Armageddon: L’impero americano e l'immaginario del dominio universale

Quarta parte








Miguel Martínez

Questo articolo è uscito per la prima volta sul numero 35 - novembre-dicembre 2003 - della rivista Praxis (c.p. 162, 06034 Foligno (PG), e-mail praxis@voceoperaia.it).   



Questo è il quarto e ultimo di una serie di articoli sull'idea forte dell'americanismo.

Nel primo articolo, abbiamo trattato gli errori fondamentali che si possono commettere nell'analizzare l'America attuale.

Nel secondo articolo, abbiamo parlato del fondamentalismo religioso di massa e le sue implicazione politiche.

Nel terzo articolo, abbiamo parlato del rapporto tra il fondamentalismo americano e la questione israelo-palestinese.

Nel quarto, parliamo del ruolo dei cosiddetti 'neoconservatori' nella nuova rivoluzione americana.



I NEOCONSERVATORI E I TECNICI DEL DOMINIO

Riassumiamo brevemente i punti principali che, a mio avviso, ci aiutano a capire lo stravolgimento mondiale in corso.

Oggi esiste un problema centrale: sta nascendo il primo impero planetario della storia, quello statunitense. E questo impone inesorabilmente una scelta di campo a tutti.

Chi ci vuole sottoposti, lo sa bene. Con lucida paranoia, quello che è certamente un nostro avversario scrive:

Il problema del mondo odierno è che dobbiamo fronteggiare un antiamericanismo che è diventato completamente demoniaco, che inonda l’intero pianeta e che influenza chiunque.

L’antiamericanismo è l’ideologia globale più pericolosa che c’è.” [1]

Questo impero non è un semplice “imperialismo economico”, come può essere quello attuale dei vari paesi europei, perché l’impero americano è insieme il cuore pulsante del capitalismo mondiale e un Warfare state, cioè una fusione inestricabile tra gli interessi economici più potenti della storia umana, l’esercito più forte di tutti i tempi e un gigantesco sistema privato e pubblico di tecnici del dominio.

Tutto ciò sostenuto da un consenso di massa che è cosa diversa dal semplice patriottismo o nazionalismo di altri paesi, perché gli Stati Uniti sono uno stato ideocratico: cioè una nazione di immigrati tenuti insieme ideologicamente da un presunto “patto” che ne fa un paese-missione.

Un’idea di tipo religioso, che quindi si manifesta spesso e volentieri proprio come religione: si tratta del fondamentalismo di massa degli Stati Uniti.

Stiamo vivendo un periodo rivoluzionario della storia: l’impero nascente sta abbattendo le regole di convivenza costruite in cinque secoli tra le nazioni, e in due secoli tra gli individui. Demolisce insieme le frontiere nazionali e i diritti sociali. Anche se non promuove certamente la liberazione dell’uomo, è indubbiamente una rivoluzione.

Questa rivoluzione emerge in tutta chiarezza dopo l’11 settembre. Ma è falso sostenere che si tratti della semplice “risposta all’attacco al Centro Mondiale del Commercio”. Dietro il giovane Bush, c’è Clinton e il Kosovo; dietro Clinton, il vecchio Bush e la guerra del Golfo; dietro Bush, Reagan: la rivoluzione, interna ed esterna, dura da almeno un quarto di secolo.

In questo contesto, svolgono un ruolo fondamentale i tecnici del dominio, che i nostri media spacciano per “esperti” oppure “intellettuali”. Poiché qualche ingenuo spera ancora in una normalizzazione degli Stati Uniti con la caduta del “diabolico” Bush, è fondamentale capire che i tecnici del dominio operano trasversalmente rispetto a due confini: quello tra amministrazioni democratiche e repubblicane, e quello tra stato e privato. I presidenti vengono e vanno, loro rimangono.


I tecnici del dominio e Jessica Lynch

Tecnici del dominio sono gli innumerevoli analisti dei servizi segreti, oppure gli uffici parastatali che si dedicano a promuovere le vendite delle armi americane all’estero. Ma sono tecnici del dominio anche le aziende come la Rendon Group, che ha servito sia Clinton che Bush. Si tratta di un’impresa privata di pubbliche relazioni, che ha creato l’Iraqi National Congress e ha lanciato nel mondo e nei media Ahmad Chalabi. Fondato da un democratico, il responsabile finanziario della Rendon Group è Sandy Libby, la moglie di Lewis "Scooter" Libby, capo dello staff del vicepresidente (repubblicano) Cheney. Ed è la Rendon Group ad aver creato la grande impostura del salvataggio della soldatessa Jessica Lynch. Come sappiamo, questa fu una pura invenzione: gli iracheni avevano salvato la vita alla soldatessa e avevano già cercato invano di consegnarla all’esercito USA. Ma lo spettacolo del finto salvataggio trasformò una poverissima montanara del West Virginia in una diva, umanizzò l’esercito, suscitò terrori (infondati) di stupro e sete di vendetta, generò un’eroina, esaltò il ruolo militare delle donne ottenendo il consenso delle femministe, creò un sodalizio immaginario tra lei – bianca – e una soldatessa nera e un’altra soldatessa nativa americana…

