Un brindisi a

Maurizio Antonello




Il 12 maggio del 2003, Maurizio Antonello, psicologo e archivista dell'ARIS Veneto - Associazione ricerca e informazione sette - è stato trovato morto nella sua casa a Trivignano, un paese di campagna in provincia di Venezia. Anche se è stata aperta un'inchiesta, i dubbi sono davvero pochi: Maurizio ha scelto, forse non con chiara consapevolezza, di risolvere in questo modo una profonda depressione di cui soffriva da molto tempo.
Maurizio Antonello



Guardavo i giovani operai del cimitero, robusti, sereni, professionali, che spalavano la terra umida a grandi blocchi sulla bara di quello che era stato, per una parte importante della mia vita, il mio migliore amico. Attorno, le lapidi di tanti altri che portavano lo stesso cognome: "Maurissio de nome, Antoneo de cognome", doveva spesso dire il mio amico. Gente che aveva speso tutta la vita nei campi, o nelle fabbriche. Attorno, a centinaia, i vivi, gli ancora vivi: gli amici venuti da tante parti d'Italia, i volti dei paesani, stranamente simili ai volti che si vedono in certi quadri fiamminghi. Come quello del padre di Maurizio, operaio della Montedison, pensionato con i polmoni martoriati dall'inquinamento.

Nel suo studio, Maurizio teneva accuratamente incorniciato e ben in vista un solo diploma, quello rilasciato dalla scuola elementare di Trivignano, che si trovava ad appena cento metri dal luogo in cui Maurizio sarebbe morto. Nonostante molti viaggi in giro per l'Italia, egli aveva vissuto tutta la sua vita in quel piccolo angolo del Veneto, dove i gatti entrano ed escono dagli orti delle casette a due piani, gli uomini vanno al bar a giocare a carte e le donne si scambiano pettegolezzi sugli usci. Un mondo però con una quantità straordinaria di storie segrete e spesso sconvolgenti. Persone che avevano perso tutto per farsi togliere il malocchio da un mago, visionari e stupratori ai margini del cattolicesimo, famiglie spaccate dalla Società Torre di Guardia, piccoli imprenditori indebitati per pagare i corsi di multinazionali americane, cultori di improbabili riti sessuali, membri di fasulli priorati di Malta, praticanti di un vudù casalingo, per non parlare di un astioso sedicente "guardiano dell'Anticristo" che quando non beve fa anche il meccanico.

Maurizio si era laureato in psicologia, ma lo studio distaccato dei casi umani o le tecniche della terapia non erano affatto la sua vocazione. Quello che sapeva fare era muoversi dentro quest'altro Veneto parallelo, raccogliendo pazientemente storie e soprattutto carta: ritagli di giornale, riviste, opuscoli introvabili, volantini, documenti di processi, testimonianze manoscritte. La casa di Maurizio, una stretta palazzina a tre piani che ricorda certe case olandesi, era un'unica biblioteca, dall'ingresso, su per le scale, sotto e sopra il letto di Maurizio, nello studio e fino nell'abbaino. Questo grandioso archivio sulle sette era affiancato poi da altre collezioni. Una serie di ordinati raccoglitori conteneva quasi tutti i volantini usciti nella provincia di Venezia durante il '68, oltre a molto materiale sulla storia locale. Ma Maurizio collezionava anche cartoline, gufi di ceramica, oggetti militari e persino le grandi chiavi che si usavano una volta nelle case contadine, usandoli per arredare con eleganza la sua casa.

Quello di Maurizio era, per dimensioni, il secondo archivio d'Italia in tema di sette, con la differenza che il primo - quello del CESNUR - gode di sostanziosi finanziamenti regionali, del patrocinio di uno degli avvocati più ricchi di Torino e della benevolenza di non pochi dei gruppi studiati, pronti a offrire i loro materiali.

Maurizio invece aveva creato il suo archivio da solo, pescando persino nel grande bidone per i rifiuti di carta piazzato davanti a casa sua: cosa che faceva, come sempre, con assoluta indifferenza per quello che gli altri potevano pensare di lui. Persona totalmente trasparente, con i suoi vecchi maglioni, incapace di farsi il nodo la cravatta, pronto a dire parolacce in veneto nelle circostanze meno appropriate, Maurizio era. Ed essendo se stesso, semplicemente, ovunque, era totalmente privo di un'immagine da difendere.

Maurizio era un solitario che viveva circondato dalle persone. Circondato da parenti, come conviene nelle famiglie contadine; dagli abitanti del paese; dai membri e amici dell'ARIS; e da una piccola ma spietata schiera di squali, su cui si dirà qualcosa più avanti.

