La bellezza come arma politica

Tre in uno: jazzista, scrittore e attivista
una conversazione con Gilad Atzmon

prima parte
 




di Manuel Talens


Per agevolare la lettura, questa intervista è stata divisa in più parti. L'intervista vera e propria inizia in questa parte.

Alla nota introduttiva
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memoria

Intervista pubblicata sulla rivista messicana Memoria



Manuel Talens: Chi sei?

Gilad Atzmon: Ottima domanda! Io sono sicuramente l'ultimo a saperlo. Presumo di essere un musicista jazz, e questo significa che sono impegnato nel reinventarmi. Per potermi reinventare, mi occupo soprattutto di questioni che riguardano me stesso. Una buona domanda iniziale è, chi potrei essere. Una gran parte dei miei scritti e della mia critica al sionismo e all'economia globale trae spunto dalla mia tendenza a riflettere su me stesso e a rivedermi criticamente.

MT: Giochiamo a fare l'analista e l'analizzato: io deduco che se hai bisogno di reinventarti, è perché non sei felice di ciò che sei. Dimmi per favore se hai qualche problema con il fatto di essere ebreo.

GA: Dico sempre che concedere interviste mi fa risparmiare il denaro che avrei speso per andare dallo psicanalista. Credo che la necessità di reinventarsi non costituisca necessariamente una fuga. Piuttosto, si tratta di una ricerca della vera essenza. Infatti, il processo di reinvenzione trae la propria forza da un chiaro assalto all'io. Cominci a suonare quando smetti di pensare. Per usare la terminologia di Lacan, potresti dire "tu sei là dove non pensi". Può sembrare strano, ma mi rendo conto adesso che è stato il mio amore per il jazz a rendermi sempre più critico dell'identità ebraica e del sionismo. All'età di diciotto anni, quando sarei dovuto diventare un soldato del suprematismo giudaico, mi sono innamorato di Coltrane e Bird. Fu allora che mi resi conto che la cultura che mi ispira (quella afroamericana) non aveva nulla a che vedere con la cultura per cui io avrei dovuto combattere.

MT: Ma non hai risposto alla domanda, almeno non nei termini in cui io l'avevo pensata. Ti voglio ricordare che questa intervista sarà soprattutto rivolta a lettori ispanofoni non ebrei, che non sono necessariamente al corrente delle idiosincrasie del popolo ebraico. Io voglio sapere se ti senti a tuo agio come ebreo - considerando il fatto che nessuno sceglie le proprie origini - e lo faccio perché alcune delle mie domande successive tratteranno le delicate questioni dell'antisemitismo e del cosiddetto odio di sé ebraico. Ripeto: è un problema per te essere ebreo?

GA: Niente affatto, perché non mi considero ebreo. Ciò detto, provo simpatia per gli ebrei religiosi, proprio come provo simpatia per i gruppi religiosi e la fede religiosa in generale, ma provo molto meno simpatia per l'identità ebraica laica. Io sostengo che una volta che spogli l'ebraicità dal suo contenuto spirituale, ti rimane solo il razzismo. Vedi, io non sono né un ebreo religioso né un ebreo laico. Quindi non posso considerarmi ebreo.

MT: Beh, è un'affermazione piuttosto forte, che non mi aspettavo. A dire il vero, se accettiamo il concetto semiotico che afferma che la lingua costituisce il mondo interiore in cui viviamo, un mondo che non è mai neutrale e che modella il nostro modo di pensare, dopo averti sentito parlare in ebraico con tua moglie e con i tuoi figli, mi aspettavo di trovarti a tuo agio - anche se ovviamente critico - all'interno del campo linguistico in cui sei cresciuto. Va ricordato che l'ebraico non è una lingua franca più o meno denazionalizzata, come il francese o l'inglese, ma è la lingua resuscitata degli ebrei. Quindi, se sei stato allevato come un ebreo laico, ma non accetti più di esserlo, cosa sei adesso, un uomo di cultura?

