La bellezza come arma politica

Tre in uno: jazzista, scrittore e attivista
una conversazione con Gilad Atzmon

terza parte
 




di Manuel Talens


Per agevolare la lettura, questa intervista è stata divisa in più parti.

Alla nota introduttiva
Alla parte successiva

MT: Mentre facevo le mie ricerche su di te per preparare questa intervista, ho scoperto un incredibile sito sionista, che mostra quello che loro chiamano una SHIT LIST [ndt: Hit list indica un elenco di persone da uccidere; shit invece significa, volgarmente "merda", e qui fa da acronimo di Self-Hating and/or Israel-Threatening List - "Elenco di odiatori di sé e/o che minacciano Israele"], praticamente una lista nera pubblica di "nemici". Ovviamente c'è un lunga attacco a te. Molte delle espressioni espresse lì sono decisamente offensive e forse sfiorano il penale, ma a parte le implicazioni morali di queste malevole liste o il pericolo fisico che impongono alle vite di tante persone, quello che vorrei sottolineare adesso è che sei in compagnia di diverse persone che noi gentili rispettiamo molto: Woody Allen, Noam Chomsky, Nadine Gordimer, Naomi Klein e persino lo straordinario poeta e umanista Natan Zach. Hai qualche commento da fare a proposito?

GA: Sono molto lieto e onorato a essere messo nello stesso elenco con una tale compagnia. Inoltre, penso che la SHIT LIST costituisca una splendida vetrina delle tattiche adoperate dall'identità contemporanea della terza categoria. Ma la cosa assurda è che alcuni degli attivisti ebrei di sinistra che sono stati messi sull'elenco si sono a loro volta impegnati a produrre simili liste dei propri avversari. Suggerisco loro di lasciarsi dietro la filosofia Kasher e di diventare parte del movimento di solidarietà palestinese, locale e globale.

MT: Mi permetto di spiegare ai lettori il termine ebraico kasher. In realtà, kasher si riferisce alle leggi dietetiche ebraiche, stabilisce ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, quello che va e quello che non va. In origine, significa genuino e si riferisce ai requisiti della legge ebraica per la preparazione del cibo, ma si usa anche come sinonimo di ebraicità. Andiamo avanti:

Louis Althusser ha coniato il termine di "apparati istituzionali dello stato", per dire che qualunque stato, a differenza del popolo nel suo insieme, impone e dà sempre continuità a particolari interessi di classe attraverso strumenti repressivi specificamente costituiti a tale scopo, cioè la polizia, le leggi, il diritto di ricorrere alla violenza e anche di uccidere, e così via. Dimmi innanzitutto se sei d'accordo con questo concetto marxista, e se lo sei, cerca di applicarlo allo stato d'Israele, definendo dove ritieni che si trovi il centro della politica sionista.

GA: Di nuovo, le cose sono un po' più complesse quando si tratta di Israele e dell'ebraicità. Chiaramente, sono d'accordo con Althusser. In pratica, Israele è uno strumento politico che serve e sostiene l'egemonia dell'elite ashkenazita. La situazione potrà cambiare nel prossimo futuro. Una volta che gli ebrei sefarditi si renderanno conto che i loro legami storici con i propri vicini arabi sono stati distrutti dalla filosofia espansionista ashkenazita, Israele potrà forse diventare un'unica Palestina.

Passiamo alla seconda parte della tua domanda. Io non so dove si trovi il centro della politica sionista. Si trova nel gabinetto di Sharon? A Wall Street? Tutta la storia dei neocon è forse un'altra mossa pragmatica sionista? Ma non penso che sia importante. Io preferisco guardare al sionismo in termini di una "operazione in rete", in cui ciascun membro operante è pienamente cosciente del proprio ruolo, ma solo di quello. Se le cose stanno così, allora Israele e il sionismo andrebbero visti come una particolare struttura colonialista all'interno di un movimento globale ben più ampio.

