Nazione italiana, Europa e Mediterraneo

il presente come storia. Coscienza storica, memoria storica, liberazione

VI parte
 



Per agevolare la lettura, questo articolo di Costanzo Preve, apparso per la prima volta sulla rivista Indipendenza è stato diviso in tredici parti.

Alla parte successiva




6. La globalizzazione ipercapitalistica attuale e la cosiddetta "fine della storia" in una dittatura incontrastata dell'economia.
Siamo ora giunti al quinto ed ultimo punto della prima parte di questo breve saggio di orientamento. Si tratta del punto più importante, perché condiziona direttamente l'orientamento politico ed ideologico di ognuno nella congiuntura storica attuale. Ripetiamo qui per comodità del lettore i quattro punti preliminari già trattati. Primo, il modo migliore per impedire il ripetersi di fenomeni storici come il nazionalsocialismo tedesco di Hitler sta nel non considerarlo un'inesplicabile irruzione del demoniaco e del male assoluto nella storia, ma nel valutarlo come il punto estremo di un pericolo sempre presente, la messa in atto pianificata di un'organizzazione ideologica e tecnologica di un massacro amministrativo. Secondo, il modo migliore di considerare globalmente il fenomeno del comunismo storico novecentesco sta nel ritenerlo non certo l'applicazione dell'utopia rivoluzionaria originaria di Marx, ma piuttosto la risposta nazionale e popolare, pienamente legittima, al massacro della prima guerra mondiale imperialistica del 1914; di conseguenza, il suo fallimento irreversibile e definitivo non deve essere visto come la smentita epocale di un'illusione criminale, ma la sanzione storica di una tragica impotenza funzionale, l'impotenza funzionale del suo organismo (la classe) e del suo organo (il partito) nel far nascere una società stabilmente anticapitalistica. Terzo, il pentitismo organizzato e la retorica perdonista di oggi, lungi dall'essere una presa d'atto della natura del colonialismo imperialistico, devono essere visti come una premessa ideologica per un nuovo mercato globalizzato ed indifferente a tutto ciò che non è un parametro economico di scambio. Quarto, la scandalosa impunità garantita al sionismo deve essere vista come una conseguenza politica di un fatto culturale presupposto, il passaggio della "falsa coscienza" occidentale da un precedente antisemitismo paranoico (il popolo deicida che complotta per dominare il mondo) ad un posteriore filosemitismo schizofrenico (il popolo speciale che ha subìto prove speciali per cui gli si devono garantire privilegi speciali). Mi dispiace ripeterlo, ma chi non passa attraverso la faticosa comprensione di questi quattro punti non può neppure arrivare alla comprensione del quinto, che ora affronteremo.
La globalizzazione ipercapitalistica attuale ha bisogno di una religione di massa, e questa religione di massa è l'onnipotenza dell'economia. I nuovi idoli sono gli indici di borsa. La divinità, un tempo esteriore al mondo sociale e politico, è oggi ormai interna ad esso e si esteriorizza nello spettacolo permanente dei media. Le nuove cerimonie religiose sono officiate da mezzibusti televisivi sorridenti che si consultano con economisti che ripetono solenni parole in inglese roteando una pipa spenta. L'ideologia di questa nuova società è quella della fine della storia. E appunto qui cominciano le difficoltà. Molti pensano che la "fine della storia" sia semplicemente una pensata superficiale coniata in fretta e furia (in tempo reale) da uno sfrontato californiano dagli occhi a mandorla, un certo Francis Fukuyama, saccheggiatore di Hegel e di Kojève. Insomma, una vera e propria americanata, un'ideuzza destinata ad essere presto dimenticata e sostituita da analisi ben più serie e complesse. Ebbene, chi pensa questo è in errore, e non coglie il centro della questione. Ed il centro della questione sta in ciò, che la fine della storia non è affatto un'opinione filosofica o storiografica, ma è un programma politico globale attivamente voluto e perseguito dalle oligarchie finanziarie transnazionali per ora internazionalmente coordinate dalla superpotenza americana. Questo programma politico globale, che è appunto un programma e non un'opinione, deve essere appunto connotato esattamente per quello che è: un programma politico globale coscientemente perseguito da una nuova feroce classe sfruttatrice, e non un'opinione filosofica frettolosa e semplificata.
Se si capisce questo si parte con il piede giusto. E partendo con il piede giusto molti apparenti enigmi trovano in via di principio una via per la loro soluzione. Segnaliamone qui brevemente alcuni, sottolineando che il discorso che faremo a partire dal prossimo paragrafo sull'Italia e la nazione italiana non sarebbe comprensibile al di fuori di queste rapide considerazioni preliminari.