L'ARIS Veneto - Associazione ricerca e informazioni sulle sette - è un piccolo gruppo di persone che da anni si batte, con forze impari, contro le multinazionali settarie. A differenza di altri gruppi che si occupano delle sette, non è legato alla Chiesa. Non è necessario condividerne tutte le scelte per rendersi conto che si tratta comunque di qualcosa di molto raro nel panorama di coloro che in Italia si occupano di sette: i membri sono persone in buona fede, che operano con grande umiltà e senza secondi fini. Si tratta per la maggior parte di persone molto normali, la cui vita è stata sconvolta dall'improvvisa irruzione di qualche organizzazione, in particolare la Società Torre di Guardia e Scientology. Maurizio, grazie alla sua cultura, al suo archivio, ma anche ad altre doti, era certamente il pilastro intellettuale del gruppo.

Ma Maurizio si occupava anche di molte altre cose. Spesso tornava a casa all'alba, dopo una notte passata a tenere compagnia a una comunità di persone affette dall'AIDS; ma come sempre, venivi a saperlo per caso: Maurizio nascondeva nulla di sé, ma allo stesso tempo non esibiva nemmeno nulla.

Non credo che Maurizio si rivolgesse da psicologo agli ammalati: aveva altre doti. Nella sua assoluta umiltà, sapeva essere amico. Lo avevo sperimentato personalmente. Ero uscito da poco da un gruppo totalitario, Nuova Acropoli. Anche se non era paragonabile per chiusura mentale alla Torre di Guardia, era comunque un ambiente in cui era normale diffidare del mondo esterno. I miei primi contatti con chi si occupa in Italia di sette, erano stati in gran parte negativi. Si tratta di un argomento poco noto e che viene - erroneamente - considerato una questione "religiosa"; per cui a occuparsene sono in genere persone di chiesa; e tra le persone di chiesa, quelle più ostili a qualunque novità, oppure persone che non vedono altro che una questione teologica in quelle che sono invece soprattutto esperienze, spesso drammatiche, di vita. Con qualche lodevole eccezione, il claustrofobico mondo degli "esperti di sette", in genere autonominati, non è sempre facile da distinguere dal mondo di coloro che si lamentano perché "i giovani non portano più rispetto" o perché "le famiglie non sono più unite"; mentre non mancano paranoici, complottisti, visionari e un certo numero di profittatori e ciarlatani.

Conoscere Maurizio fu per me fondamentale: ecco una persona che critica certamente le sette, ma è assolutamente limpida, che sa ascoltare senza giudicare, che ti offre un bicchiere di vino, un sorriso e un po' di sana saggezza veneta, ma che vuole anche, semplicemente, capire. E che si preoccupa realmente per le persone. Anche dal punto di vista più concreto. Chi studia le sette tende infatti quasi sempre a trascurare il fatto che il fuoriuscito si trovi in genere senza casa, lavoro o famiglia, magari a una certa età, come se fosse un insignificante danno collaterale.

So che in tanti abbiamo avuto lo stesso prezioso dono da lui. Un dono non quantificabile, perché come si potrebbero mai valutare le ore che Maurizio ha dedicato, sempre a proprie spese, a dare una mano agli altri, senza però la minima traccia dello spirito del benefattore, semplicemente perché si sentiva di farlo?

Molti amici, esasperati, hanno accusato Maurizio di non farsi pagare quasi mai per le sue attività di psicologo. Hanno torto: un amico e uno psicologo sono due cose diverse. Maurizio tramite l'amicizia otteneva più risultati di qualunque psicologo, eppure l'amicizia è impossibile senza la gratuità.

Questo è forse il motivo fondamentale per cui Maurizio ha passato tutta la vita senza un soldo. Era sempre in movimento, in viaggio attraverso l'Italia per incontrare persone che erano state vittime di sette, a preparare perizie psicologiche, a raccogliere documentazione. Altri avrebbero saputo trasformare tutta questa capacità ed energia in un lavoro redditizio, ma non lui. Troppo libero per lavorare per altri, di umore troppo variabile per organizzarsi in proprio, assolutamente incapace di chiedere soldi alle molte persone che aveva aiutato. Come era incapace di limitare le proprie spese, quando si trattava di libri o di telefonate. Aveva bisogno probabilmente di qualcuno che lo aiutasse con la stessa gratuità con cui lui aveva aiutato altri.

Trovò invece qualcuno che lo sfruttò nella maniera più disonesta, sfruttando il suo lavoro per arricchirsi e dandogli in cambio solamente qualche briciola. Maurizio era disarmato di fronte alla malafede di persone che si presentano come amici; e quel qualcuno sapeva esattamente come manipolare la sua umiltà e generosità.

Quel qualcuno aveva già sfruttato fino in fondo la miniera economica offerta dalle sofferenze delle vittime delle sette. Pochi anni fa, per acquistare un titolo fasullo di cavaliere, non ha esitato a spendere somme che sarebbero bastate a mantenere Maurizio per anni.