MT: Hai parlato della globalizzazione. Dimmi cosa ne pensi dei legami stretti, quasi coniugali tra lo stato d'Israele e il progetto imperiale statunitense, senza dimenticare di analizzare dal tuo punto di vista il ruolo svolto in quei legami dalla sinistra istituzionale israeliana.

GA: In origine, Israele è nato per servire gli interessi globali angloamericani. È evidente che le cose non stanno più così. L'America sta lottando (in maniera fallimentare) contro le ultime tasche di resistenza araba contro il colonialismo sionista. Per quanto riguarda il ruolo della sinistra israeliana in questa faccenda di assassinio globale, direi che dobbiamo procedere in maniera cauta. Tradizionalmente, la sinistra israeliana è stata associata al Partito democratico statunitense. Negli anni Ottanta, il Likud ha creato legami molto forti con l'estrema destra dei repubblicani. Questo sodalizio è oggi talmente forte che gli Stati Uniti sono disposti a mandare i propri soldati a morire per gli interessi strategici israeliani (cioè, l'invasione dell'Iraq).

Se vuoi parlare della sinistra istituzionale israeliana, ti devo informare che la sinistra israeliana è un'entità puramente verbale. Non c'è nulla dietro. Il motivo è semplicissimo. Se Israele è lo stato del popolo ebraico, allora ogni pensiero di sinistra all'interno di un tale ambiente politico nazionalista si deve realizzare in termini di "socialismo nazionale ebraico" (credo che queste parole suoneranno familiari). Certo, c'è un numero molto ristretto di persone di sinistra in Palestina che sono casualmente di origine ebraica. Come sappiamo, essi non si definirebbero mai come israeliani o come sionisti di sinistra, ma piuttosto come "palestinesi di lingua ebraica", "ebrei palestinesi" o qualcosa del genere.

MT: In rete, ti hanno accusato di moltissime cose, ma forse le due accuse più gravi sono negazione dell'olocausto e istigazione a dare fuoco alle sinagoghe, entrambi reati puniti dalla legge. Cosa ne dici?

GA: Credo che tu ti sia risposto da solo. Anche se queste accuse sono punibili per legge, nessuno mi ha mai convocato in commissariato… Si tratta evidentemente di accuse vuote, che servono a una causa specifica, soprattutto all'interno della comunità della terza categoria. Se ti interessa, c'è una lista parziale di queste menzogne su di me, seguita dalle mie risposte.

Però forse vorresti che fossi più preciso. Mentre l'accusa riguardante l'istigazione a incendiare le sinagoghe è una menzogna spudorata, la mia posizione sull'olocausto è più complessa. Io non nego l'olocausto o il giudeocidio nazista. Semplicemente, insisto che sia l'olocausto, sia la seconda guerra mondiale andrebbero trattati come eventi storici e non come mito religioso. La storia della seconda guerra mondiale e dell'olocausto è piena di contraddizioni. Ci sono grosse domande che sono rimaste senza risposta. Perché gli americani non hanno bombardato Auschwitz? Perché hanno aspettato fino al giugno del 1944 per sbarcare in Normandia? Fu forse perché Stalin stava cominciando ad avanzare attraverso l'Europa centrale? Perché gli alleati hanno bombardato le città tedesche, invece di distruggere le strutture logistiche e i principali obiettivi militari? Era forse perché non volevano distogliere l'esercito di Hitler dalla lotta contro Stalin? Perché gli americani hanno attaccato Hiroshima e Nagasaki con armi atomiche? Forse perché i rossi avevano appena dichiarato guerra al Giappone, e avrebbero potuto interferire con i loro interessi nel Pacifico? Chiaramente, un'analisi storica della seconda guerra mondiale svelerebbe il fatto che il vero nemico, dal punto di vista angloamericano, era Stalin e non Hitler. La narrazione dell'olocausto serve per nascondere questa interpretazione piuttosto convincente, ma preoccupante.

