idea del "terrorismo islamico". È falso, ma almeno è un po’ più sensato che dire che ci attaccano solo perché godono a far paura alla gente.

Bertinotti non può attaccare "l'islam" perché non sta bene a sinistra demonizzare blocchi interi di umanità, Casini non lo fa, invece, perché quando hai dei soldati che occupano un paese islamico, è sempre meglio dividere i propri nemici che insultare tutti i musulmani in blocco.

La seconda cosa che Casini e Bertinotti cercano di mistificare è se guerra e terrorismo sono solo metodi per condurre una lotta, la lotta tra chi è?. È tra aggressione e resistenza. È questo il vero nodo del conflitto in corso nel mondo.

Su chi compie l’aggressione, ci sono pochi dubbi. Da quando i turchi si ritirarono davanti alle porte di Vienna nel 1683, tutte le aggressioni sono sempre state condotte dai paesi industriali. Non perché i suoi abitanti fossero più cattivi, ma perché avevano mezzi tali da assicurare loro la vittoria sempre.

I cinesi non hanno mai invaso l’Inghilterra, gli inglesi hanno invaso diverse volte la Cina. I Cherokee non hanno mai mandato in esilio gli americani, sono stati gli americani a mandare in esilio loro.

Quindi l’aggressione, da diversi secoli a questa parte, si muove solo dal mondo industrializzato – quello che le persone come Casini chiama “la Civiltà” – verso il resto del mondo. Non potrebbe essere diversamente, e non c’è bisogno di raccontare tutta la storia per sapere se sono stati i francesi, gli italiani, gli inglesi, i sionisti e gli americani a conquistare il Medio Oriente, o sono stati gli arabi a mettere le loro basi militari nel Kansas.

Ora, l’aggressione genera resistenza. La resistenza può prendere diverse forme. L’esercito dei dervisci nel Sudan cercò di fare quella che Bertinotti chiama “guerra”, sfidando gli inglesi in campo aperto a Omdurman. Cannoniere, fucili a ripetizione, proiettili dum-dum sterminarono l’esercito mahdista in poco tempo. Un orgoglioso Winston Churchill scrisse:

“Così si concluse la battaglia di Omdurman, il più eclatante trionfo mai ottenuto dalle armi della scienza sui barbari. Nell’arco di cinque ore, il più forte e meglio armato esercito di selvaggi mai messo insieme contro una moderna potenza europea era stato distrutto e disperso, quasi senza nessuna difficoltà, con un rischio comparativamente limitato e con perdite insignificanti nelle file dei vincitori” (citato in Sven Lindqvist, Sterminate quelle bestie, Milano, TEA, 2003, p. 85).
I "trionfi della scienza" pongono ai registi cinematografici lo stesso problema che ponevano ai pittori di allora: non c'è molta suspense a vedere una macelleria tecnologica in funzione. Perciò gli artisti dell'impero - ieri come oggi - si devono inventare immaginari scontri corpo a corpo. Ecco come un creativo artista inglese reinventò e romanticizzò la carneficina di Omdurman:


omdurman



“Meglio morire che vivere come morti"

I selvaggi saranno selvaggi, ma non sono necessariamente stupidi. Per questo, dopo Omdurman, nel lontano 1898, la loro resistenza ha quasi sempre preso altre forme, che non sono previste nel galateo dell’esercito europeo.

Il regista israeliano, Giuliano Mer – intervistato alla trasmissione televisiva Report del 10 settembre 2004 - descrive così i ragazzi del campo profughi di Jenin che si facevano esplodere (invano) contro gli immensi caterpillar che abbattevano le case, con i loro abitanti ancora dentro:

Il campo profughi è molto piccolo, controllato dal più potente esercito del mondo con le apparecchiature più sofisticate del mondo. Circondati da elicotteri apache e carri armati, l’unica cosa che possono fare contro a questa enorme macchina è farsi saltare in aria. Dei 23 kamikaze che si sono fatti esplodere a Jenin io ne conoscevo 6: nessuno era religioso, nessuno cercava vergini nel cielo, ciò che li spinge è che preferiscono morire piuttosto che vivere come morti. Io credo che se i palestinesi avessero il Vietnam dietro di loro si comporterebbero come i Vietcong ma invece hanno intorno solo cemento, cemento muri muri, muri, muri, muri e muri una piccola quantità di esplosivo, chiodi, e si fanno saltare in aria, questo è quello che gli è rimasto.