GA: In realtà, mi considero un palestinese di lingua ebraica. Parlo infatti l'ebraico, e la mia patria è la Palestina. Al contrario di Israele, una struttura politica razzista e nazionalista, la Palestina è un pezzo di geografia. La Palestina è autentica e genuina; Israele è artificiale e imposto. Vedi, quando provo nostalgia di casa, vado a un ristorante libanese piuttosto che a un ristorante di falafel israeliano. Però non oserei dire di essere riuscito a farmi assimilare da qualunque gruppo nazionale e sociale; e ti dirò che la cosa non mi preoccupa troppo. Il mio inglese è incerto e il mio accento rivela la mia provenienza entro pochi secondi. Ho imparato a conviverci. Sono nato e cresciuto in un certo luogo, e non ci poso fare niente. Ma ritengo che la compassione e l'empatia siano qualità umanistiche universali. Per me, staccarsi dall'ebraicità vuol dire, diventare un essere che prova empatia. Ecco verso dove sto andando, e il viaggio mi piace.

MT: Adesso dimmi perché affermi che l'ebraicità laica sarebbe semplicemente una forma di razzismo. Ci sono milioni di persone oneste di estrazione ebraica che non sono affatto religiose eppure si sentono e si ritengono ebrei, e quindi la tua affermazione mi sorprende. Me la puoi spiegare? E allo stesso modo, potresti dirmi in parole semplici cosa è il sionismo: ricordati che stai dialogando con gentili occidentali, i cui geni culturali - i cosiddetti memi - sono cristiani, e che quindi si sentono spesso perplessi quando devono affrontare nozioni come il sionismo, il semitismo o i loro antonimi, l'antisionismo e l'antisemitismo.

GA: Bene, qui bisogna chiarire una cosa. Non è l'origine ebraica che ti fa diventare razzista, quanto piuttosto l'adesione a un'identità ebraica laica che può farti diventare razzista. Come già dissi prima, una volta che togli il contenuto religioso dall'ebraicità, rimani con il concetto di sangue ebraico. Il sionismo è infatti una visione nazionalista che associa l'ebraicità alla razza piuttosto che a una fede religiosa. In quanto tale, il sionismo è essenzialmente la credenza che Sion (la Palestina) sia la patria nazionale del popolo ebraico. Questa curiosa credenza è basata, fondamentalmente, su una promessa biblica. In altre parole, i sionisti trasformano il testo spirituale (la Bibbia) in un documento del catasto. Ma, ci possiamo chiedere, che cosa è allora il popolo ebraico? Da un punto di vista sionista, gli ebrei sono coloro che il caso ha voluto fossero ebrei per razza. Infatti, il sionismo precede il nazismo. I primi sionisti parlavano di sangue ebraico e di eugenetica razziale quando Hitler ancora indossava i pannolini. Il problema è che mentre il sionismo è cominciato come un movimento politico esoterico e marginale, ed è stato criticato dalla maggior parte delle scuole ideologiche e religiose ebraiche, esso viene presentato oggi come la voce ufficiale del popolo ebraico. Io tendo a ritenere che molti ebrei - e questo include anche molti cosiddetti "ebrei antisionisti" - non sono altro che criptosionisti.

In uno dei miei articoli più recenti sostengo che quelli che chiamano se stessi ebrei si possono dividere in tre categorie principali: 1. quelli che seguono il giudaismo; 2. quelli che si considerano esseri umani casualmente di origine ebraica; 3. quelli che mettono la propria ebraicità prima di ogni altra loro caratteristica. Ovviamente, non ho alcun problema con le prime due categorie, ma la terza è piuttosto problematica. L'ebreo della terza categoria è, ad esempio: un ebreo che vive in America (piuttosto che un americano casualmente di discendenza ebraica), un ebreo che suona il sassofono (piuttosto che un sassofonista casualmente ebreo), un ebreo antisionista (piuttosto che un antisionista casualmente ebreo). Per l'ebreo della terza categoria, l'appartenenza razziale è una qualità primaria e questa, in realtà, è l'essenza stessa del sionismo. Nascere come ebreo è una cosa assolutamente innocente, ma essere ebreo non è necessariamente innocente. Tutto dipende dalla categoria che si sceglie. Se non si appartiene a una delle prime due categorie, non si è necessariamente innocenti.

MT: Scusami l'insistenza, ma vorrei che tu fossi estremamente preciso. Per me, quello che hai appena detto, quando hai detto "non si è necessariamente innocenti", suggerisce che si può ancora appartenere alla terza categoria senza essere razzisti. È quello che volevi dire?

GA: E' solo che voglio essere gentile.

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