La questione decisiva qui è, perché non ci permettono di applicare metodi accademici a quel capitolo decisamente storico. La risposta è molto semplice. L'olocausto viene oggi considerato dalla maggioranza degli ebrei e degli angloamericani come la nuova religione occidentale.

MT: Intendi un dogma, un principio ritenuto indiscutibile?

GA: sì, ma l'olocausto è molto più di un semplice dogma religioso. Ciò che trasforma la religione in un sistema unico di credenze è l'accettazione di un racconto non realistico. La credenza è l'esito di un'accettazione cieca di una narrazione sovrannaturale. La forza della religione dell'olocausto sta nel carattere non realistico del racconto. La narrazione dell'olocausto viene strutturata come un incubo orribile: è la storia metamorfica di un uomo che viene trasformato in una macchina omicida. Ma anche se accettiamo l'olocausto come la nuova religione liberaldemocratica angloamericana, dobbiamo permettere alle persone di esser atee. Per qualche motivo, siamo molto meno gentili verso chi non crede alla religione dell'olocausto. In alcuni paesi, è persino entrato a far parte del codice penale, un fatto che rafforza la forte intenzionalità politica di questo dogma artificialmente sacralizzato dall'alto: non credere all'olocausto oggi costituisce un reato penale.

MT: Sì, conosco bene la criminalizzazione della miscredenza. La Chiesa cattolica è piena di dogmi strani, ad esempio, la Santissima Trinità o la verginità di Maria nonostante fosse madre; e alcuni secoli fa ti potevano mettere al rogo se non ci credevi.

GA: Sì. Più è fantastica la narrazione, più forte si rivela essere la tua fede. Il valore veritativo dell'evento è irrilevante, perché nessuno si preoccupa veramente di controllare se Maria fosse una vergine o se il roveto ardente di Mosè nella Bibbia sia stato un reale fatto storico. Credere vuol dire accettare ciecamente. Però, la religione ha sempre uno scopo: la religione dell'olocausto serve a costituire il nucleo stesso del discorso liberaldemocratico. Serve a mantenere il legame tra il colonialismo sionista e l'espansionismo occidentale. In altri termini, la validità dell'olocausto come fatto storico perde di importanza. Ecco dove io intervengo. Non sono uno storico e non intendo impegnarmi nella questione storica, se le vittime ebree siano state 6 milioni o 2,5 milioni. Io sostengo che la questione aritmetica è irrilevante, per non dire sciocca, perché l'omicidio è sempre omicidio, che si uccida una persona sola o tante. Piuttosto, direi che se anche "solo" pochi ebrei o zingari fossero stati uccisi a causa della loro origine etnica, questo sarebbe comunque abbastanza tragico da costituire un capitolo veramente traumatico della storia. Eppure la domanda rimane: cosa trasforma una narrazione storica in religione?

Voglio suggerire una risposta: i palestinesi, ad esempio, sono le ultime vittime di Hitler. Il fatto che vivono in campi profughi da quasi sei decenni è la conseguenza diretta del giudeocidio nazista, perché il sionismo ha stabilito lo stato d'Israele nella loro terra come conseguenza dell'olocausto. Quindi io sostengo che la storia della seconda guerra mondiale appartiene ai palestinesi tanto quanto agli ebrei o a chiunque altro. Ma è proprio qui che inizia il problema. Una volta che l'olocausto si trasforma in religione, cessa di essere un capitolo della storia. Gli ebrei vengono considerati come le vittime definitive e i palestinesi sono semplicemente vittime di seconda classe, cioè "vittime delle vittime". Una volta che l'olocausto diventa religione, non è più permesso l'ingresso a nessuno. Io tendo a credere che la narrazione ufficiale dell'olocausto sia stata creata dai vincitori angloamericani. E serve ai loro scopi. Concordo con molti storici che ritengono che il rito industriale degli ebrei come vittime è iniziato dopo il 1967 e che i promotori abbiano deciso che l'olocausto doveva servire all'espansionismo occidentale.

MT: E Hitler?