Ora, il conflitto tra aggressione e resistenza può assumere forme molto varie. Non può assumere la forma di “guerra” nel senso di gente in divisa che si spara dalle trincee, perché le trincee verrebbero spazzate via in pochi minuti. Come avvenne alla fine della prima guerra del Golfo, quando Saddam Hussein aveva già annunciato il ritiro dal Kuwait e i carri Abrams americani seppellirono vive diverse migliaia di soldati iracheni nelle loro postazioni, passandoci semplicemente sopra con gigantesche lame da escavazione.

Nella guerra tra aggressione e resistenza, avviene di tutto. I resistenti hanno una buona causa, ma nulla garantisce che siano persone più buone degli aggressori. Viceversa, il fatto che gli aggressori provengano da paesi che ci fanno simpatia non vuol dire che siano più buoni degli aggrediti. Sono banalità, ma di quelle cui si pensa poco.

Come abbiamo visto, "terrorismo" si riferisce non a qualche causa, ma allo stile di certe azioni commesse in nome di qualunque causa.

Fu terrorismo in un senso preciso l’attentato alla metropolitana di Madrid, che aveva come scopo - a quanto pare - quello di incutere un grande spavento nella popolazione civile, affinché premesse per uscire da una guerra che non la riguardava.

Troviamo esattamente la stessa strategia dietro le stragi commesse dagli angloamericani durante la seconda guerra mondiale, quando in una notte furono bruciati vivi quarantaduemila abitanti di Amburgo, per non parlare di Dresda o di Nagasaki. Persino Isernia, paese privo di installazioni militari, fu rasa al suolo dai bombardieri, che provocarono quattromila morti, più di quelli delle Torri Gemelle.

bombardamento alleato su amburgo

Bombardamento di Amburgo: tra le vittime, 13.000 uomini, 21.000 donne e 8.000 bambini


In entrambi i casi, possiamo dare un giudizio morale, ma possiamo anche dare un giudizio politico: gli attentatori di Madrid e i bombardatori di Isernia hanno entrambi ottenuto lo stesso effetto. Quello di suscitare nella popolazione un grande moto di rabbia, non contro chi li aveva colpiti, ma contro chi li aveva trascinati in quella guerra.

Ora, sappiamo benissimo perché non si può usare il termine resistenza per definire una resistenza: perché esiste in Italia "la Resistenza", che oltre a essere un nobile fatto di sessant'anni fa, è anche una sorta di comoda giustificazione del posto di lavoro di Carlo Azeglio Ciampi e di altri retori di professione.

Da qui, la domanda ricorrente, "la resistenza irachena somiglia a quella italiana?" Si tratta di una domanda teologica: tutta la teologia si basa sull'analogia. Il comportamento di un certo re somiglia a quello di Salomone, o non piuttosto a quello di Erode? Guarda caso, chi è a favore del re, trova sempre analogie con Salomone, chi è contro, con Erode. Allo stesso modo, tra i politici e gli editorialisti italiani, sai già chi troverà analogie e chi differenze tra la resistenza italiana e quella irachena, prima ancora che abbiano aperto bocca.

Ma si tratta di un problema appunto teologico. La resistenza irachena, come quella palestinese, è una resistenza, perché ce lo dice il vocabolario. Fatti di Gaza o Ramadi nel 2004 somigliano a fatti di Voghera nel 1943? Per certi versi sì. Per certi versi no. E allora?

Va da sé che lo stesso ragionamento vale per l'improbabile (e involontaria) coalizione tra neoconservatori, Paolo Mieli e alcune aree neofasciste che sostengono che la resistenza irachena somiglia invece alla Repubblica Sociale di Mussolini.