I tecnici del dominio fanno riferimento in gran parte anche alle foundations, le immense strutture miliardarie che permettono alle grandi aziende di risparmiare sulle tasse mentre fissano le linee guida della politica americana. Tra queste, segnaliamo il Heritage Institute che ci tocca da vicino. Il 5 settembre del 2003, infatti, il fondatore di questo ente, Paul Weyrich, uno dei cento uomini più influenti di Washington, che può contare su finanziamenti per milioni di dollari da Gulf Oil, General Motors, Ford Motors, Proctor and Gamble, Chase Manhattan Bank, Dow Chemical, Reader’s Digest, Mobil Oil, decise di scrivere un lungo attacco (“The Assisi Cabal”, Washington Dispatch, disponibile su Internet) proprio al piccolo Campo Antimperialista di Assisi. La natura clamorosa di questo attacco diventa evidente se pensiamo che fu Weyrich a dettare la politica, anzi la “rivoluzione”, di Reagan, in politica interna ed estera.


I “neoconservatori”

Una forma particolare di tecnici del dominio, che sono diventati estremamente famosi, sono i neo-conservatives o “neo-con”.

I neo-conservative sono in realtà un gruppo molto ristretto di tecnici, che il governo Bush ha preso in blocco da un’altra potente foundation, la American Enterprise Institute. L’AEI può contare su finanziamenti per circa 25 milioni di dollari l’anno dalle grandi imprese, e stila duecento documenti l’anno su come rendere ogni settore della società americana, nonché la sua politica estera, funzionale agli interessi delle imprese finanziatrici. Il fondatore del movimento neo-conservative, Irving Kristol, è a sua volta una specie di coordinatore della spese di diverse foundation, e indirizza una pioggia di milioni di dollari in maniera selettiva: è grazie a questi finanziamenti che sono state create dal nulla personalità come Fukuyama e Samuel Huntington, con i loro fortunati slogan – “La fine della storia” e “lo scontro delle civiltà”.

I nomi e il ruolo dei neocon nella promozione della Guerra Infinita sono abbastanza noti, e non intendo quindi tracciarne la storia. Sull’argomento dei neoconservatori, Roberto Renzetti ha raccolto più o meno tutto ciò che è disponibile in rete lingua italiana, e i materiali si possono trovare in un’apposita sezione del mio sito.

Più interessante è analizzare alcuni luoghi comuni e fraintendimenti. I neoconservatori sono tali perché sono quasi tutti “progressisti” passati a ciò che in Italia si chiamerebbe “destra”, ma che negli Stati Uniti ha il nome storico di “conservatorismo”. Esiste un mito diffuso secondo cui si tratterebbe di un gruppo di “ex-trotzkisti”, un tema spesso sfruttato nei media per stabilire una continuità tra la teoria della “rivoluzione permanente” e il culto della Guerra Infinita. In realtà, solo Irving Kristol ebbe effettivamente un breve periodo di simpatie trotzkiste, ben sessant’anni fa.

Il ruolo dei neocon è stato spesso esagerato, anche dai progressisti di sinistra, che vorrebbero attribuire a un’unica cricca, facilmente delimitata, un metodo e obiettivi che sono invece sostanzialmente comuni a tutti i tecnici del dominio. Se solo tornasse Clinton, dicono i D’Alema di tutto il mondo… Si tratta di un fraintendimento molto provinciale della politica USA: se la rappresentazione del potere negli USA è quello di una specie di monarchia populista, non è certo il presidente, e nemmeno i suoi consiglieri, a decidere ciò che deve fare la macchina del Warfare State.

Non si deve mai dimenticare che i neoconservatori sono soprattutto brillanti tecnici della manipolazione linguistica e mediatica. Essi svolgono un ruolo cruciale, che riguarda direttamente anche l’Italia, perché l’originalità dei neocon consiste anche nel fatto che hanno trovato una maniera di spiegare ed esaltare l’impero americano che non si rifà solo alle classiche categorie dell’America profonda, ma tocca anche corde europee.


Ingannare la sinistra

Il sistema mondiale è anche un sistema di consenso, e il consenso si ottiene attraverso un gioco molto complesso, basato sul divide et impera e sulla capacità di fare leva su tutte le chiavi emotive delle persone. I neocon hanno giocato un ruolo di primo piano nel manipolare le leve dello “scontro di civiltà”, che unisce forzatamente tutti gli “occidentali” in una specie di ibrido cristiano-laico-progressista-razzista contro gli “altri”. Ma hanno capito anche come si fa a neutralizzare e persino sfruttare ciò che possiamo chiamare genericamente sinistra.