GA: Tutto questo non significa affatto che Hitler fosse innocente. Hitler fu un assassino spietato, ma non fu l'unico. Credo che vadano attribuite grandi colpe agli angloamericani. Le stesse persone che hanno raso al suolo Dresda e Amburgo hanno liquidato gli abitanti di Hiroshima e Nagasaki. Non sorprende, quindi, che le stesse persone che si sono lasciate dietro 2 milioni di morti nel Vietnam abbiano devastato l'America Latina per gli ultimi sei decenni. Caso strano, la stessa gente che ha aiutato gli israeliani a rinchiudere 1,3 milioni di palestinesi a Gaza sta adesso distruggendo Baghdad, Fallujah, Mosul e Tikrit. E come se non bastasse, si tratta della stessa gente che non è corsa a soccorrere i neri poveri di New Orleans appena due settimane fa. L'America porta cattive notizie. Ma a essere sinceri, non si tratta nemmeno più di notizie, sono cose ormai scontate. In breve, se vogliamo un mondo migliore, dobbiamo piuttosto riscrivere la storia del ventesimo secolo. Dovremmo dire che questo massacro in nome della "libertà" e della "democrazia" va fermato. È nostro dovere guardare nella nostra stessa storia e rivederla in modo attivo. È nostro dovere far sì che il ripensamento storico, il revisionismo, entri a far parte del nucleo stesso del discorso della sinistra. Io sostengo che la storia ufficiale della seconda guerra mondiale serve a nascondere alcuni delitti di una dimensione sconvolgente. Hitler è stato sconfitto sessant'anni fa, gli Stati Uniti hanno vinto una guerra sanguinosa, ma da allora, non hanno mai smesso di gettare bombe su civili innocenti. Per liberarci, dobbiamo risistemare il ventesimo secolo [ndt: il riferimento è anche al titolo di un album di Atzmon], e prima lo facciamo, meglio è. E se l'olocausto è adesso un evento non più storico, se è diventata pura religione, io insisto che lo si tratti teologicamente. Detto per inciso, è esattamente quello che faccio.

MT: Cosa proponi idealmente per una soluzione equa all'apparentemente interminabile conflitto israelo-palestinese?

GA: Una sola risposta è possibile, e cioè la Soluzione dello Stato Unico. Come forse saprai, io non credo a una soluzione pacifica, cioè alla pace tra Israele e i palestinesi. Una simile soluzione non affronterebbe il 'diritto di ritorno' dei palestinesi. Ma in realtà la questione è più profonda. La nozione di pace è del tutto aliena alla psiche dell'ebraicità. Sharon ha detto recentemente che Israele vuole la pace (shalom), ma che insiste a "stabilirne i termini e le condizioni". Chiaramente, per Sharon la pace è una decisione pragmatica, il prodotto di un successo piuttosto che l'attuazione di un concetto di compassione e di riconciliazione. La dichiarazione di Sharon rivela un importante scontro culturale giudeocristiano. La fondamentale differenza tra ebrei e cristiani si potrebbe riassumere in una frase: i cristiani sono ebrei che amano il proprio prossimo. Che le cose siano così nella pratica ci lascia con un grosso punto interrogativo. Ma resta chiaro che il pensiero occidentale dà valore alla compassione e all'amore dell'Altro, e questo è uno dei motivi per cui gli ebrei non hanno mai potuto confondersi in massa con l'ambiente culturale occidentale. L'ebraicità è una celebrazione della negazione. Gli ebrei (in particolare quelli ashkenaziti) si sono sempre chiusi dietro i muri dei ghetti. Non sorprende quindi che applichino le stesse tattiche del muro anche in Israele. Questa specie di identità isolazionista non può mai accettare una vera pace.

