2. Un
legittimo dubbio iperbolico: esiste veramente il “leninismo”?
E’ filologicamente accertato senza ombra di dubbio che ad
un certo punto Marx scrisse che era sicuro di una cosa sola, e cioè di non
essere “marxista”. Non ricordo esattamente il contesto preciso di questa
affermazione, ma il significato è chiaro: tutti gli “ismi” che vengono
confezionati in mio nome, e che certamente ancor più verranno confezionati dopo
la mia morte, devono essere presi con beneficio di inventario.
La stessa cosa, ovviamente, può essere detta per Lenin.
Personalmente, non credo neppure che esista una cosa univocamente definita
chiamata “leninismo”. Mi è noto, ovviamente, e lo farò io stesso nei prossimi
paragrafi, che si possono facilmente elencare alcune soluzioni date da Lenin a
problemi teorici e politici (lo sviluppo del capitalismo in Russia contro i
populisti, la teoria del partito politico contro i menscevichi, la teoria delle
alleanze di classe contro gli operaisti “luxemburghiani”, la teoria dell’imperialismo
contro le definizioni date da Kautsky e da Bucharin, la teoria del materialismo
dialettico contro l’empiriocriticismo, eccetera). Per chi conosce la storia del
marxismo, elencare queste soluzioni ed organizzarle in un sistema teorico
coerente è un gioco da ragazzi. Ma, appunto, è sempre pericoloso trasporre i
giochi da ragazzi nella teoria politica e filosofica. In proposito mi limiterò
a segnalare solo due punti principali.
In primo luogo, è storicamente e filologicamente accertato
che il termine di “leninismo” è ovviamente posteriore al 1924, anno della morte
di Lenin. Che cosa fosse il “leninismo” è oggetto di lotta politica fra Stalin,
Trotzky e Zinoviev, ognuno dei quali definisce il leninismo a suo modo. La
definizione storicamente accettata dal movimento comunista è ovviamente quella
di Stalin, che la espone in due opere successive, pubblicate rispettivamente
nel 1924 e nel 1926. Si apre una divaricazione fra il cosiddetto
“marxismo-leninismo”, sintesi accettata prima da Stalin e poi da Mao, ed il
cosiddetto “marxismo rivoluzionario”, termine che indica in realtà il
trotzkismo. In quanto Padre Fondatore del Comunismo, Lenin diventa la posta in
gioco di una guerra ideologica senza quartiere.
In secondo luogo, Lenin fu il massimo esponente di una concezione
teorica in cui le scelte politiche e ideologiche erano fatte caso per caso sulla base di una valutazione
legata all’analisi concreta di una situazione concreta. Il contrario, quindi,
degli “ismi” (di tutti gli ismi), che invece deducono la scelta politica o
teorica da un corpus dottrinale precedente. Chi ha conoscenze della
storia delle filosofia occidentale sa bene che questo approccio
individualizzante alla scelta pratica non risale affatto ad un fantomatico
“materialismo”, ma risale ad Aristotele ed alla sua teoria della cosiddetta
“deliberazione” (boulesis). Mentre nelle scelte teoriche si ha a che
fare con canoni formali e regolari (quelle che oggi chiamiamo le “leggi
scientifiche”), nelle scienze pratiche, e quella di Lenin è chiaramente una
scienza pratica della rivoluzione, si ha a che fare con una saggezza (sophrosyne),
che a differenza della semplice sapienza (sophia), consiste nella capa\cità di fare la scelta giusta caso per caso
(boulesis).
La scelta rivoluzionaria dell’ottobre 1917, ad esempio, è
un caso tipico di “arte dell’insurrezione” che non può essere dedotta da nessun
“ismo”, tanto meno poi dall’“ismo” per cui la rivoluzione non si può fare più
nei cosiddetti punti alti dello sviluppo capitalistico (corruzione delle
aristocrazie operaie a causa della distribuzione dei sovraprofitti
imperialistici, ed altre “sciocchezze” del genere, mi si scusi per
l’espressione volutamente un pò volgare), e bisogna allora farla negli anelli
deboli della catena mondiale imperialistica. Questo argomento è una tipica
“razionalizzazione a posteriori” di un fatto portato a termine in una
congiuntura irripetibile che non si può dedurre da nessun “ismo” (e tantomeno
dal cosiddetto “leninismo”), e che è invece compiuto da una “deliberazione” (boulesis)
attuata non in base alla sapienza marxista ma in base alla saggezza politica
pratica.
Per queste ragioni, e per altre che qui trascuro per
brevità, ho forti dubbi che si possa parlare sensatamente di “leninismo”.
Parlerò invece di Lenin, o più esattamente del modo concreto e specifico in cui
Lenin ha affrontato questioni teoriche e pratiche.
Alla parte successiva
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