In primo luogo, è bene ricordare che la stessa parola globalizzazione, che pure usiamo continuamente in modo poco sorvegliato, è impropria ed inesatta. Essa è infatti la parola scelta dall'ideologia economica dominante, che non è per nulla neutrale. Il termine corretto sarebbe forse nuova mondializzazione imperialistica, per i seguenti ordini di ragioni. Primo, la teoria dell'imperialismo di inizio secolo (e di Lenin in particolare) ci sembra tuttora valida, in particolare se accettiamo la (plausibile) proposta teorica di Gianfranco La Grassa sulla "ricorsività" capitalistica della fase attuale, che appare tendenzialmente neo-imperialistica, in particolare per l'emergere dei tre poli USA, Europa e Giappone. Secondo, vi è comunque una situazione nuova, una vera e propria singolarità non ricorsiva, legata alla superpotenza americana ed al suo virtuale monopolio in due settori strategici, quello militare e quello culturale. La mondializzazione è dunque nuova, e però anche imperialistica (e quindi ricorsiva). Nella situazione attuale, è prematuro parlare di paesi subalterni come l'Italia come di veri e propri centri imperialistici (e pertanto ci sembra corretta la posizione di Francesco Labonia, in Indipendenza, n. 3, pp.3-4). È possibile che questo avvenga per una futura Europa franco-tedesco-russa, ma per il momento questa è pura fantapolitica, e non riguarda la situazione presente. La categoria di nuova mondializzazione imperialistica indica pertanto un processo contraddittorio in corso, e non una situazione già consolidata. La categoria di globalizzazione è invece impropria e fuorviante, perché indica una inesistente nuova utopia del libero scambio, resa veloce da Internet e dalle borse mondiali, che non corrisponde alla realtà, il presente dominio imperialistico americano con le sue due gambe militare e culturale. Quindi nuova mondializzazione imperialistica è meglio di globalizzazione.
In secondo luogo, è bene ricordare che questa nuova mondializzazione imperialistica comporta un indicibile svuotamento della politica, che rende obsoleta l'intera teoria liberaldemocratica classica, ridotta ormai a connotare veri e propri effetti di superficie non più espressivi dei movimenti storici strutturali. Il ceto politico professionale, tenuto sotto ricatto permanente da magistrati e giornalisti reclutati al di fuori di qualunque rappresentatività in nome di ideologie giuridiche e mediatiche falsamente oggettive, non rappresenta più interessi sociali coerenti, ma media fra lobby neocorporative. Non viviamo dunque in una democrazia, e neppure in una liberaldemocrazia (su questo punto il mio dissenso con Norberto Bobbio è esplicito e totale), ma in una nuova oligarchia plebiscitaria, che la teoria politica liberaldemocratica classica non riesce a concettualizzare neppure in modo approssimato. Lo stesso termine di "poliarchia" (alla Robert Dahl) è fuorviante, perché suggerisce un inesistente pluralismo effettivo di centri di potere diversi. No, siamo proprio purtroppo dentro una nuova oligarchia plebiscitaria, con leader politici fortemente mediatizzati il cui carisma non ha però più nulla a che vedere con quello studiato da Max Weber, in quanto si tratta di un carisma artificialmente prodotto, manipolato e montato da specialisti dei media (il nuovo clero della nuova società stratificata nella sua fase post-borghese e post-proletaria). Non è neppure esatto dire che siamo in una società della libertà (individualistica) dei moderni e non degli antichi, come sostenne all'inizio dell'Ottocento il teorico liberale Benjamin Constant, perché Constant parlava di un "privato" borghese, e non di un "privato" interamente colonizzato dalla pubblicità e dalla manipolazione mediatica della vita quotidiana.
In terzo luogo, per finire, occorre sottolineare la crucialità assoluta della questione culturale. Il soffocante economicismo e politicismo, quotidianamente alimentato dal ceto dei giornalisti e dei commentatori superpagati, non permette di comprendere questa crucialità, e di come per esempio la "riforma scolastica" dell'Ulivo sia cento volte più importante di qualunque ingegneria istituzionale da Bicamerale (chi vuole capire questo può iniziare dal libretto di Lucio Russo, Segmenti e Bastoncini, Feltrinelli, Milano 1998), se si vuole capire la devastante dinamica dell'americanizzazione culturale. La distruzione della peculiarità di un sistema scolastico è infatti un tassello della distruzione di qualunque residua identità nazionale. È un profondo, terribile errore pensare che si tratti di un problema specialistico, da affidare a pedagogisti professionisti.
Abbiamo trattato la questione culturale in un precedente saggio per Indipendenza, e non ci torniamo sopra per esclusive ragioni di spazio. Ma ripetiamo che sta qui il punto cruciale della questione in questo momento storico. Ed è allora giunto il momento di discutere il tema dell'identità storica della nazione italiana, in un'ottica nazionalitaria estranea ad ogni nazionalismo. Si tratta di note preliminari ad un discorso ancora da fare, che potrà essere fatto solo con una futura polifonia di voci. Qui vogliamo soltanto cominciare, e stimolare opinioni e prese di posizione.



Alla parte successiva





Gli articoli apparsi originariamente su questo sito possono essere riprodotti liberamente,
sia in formato elettronico che su carta, a condizione che
non si cambi nulla, che si specifichi la fonte - il sito web Kelebek http://www.kelebekler.com -
e che si pubblichi anche questa precisazione
Per gli articoli ripresi da altre fonti, si consultino i rispettivi siti o autori




e-mail


Visitate anche il blog di Kelebek

Home | Il curatore del sito | Oriente, occidente, scontro di civiltà | Le "sette" e i think tank della destra in Italia | La cacciata dei Rom o "zingari" dal Kosovo | Il Prodotto Oriana Fallaci | Antologia sui neoconservatori | Testi di Costanzo Preve | Motore di ricerca