Dobbiamo partire. Nella stessa notte,
Xhevrija, Bajram e Reska hanno sognato ciascuno lo stesso parente morto,
la nonna di Reska... quindi occorre far presto per salvare la sorella di
Reska e di Lulzim, Remzija.
Remzija era andata sposa a sedici anni a
Kadri a Zagabria, che nel naufragio del paese che fu è oggi un'altra
nazione, la Croazia. Kadri è Rom e non è Rom, per sé
e per il mondo è un albanese.
Un giorno, dopo undici anni che non se ne
sapeva quasi nulla Remzija è scappata, lasciandosi dietro cinque
bambini; ma con il ricatto dei figli e mille promesse di suo marito è
tornata a casa e non se n'è più saputo nulla, tranne che
subito dopo aveva avuto ancora un sesto figlio.
Ora però un soffio percorre la ragnatela.
Una parente di Kadri ha visto Remzija e ha scoperto che vive prigioniera
e rischia la morte; ha chiamato un parente in Serbia che ha chiamato un
parente in Germania che ha chiamato il campo di Brescia... una bottiglia
lanciata nel vasto mare ha trovato chi leggesse il messaggio.
Ma che fare? L'unica persona che si sappia
muovere nel mondo, almeno un po', è Reska. Ma Reska è cittadina
serba, e i serbi non possono entrare in Croazia. Anche se dovesse ottenere
il visto, dovrà essere di ritorno in Italia prima del 1 novembre
1999, per non lasciare scadere il proprio permesso di soggiorno.
Vado con lei al consolato croato di Milano...
mi racconta che tutto il campo si è spaventato al pensiero che lei
ci andasse. Invece il console, il signor Josko Boskulic, è gentile
e dietro le mie insistenze concede per motivi straordinari il visto. Torniamo
verso la stazione in metropolitana, con Reska che si guarda attorno attonita.
Reska e io partiamo verso est, ascoltando
cassette di musica di quattro mondi - Serbia, Albania, Turchia e la terra
senza terra dei Rom. L'auto è una piccola moschea, con un rosario
islamico e lo stendardo della shahada - un po' per fede, un po' perché
così gli spacciatori tunisini che la notte si divertono a prendere
a bastonate le macchine lasceranno in pace la sua.
Alla guida c'è sempre lei - io non
ho la patente. Ma cosa ci fa una Rom invalida e assolutamente senza soldi
alla guida di un'automobile; le braccia e le dita della donna poi sono
cariche di anelli e braccialetti d'oro?
Grazie al lavoro del padre, la famiglia ha
avuto momenti buoni. Adesso lui aspetta che lo chiamino a lavorare e nel
frattempo chiede l'elemosina nel centro di Brescia, ma non si tira indietro
di fronte ad alcun lavoro. Per fortuna i momenti buoni hanno lasciato in
eredità almeno una vettura, di quinta mano, con il cambio automatico,
acquistata a rate. Reska aveva sognato che la stessa incorporea voce di
Allah le aveva promesso che quel giorno avrebbe trovato un'auto; e così
fu.
Gli oggetti d'oro invece sono un albero genealogico,
un intreccio di regali, ognuno con la sua storia.
A Trieste ci attende un nuovo ostacolo: il
visto per attraversare la Slovenia. Io che sono italiano e perciò
qualcuno passo la frontiera con la sola carta d'identità. Lei, che
è balcanica e quindi nessuno, non può farlo.
Il visto sloveno è crudo ed esplicito.
Si fa la richiesta alle nove di mattina. Non c'è bisogno di foto
o di spiegazioni. Non c'è nemmeno bisogno della richiedente in persona,
infatti vado io a ritirare il visto per risparmiarle di fare le scale.
Alle dodici, entro dentro la sala del consolato. In fondo c'è un
vetro blindato, con dietro un impiegato.
"Buongiorno, sono qui per il visto di Rezijana
Berisha".
"Centomila".
Do i soldi, prendo il passaporto.
"Apposto così?"
"Sì".
"Buongiorno". Nessuna risposta. Esco. Fuori,
un altro attende con le sue centomila lire pronte.
Attraversiamo la Slovenia e arriviamo a Zagreb
- veste svizzera, ventre napoletano, con il cuore di fredda e infida Bulgaria
o Anatolia.
Iniziamo a cercare la Ulica Misheveczka,
la strada dove vive Remzija.