Maurizio è certamente morto anche perché sapeva, a quarantanove anni, di non essere riuscito a guadagnarsi nemmeno il minimo per sopravvivere in maniera autonoma.

Maurizio era, a modo suo, un conservatore. Anzi, era felice di dichiararsi di destra, leghista, o addirittura indipendentista veneto. Ma era quel tipo particolare di reazionario che dice, "l'Italia finisce al Po", per poi offrire ospitalità per giorni a casa sua a laureandi meridionali. E le sue battute di parte, più che idee, non hanno mai influito sulle sue attività, né sul suo rapporto con le persone, né sull'ARIS.

Era invece cattolico. Anche qui, a modo suo. Gran bestemmiatore, privo di ogni traccia di moralismo o di giudizio, nessuno può accusarlo di aver mai cercato di convertire qualcuno. Eppure, era profondamente credente, con una fede che è difficile scindere - come a volte succede con i veneti - dall'identificazione con il luogo natale. Forse esistono due specie di virtù cristiane: quelle legate all'apparire, al comportamento decoroso, per non dire ipocrita, mancavano totalmente a Maurizio. Ma esistono anche altre virtù cristiane, l'umiltà autentica perché non sa di essere tale e la donazione di se stessi; e queste Maurizio le aveva in quantità illimitata.

Perché Maurizio è morto?

Occupandosi delle sette più varie, Maurizio si era certamente creato un gran numero di nemici, compresi alcuni decisamente squilibrati e pericolosi. è comprensibile che la magistratura abbia aperto un'inchiesta.

Ma in realtà, un omicidio è davvero improbabile. Non solo perché il referto medico parla chiaro e perché non esiste il minimo indizio che lo suggerisca.

Proprio nei giorni precedenti alla sua morte, Maurizio aveva fatto telefonate drammatiche a diversi amici, e molti erano preoccupati per la sua situazione.

Maurizio aveva un grande senso dell'umorismo, una vicinanza spontanea alle persone; ma velata da qualcosa di triste. Era indubbiamente un eccentrico, estremo nei pregi e quindi anche nei difetti, inadatto a vivere in tempi come i nostri. La sua profonda solitudine interiore, il crescente senso di fallimento, la fuga nell'alcol e una confusione che cresceva sempre di più, periodi sempre più lunghi di isolamento in casa, i lavori fatti in maniera sempre più approssimativa: non credo che sia giusto negare queste cose per proteggere una sua immagine alla quale lui non teneva affatto.

Forse non ci rendevamo conto che sarebbe finita così; ma adesso, guardando indietro, sappiamo tutti che si trattava dell'ultima tappa, a suo modo logica, di un lungo processo.

Se è giusto che la magistratura indaghi, è più difficile trovare una scusa per le varie persone che in questi giorni cercano di insinuare che Maurizio sia stato assassinato. Qualcuno, forse, lo fa per una forma errata di pietà cristiana: non lo ha fatto però il parroco di Trivignano, che conosceva molto bene Maurizio. Ai funerali, ha parlato senza esitazione della disperazione di Maurizio e anche delle colpe di chi ne aveva manipolato la generosità, ma non certo di misteriosi assassini.

Ma altri sappiamo bene chi sono: persone che in passato hanno sfruttato Maurizio, o che comunque non gli sono mai state vicine, che cercano improvvisamente di darsi un ruolo eroico come vendicatori di un martire inesistente. Magari impossessandosi allo stesso tempo, con poca fatica, dell'archivio che Maurizio aveva costruito nei decenni, e approfittando delle paure irrazionali che l'argomento delle cosiddette sette comunque suscita.

Un omicidio, oltre a una vittima, deve avere un colpevole. E sarebbe davvero triste se visionari, millantatori o semplici profittatori a un certo punto cominciassero a cercare persone cui addossare la colpa.

Sono già comparsi alcuni investigatori privati, offrendosi di condurre indagini; mentre qualcuno è arrivato a esprimere alla stampa l'intenzione di costituire i "nuclei antisette Maurizio Antonello", si spera non armati.

Maurizio, pur occupandosi criticamente delle sette, non era mai stato un complottista. Aveva buoni rapporti con esponenti di curiosi gruppi cristiani, con alcuni pagani e satanisti. E sapeva distinguere molto bene tra un pericolo reale e un pericolo immaginario.

Non possiamo sapere se Maurizio abbia scelto in maniera del tutto lucida di uscire da questo mondo. Ma sappiamo che è morto anche perché non sapeva accettare quelle piccole mistificazioni che noi, persone più normali, creiamo continuamente. Sarebbe davvero vergognoso trasformare la sua stessa morte in una mistificazione.


Miguel Martinez 






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