Anche all'interno dei circoli politici del movimento operaio, gli ebrei hanno costituito alcune cellule separatiste (come il Bund all'interno dei Soviet e altre organizzazioni esclusivamente ebraiche di sinistra). Così, una soluzione pacifica è inconcepibile. Quindi, per poter arrivare a qualche forma di riconciliazione tra i due popoli, l'identità ebraica [ndt: Atzmon usa il termine "Hebrew" che riflette l'aspetto etnico e non religioso] va sconfitta, e si sconfiggerà soprattutto da sola. Dobbiamo aiutare gli israeliani a desionizzarsi. Quando quello che succederà, non dovremo dimenticare di desionizzare anche noi stessi… mi riferisco in particolare alla Gran Bretagna di Blair e agli Stati Uniti. Direi che la desionizzazione della Palestina costituisce un elemento chiave nel nostro processo di liberazione globale.

MT: L'identità isolazionista che hai appena descritto mi ha fatto venire in mente il muro che hanno costruito in Israele, ma la scusa ufficiale è che serve per difendersi dal terrorismo.

GA: Chiamare "terrorismo" un atto di lotta di liberazione è già di per sé sintomatico del nuovo discorso occidentale alla cui testa si trova il sionismo. Ciò si applica chiaramente a Israele, ma anche agli americani e agli inglesi. Chiaramente gli iracheni hanno lo stesso diritto di combattere le forze straniere d'invasione che hanno i palestinesi di lottare per liberare la propria terra.

MT: Hai parlato della lotta di liberazione. Cosa ne pensi degli aspetti etici della creazione d'Israele nel 1948 da parte dell'ONU su un pezzo di terra già abitato dai palestinesi? E della successiva espulsione di circa 750.000 di loro?

GA: La creazione d'Israele e l'espulsione dei palestinesi dalla loro terra solleva un'ulteriore questione. Come è stato possibile che gli ebrei abbiano commesso un'atrocità di tale portata ad appena tre anni dalla fine della seconda guerra mondiale? Si tratta di una questione molto importante, e mi sembra che nessuno finora sia riuscito a trovare una risposta chiara. Io posso pensare a due possibili risposte: 1) gli uomini e le donne sioniste [ndt: Atzmon usa l'intraducibile parola "Hebraic" che sottolinea l'aspetto di scelta identitaria, sia linguistica che nazionalistica, e quindi non religiosa] sono persone incapaci di condivisione con gli altri esseri umani. Per loro, la sofferenza degli altri è semplicemente priva di significato. Questo potrebbe essere l'esito del codice suprematista ebraico. Potrebbe anche spiegare il fatto che dopo sessant'anni di oppressione israeliana, non si sente una sola voce sionista che esprima dispiacere per questo peccato originale. 2) I sionisti del 1948 erano tutt'altro che ebrei traumatizzati. In altri termini, per loro l'olocausto non era ancora diventato un evento cruciale. Come stiamo imparando adesso da Segev e Finkelstein, ci sono voluti molti anni perché gli ebrei interiorizzassero e formassero la narrazione collettiva dell'olocausto, per non parlare del trauma. A quanto pare, il Sabra (israeliano nativo) del 1948 era carico di disprezzo verso l'ebreo della diaspora. I palestinesi hanno aiutato il Sabra a redimersi dall'umiliazione imposta dall'immagine debole e disperata dell'indifeso ebreo della diaspora. Questo modello psicologico è fondamentale per capire la politica israeliana. Uccidere gli arabi unisce sempre gli israeliani dietro i loro leader.

MT: Negli ultimi anni, i media ufficiali spagnoli hanno data grande pubblicità all'esperienza di Barenboim e Said nel creare quello che chiamano uno strumento musicale di pace, il West Eastern Divan Orchestra, composto da giovani musicisti israeliani e palestinesi e con sede a Siviglia. Non ho assolutamente nulla in contrario a qualunque cosa possa portare l'armonia sociale da qualunque parte, ma mi colpisce il fatto che mentre Barenboim dirige i suoi allievi negli auditorium europei di fronte a platee commosse, a Gaza e a Tel Aviv, le bombe continuano a scoppiare. Mi ricorda in qualche modo l'insistenza della vecchia Chiesa Cattolica a mandare missionari a compiere opere di carità (e va benissimo, perché oggi fanno un grande lavoro che altrimenti non farebbe nessuno) senza però confrontare il vero cuore del problema: l'ingiustizia politica ed economica del mondo, né tantomeno le persone responsabili di tale ingiustizia. Non pensi che simili atteggiamenti distolgano ingenuamente l'attenzione, facendola cadere su cose meramente aneddotiche, e non facciano altro che mantenere lo statu quo? Cosa ne pensi dell'opera di Barenboim come "missionario" di pace dall'interno del sionismo?