Italiani brava gente

Sempre su La Stampa del 15 settembre, Giovanni De Luna descrive alcune immagini che si trovano nell’archivio fotografico della Croce Rossa a Ginevra:

“Mi riferisco in particolare alle foto di Angelo Dolfo che ritraggono la testa del deggiac Hailù Chebbedè – che guidava la ribellione contro l’occupazione italiana nei territori del Goggiam – esposta alla folla sulla piazza del mercato di Quorum. Il deggiac fu ucciso in uno scontro il 24 settembre 1937; la sua testa fu infilata in una scatola di latta per biscotti Lazzaroni e portata in giro per volontà del viceré d’Etiopia, Rodolfo Graziani: la sequenza fotografica mostra l’apertura della scatola, poi la testa esibita tra i sorrisi dei soldati italiani, per essere alla fine ingabbiata nel filo di ferro e sospesa a una tavola inchiodata a un palo”.

biscotti lazzaroni


Come le decapitazioni filmate in Iraq, come le torture di Abu Ghraib, anche questo è terrorismo nel senso che il suo scopo è quello di incutere il panico nel nemico. Ma sarebbe ingiusto dire che gli italiani siano andati in Etiopia solo per il gusto di tagliare teste, che gli americani abbiano sodomizzato i detenuti di Abu Ghraib per puro gusto erotico, o che si uccidano i collaborazionisti, o presunti tali, per mero divertimento.

Il vero delitto è l’aggressione

La conclusione non è difficile.

Tacciamo sul penoso dualismo “civiltà-terrorismo” dei Casini e dei Pera, che rientra nel puro Iperbolico.

Ma anche il dualismo “guerra-terrorismo” non è meno assurdo. Prima di tutto perché comunque definisce i buoni e i cattivi: il termine “guerra” ha una tragica dignità che manca alla pura negatività del termine “terrorismo”. In amore e guerra, tutto è lecito, ci insegna il luogo comune. Difficilmente sentirete dire, "in amore e terrorismo..." E siccome "guerra" è un eufemismo per non dire USA, e "terrorismo" un eufemismo per non citare le vittime degli USA, Bertinotti sta dando dei guerrieri ai primi e dei terroristi ai secondi.

Esiste l’aggressione. Che – è vero – genera una “spirale”, nel senso che a volte c’è chi si oppone all’aggressione. E nasce così la resistenza. Questo non è un giudizio morale: può darsi che in Gallia si stesse meglio dopo l’arrivo dei romani, ma non c’è dubbio che Giulio Cesare sia stato l’aggressore e Vercingetorige il resistente.

Per definire gli aggressori e gli aggrediti, non servono complessi sofismi: basta aprire una mappa e vedere chi occupa le terre di chi. Se soldati iracheni si aggirano per il Texas sparando addosso alla gente, gli aggressori sono gli iracheni. Se gli americani si aggirano per l’Iraq, sparando addosso alla gente, gli aggressori sono gli americani.

La lotta tra aggressione e resistenza assume molte forme. Lasciamo stare la “guerra”, che nel senso tradizionale non esiste più. C’è una vasta gamma di azioni, tutte tese in qualche modo a fiaccare l’avversario, se vogliamo a terrorizzarlo. Vanno dai filmati con sgozzamenti ai bombardamenti aerei, dalle distruzioni delle case alle torture e alle umiliazioni sessuali, dagli arresti indiscriminati all'uso di automobili imbottite di esplosivo…

Se vogliamo dare definizioni moralistiche, è tutto terrorismo. Ma proprio per questo, il criterio per decidere da che parte stare è uno solo.

Da una parte, c’è chi aggredisce. E proprio perché aggredisce, avrebbe potuto anche scegliere di starsene a casa sua, e di evitare quindi di commettere gli orrori che sta commettendo. Ogni azione dell’aggressore è un delitto.

Dall’altra parte, c’è chi resiste. E per lui la scelta è molto più complessa. Perché se non accetta di subire passivamente lo stupro, deve agire. E ogni azione che compie è carica di ambiguità: è sacrosanto colpire con una mina un convoglio militare dell’occupante, ma se in quel momento dovesse passare un bambino? È sacrosanto prendere prigionieri i collaborazionisti, ma cosa farne dopo, visto che non si possiede certamente una Guantanamo in cui rinchiuderli?

Però è chiaro che, per quanto esecrabili i delitti-effetto, esiste un delitto-causa. Che non si chiama vagamente “guerra”, ma aggressione. Ed esiste un diritto iniziale. Che si chiama resistenza.





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