Costanzo Preve ci offre un ottimo quadro interpretativo: nel nuovo ordine mondiale, e in particolare italiano, le decisioni economiche e militari sono di destra; l’amministrazione è di centro; e la cultura è di sinistra. Il motivo di quest’ultima scelta è intuitivo – se “sinistra” vuol dire “stare con gli interessi della gente”, chi detiene il potere ottiene più consensi quando si definisce “democratico” che quando, ad esempio, esalta la gloriosa potenza dello Stato. p>I neocon si rifanno all’immenso patrimonio pubblicitario statunitense per far passare il loro come un discorso “di sinistra”. Sarebbe la più colossale truffa di tutti i tempi, paragonabile in questo forse solo al nazional-socialismo di Adolf Hitler – la guerra imperialista scatenata in tutto il mondo, l’abolizione dei diritti sociali conquistati in due secoli di lotta, il terrore di stato contro gli immigrati, l’abrogazione del diritto internazionale, la pauperizzazione del Terzo Mondo, sarebbero di sinistra?

Eppure è proprio questo che si cerca di far passare, tanto in Italia quanto altrove. A questo riguardo è interessante un libro uscito recentemente, e ampiamente pubblicizzato da Paolo Mieli sul Corriere della Sera: Christian Rocca, Esportare l’America. La rivoluzione democratica dei neoconservatori (I Libri del Foglio, 2003). L’autore, un giovane radicale, giornalista del Foglio ed entusiasta di ciò che sta avvenendo negli Stati Uniti, si lamenta:

“A sinistra sono pochi quelli che credono in una rivoluzione democratica in Medio Oriente, e ancora meno coloro che pensano sia compito degli Stati Uniti esportarla. Protestano contro la guerra infinita, quando dovrebbero manifestare perché Bush e Blair si impegnino a fondo per un Iraq democratico e liberale che serva ad esempio per l’intero Medio Oriente” (p. 104).
p>L’offensiva orwelliana per legittimare l’imperialismo come se fosse qualcosa “di sinistra” prosegue instancabile e sfrutta tutte le reali crepe e le debolezze della sinistra. Che per ora reagisce in maniera molto debole, giustificandosi dalle accuse mosse come se fosse colpevole, oppure cercando semplicemente di ignorare la natura potente e subdola dell’attacco.


Trucchi e fuffa

I trucchi adoperati per spacciare la guerra infinita come qualcosa di sinistra sono molti. Vediamone alcuni, ricordandoci che tutti si basano sulla rimozione fondamentale: la realtà di un paese che ha condotto duecento aggressioni militari in due secoli e che si arroga il diritto di decidere i destini dell’intera umanità secondo i suoi interessi. Ecco perché parliamo di trucchi, perché di fronte a questo unico problema serio, il resto dovrebbe essere un cumulo di sciocchezzuole secondarie:

  • Chi critica gli USA è antiamericano e l’antiamericanismo è una forma di razzismo”. E per dimostrarlo, si cita solitamente qualche espressione un po’ eccessiva. è un’accusa che mira a falsare i rapporti di forza: la critica rivolta in blocco ai propri oppressori non è razzismo. Nessuno al mondo, evidentemente, perquisisce le persone ai checkpoint solo perché sono americani, nessuno nega loro una casa o li caccia dal paese. Mi immagino che durante la guerra del Vietnam, siano circolate molte barzellette anche di pessimo gusto sugli americani, eppure i vietnamiti non hanno smesso di combattere per la vergogna.

  • Gli USA sono un paese rivoluzionario”. Si tratta di un ragionamento che ha qualche fondamento. Perché gli Stati Uniti sono il paese del dominio capitalista compiuto, senza gli intralci feudali e controriformistici che caratterizzano l’Italia. Sono un paese dove il puro flusso del denaro determina la vita, prescindendo dai variopinti legami personalistici, sentimentali o ideologici che caratterizzano altri paesi.
    è ovvio che un paese in cui il consenso è garantito con mille metodi introiettati e fatti propri dalle grandi masse della popolazione, un paese che pur con tutti i propri problemi può sempre rifarsi sull’intero pianeta, un paese in cui ogni impresa vuole agire senza vincoli, non ha bisogno di pittoreschi dittatori terzomondiali o di complicati intralci burocratici. Ma questo fatto strutturale viene spacciato per fatto morale – gli Stati Uniti incarnano l’ideale della democrazia che combatte l’ideale del totalitarismo.
    Viceversa, va da sé che la sinistra oggi non è rivoluzionaria. Cerca semplicemente di attutire la caduta dell’umanità nella barbarie, con piccoli accorgimenti. E quindi i Rocca cercano di fare appello, dannunzianamente, al frustrato desiderio estetico che comunque la gente di sinistra prova per qualcosa di nuovo ed eccitante.