GA: Sono d'accordo in parte, anzi spesso critico Barenboim perché è un sionista e diffonde il messaggio sionista. Però penso che Barenboim stia facendo un grande lavoro. Innanzitutto, egli supera la divisione. Poi, offre ai giovani musicisti della regione un'occasione per lavorare con il più grande genio musicale (Barenboim stesso). Ma la cosa più importante è che Barenboim riesce a infastidire gli israeliani e a smascherare il loro atteggiamento reazionario. Pensa, Barenboim che diventa persona non grata semplicemente per aver suonato Wagner a Gerusalemme, non è meraviglioso? Penso che Barenboim riesce a gettare luce sugli angoli più patetici della psiche ebraica. Quindi devo dire che se prendiamo in considerazione tutti questi aspetti dell'attività di Barenboim, il suo è un contributo più che positivo al movimento di solidarietà con la Palestina.

Per rispondere alla tua domanda, è ovvio che Barenboim on può impedire agli israeliani di lanciare bombe. Essere israeliani vuol dire essere impegnati in una negazione omicida. Per gli israeliani, e a volte anche per gli ebrei post-talmudici, essere vuol dire odiare. Una volta che gli israeliani smetteranno di lanciare bombe e di odiare il mondo attorno a loro, cesseranno di essere israeliani e diventeranno "palestinesi di lingua ebraica". Ti assicuro che questo è qualcosa che succederà da solo, si tratta di uno spostamento demografico inevitabile. Noi, i sostenitori della Palestina, abbiamo un solo compito. Quello di aiutare i palestinesi a sopravvivere per i prossimi vent'anni. Dobbiamo fermare la pulizia etnica che è già ampiamente in corso. Dobbiamo portare la speranza ai palestinesi comuni. Il nostro compito è di smascherare gli israeliani e la loro agenda sionista. Possiamo mettere la loro società e i loro politici sotto pressione. È quello che fa Barenboim. Lui offre la speranza attraverso la bellezza, proprio perché la bellezza è la sua arma, e mi sembra che lui la usi in maniera piuttosto efficace.

Non è così facile essere ebreo e aiutare i palestinesi; quando lo fai, caschi immediatamente nella trappola sionista, diventando un ebreo giusto. A essere ebrei, ci si trova sempre in una situazione senza uscita, perché puoi solo vincere. Vedi, essere ebrei comporta una grande complessità: se sei a favore dei diritti palestinesi, finisci per dimostrare che gli ebrei sono "grandi umanisti". Se sei contro i diritti dei palestinesi, non è in verità perché sei malvagio, ma piuttosto perché sei la "vittima disperata di due millenni di incessante persecuzione e vuoi solo vivere in (fottuta) pace nella tua (fottuta) patria storica". Come vedi, non appena sei disposto ad agire sotto una bandiera ebraica, permetti ai sionisti di vincere. Qualunque cosa tu decida di fare, finisci per approvare la chiamata sionista, o sei una vittima o sei un angelo. Come sai, io ricevo molti attacchi solo per smaschero questa complessità. Ecco perché io stesso sono scappato dalla totalità dell'identità ebraica. Io sono un ex-ebreo. La mia personale bontà o malvagità non ha nulla a che vedere con qualunque gruppo diverso da me stesso (me, me stesso e io). Ma non sono in grado di dire ad altri di entrare a fare parte di una tale categoria. Posso suggerire a Barenboim e altri che questo potrebbe essere un percorso interessante da prendere in considerazione.

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