  • Gli Stati Uniti conducono una guerra antifascista. Questa è in particolare la tesi di Paul Berman in Terror and Liberalism, a cui il Corriere della Sera ha dedicato grande spazio, e che viene citato nel libro di Rocca. “Il fondamentalismo islamico e il socialismo panarabo dei vari Saddam Hussein sono la continuazione morale, ideologica e storica dei movimenti totalitari del XX secolo”… “il pericolo islamico-fascista”… “stiamo vivendo un periodo rivoluzionario. In 19 mesi due feroci dittature sono cadute”… “l’oscurantismo islamico, quel mix nazi-comunista”, per citare solo alcuni dei suoi giochi linguistici. Giochi linguistici che però fanno appello al fondo irrazionale di tanti militanti di sinistra. La più tetra retorica stalinista viene riciclata e divora se stessa: perché anche il comunismo viene inserito in quello che è appunto il Grande Complotto Islamonazicomunista. Un orco inesistente quanto il Consiglio dei Savi Anziani di Sion, ma altrettanto funzionale al dominio.

  • Gli Stati Uniti ci hanno liberati dal fascismo… la resistenza irachena è come la resistenza dei repubblichini”. Si tratta di un parallelo storico che ha la stessa funzione, e la stessa strumentale inconsistenza, dei paralleli fondanti nelle religioni – “non ci possono essere donne sacerdote perché Gesù non ebbe apostoli donne”. Ovviamente si potrebbero trovare paralleli perfettamente contrari ("sotto la croce c'era la Maddalena, e tu vorresti negare il sacerdozio alle donne?"), avvitandosi in un’interminabile disputa mitica: “Gli Stati Uniti furono liberati grazie ai francesi… la resistenza irachena è come quella degli spagnoli che continuarono a combattere dopo il golpe di Franco”. Il fatto che simili pseudoragionamenti trovino spazio però è segno di quanto sia diffuso il modo teologico di affrontare gli argomenti.


Il coraggio di comprendere

Nonostante siano argomenti privi di qualunque fondamento razionale, sono comunque forti, proprio perché irrazionali.

Da una parte, i “cristianisti” militanti di destra portano acqua al mulino dell’Impero inveendo contro i musulmani che vorrebbero “toglierci i crocifissi”. Si tratta di una truffa logica e intellettuale per tutta una serie di motivi che sarebbe lungo spiegare qui; ma è comunque efficace perché tocca un nervo identitario profondissimo, molto più profondo e biologico di qualunque ragionamento. Un’identitarismo che conduce i suoi portatori, paradossalmente, ad asservirsi completamente a un dominio straniero.

Agendo in concerto con i cristianisti a destra, i neoconservatori italiani – come Paolo Mieli o Christian Rocca – lavorano sui nervi identitari della sinistra, cercando di vendere in blocco guerra, imperialismo, capitalismo e razzismo come se si trattasse dell’ultimo e più nobile prodotto del laboratorio del progressismo, in nome di un gioco di parole su “fascismo-antifascismo” e su “rivoluzione-reazione”.

Ribellarsi al dominio presuppone quindi un’azione profonda e personale di liberazione dalle retoriche, dai lacci identitari, dagli slogan, dalle lealtà preconfezionate. Un lavoro che è anche presa di coscienza. Coscienza dell’ovvio. Perché sappiamo tutti che il problema centrale dei nostri tempi è l’imperialismo, e che il suo nucleo fondamentale si trova oggi negli Stati Uniti. Sven Lindqvist, l’autore di due testi fondamentali per capire il male dei nostri tempi – Sei morto! Il secolo delle bombe e Sterminate quelle bestie – conclude così il secondo libro, commentando Cuore di tenebra, il terribile romanzo con cui Conrad metteva a nudo gli orrori dell’imperialismo:

“Ovunque nel mondo esista una conoscenza profondamente repressa che, se fosse resa manifesta, manderebbe in frantumi la nostra immagine del mondo e ci costringerebbe a interrogarci: ecco, è lì che si svolge Cuore di tenebra.

Tu lo sai. E anch'io.

Non è la conoscenza dei fatti che ci manca. Quello che ci manca è il coraggio di comprendere ciò che sappiamo e trarne le conclusioni.”


Un disegno di Naji al-Ali

[1] Bernard-Henry Lévy, citato in Christian Rocca, Esportare l’America, Milano, I libri del Foglio, 2003.

[2] Sven Lindqvist, Sterminate quelle bestie, Milano, Tea, 2003.

 


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