Per agevolare la lettura, questo articolo di Costanzo Preve, apparso per la prima volta sulla rivista Praxis è stato diviso in sei parti.
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6. La caratteristica di Lukács è quella di aver fornito, a distanza di quasi quarant'anni, due formulazioni diversissime di un modello teorico di filosofia marxista, in cui il secondo paradigma deve essere interpretativo come risultato di una profonda autocritica immanente del primo. Si tratta, come è noto, del primo paradigma degli Anni Venti esposto in Storia e Coscienza di Classe, e del secondo paradigma degli Anni Sessanta esposto nelle diverse formulazioni dell'Ontologia dell'Essere Sociale.
Non c'è nulla di strano nel fatto che lo stesso autore proponga nel corso della sua vita due modelli teorici diversi. Si pensi solo a Sigmund Freud, ed alle due topiche successive del modello psicoanalitico. E' anche giusto, anche se del tutto evidente, ricordare che in Storia e Coscienza di Classe si riflette teoricamente il carattere messianico ed ottimistico del comunismo degli Anni Venti, mentre nella Ontologia dell'Essere Sociale è presente l'inevitabile metabolizzazione della delusione staliniana e della sensazione di blocco e di crisi del processo rivoluzionario. Sarebbe sciocco se una grande opera filosofica non rispecchiasse anche le attese, le illusioni e le consapevolezze diffuse del tempo. E' invece sciocco, e si tratta di una sciocchezza diffusa nella storiografia lucacciana secondaria, interpretare il primo paradigma come estremistico ed il secondo come accademico, eccetera. Garantisco al lettore che mi terrò lontano da questa idiozia.
Da un punto di vista strettamente teorico, sia il modello degli Anni Venti sia il modello degli Anni Sessanta sono ispirati a sistemi filosofici presenti nella cultura accademica di lingua tedesca. Nel primo caso, il caso di Storia e Coscienza di Classe, si tratta di Max Weber e della sua teoria della coscienza "attribuita" (zugerechnete), cioè costruita attraverso un modello idealtipico volutamente astratto. Nel secondo caso, il caso della Ontologia dell'Essere Sociale, si tratta di Nicolai Hartmann e della sua teoria dei livelli ontologici specifici e irriducibili delle due distinte realtà naturali e sociali (teoria già anticipata dal francese Boutroux). Ma sarebbe errato dire che questi due modelli hanno origini semplicemente accademiche, e rientrano in un marxismo universitario staccato dalla lotta di classe. Non è affatto così, perché in entrambi i casi Lukács è stato un intellettuale militante, che ha incorporato in una sintesi marxista le più avanzate sintesi teoriche dell'epoca.
7. Colgo qui l'occasione per sconsigliare decisamente e con durezza ogni stupida classificazione del marxismo novecentesco storicamente dato nelle due categorie di "marxismo orientale" e di "marxismo occidentale". Certo, so bene che con questi due termini si intende distinguere da un lato, il marxismo sovietico costruito sulla base del materialismo dialettico di origine engelsiana (marxismo orientale), e dall'altro una galassia eretica di marxismi filosofici basati sulla categoria di prassi (da Korsch a Gramsci). Sulla base di questa classificazione Lukács è ovviamente uno degli esponenti del marxismo occidentale. Ma non bisogna dimenticare mai che il marxismo deve essere storiograficamente concepito come un fenomeno unitario, sia pure ovviamente plurale e differenziato, e che ogni classificazione geografica è semplicemente ingannevole. Lukács stesso agisce geograficamente in Oriente, pur essendo sostenitore del cosiddetto marxismo occidentale, mentre ad esempio Ludovico Geymonat ha agito in Occidente, pur essendo sostenitore del cosiddetto marxismo orientale. E' meglio allora lasciar perdere questa assurda dicotomia geografica, per tornare ad una concezione unitaria della storia teorica del marxismo, le cui sintesi devono essere valutate caso per caso in base a criteri teorici, e non in base a criteri geografici.
8. Bisogna dunque affrontare direttamente il problema della filosofia, o meglio dei due paradigmi filosofici di Lukács, non dimenticando mai che il secondo deriva dialetticamente da una autocritica immanente del primo. Solo in questo modo si potranno portare argomenti a sostegno della impegnativa tesi, per cui Lukács è stato il più grande filosofo marxista del novecento. Prima, però, desidero fare ancora due importanti incisi, decisivi per capire la natura del marxismo di Lukács. Si tratta della segnalazione di due principi ispiratori di Lukács, il principio di internità politica al movimento comunista storico dato, ed il principio di riformabilità interna dello stesso movimento comunista, pur nella piena consapevolezza dei guasti portati da Stalin. I due principi sono ovviamente connessi, e sono in realtà un solo principio: si resta ad ogni costo interni ad un movimento politico, perché si ritiene che esso possa essere storicamente riformabile. Li tratterò separatamente solo per comodità espositiva, perché sta estinguendosi in questi anni la generazione che li ha vissuti, mentre per un giovane questa compresenza tragica rischia di essere del tutto incomprensibile.
9. Lukács entrò a far parte del movimento comunista nel 1919, l'anno della rivoluzione ungherese dei consigli, e ci rimase fino alla morte avvenuta nel 1971. Egli visse quindi da comunista buona parte del novecento, nelle quattro fasi storiche successive del leninismo, del pre-stalinismo, dello stalinismo vero e proprio, ed infine del post-stalinismo. Queste quattro fasi sono in realtà dominate da quella storicamente decisiva, cioè dallo stalinismo. Esiste una tendenza storiografica, dal francese Bourdet all'ungherese Fejto, che sostiene che Lukács fu uno stalinista organico, o quanto meno una sorta di "gesuita della rivoluzione", un Naphta alla Thomas Mann, un intellettuale organico allo stalinismo sotto l'apparenza di una propria indipendenza di pensiero. Non voglio entrare nei dettagli di questa complicata questione storiografica, ma la mia opinione in proposito è diversa. Come scrisse a suo tempo la sua allieva Agnes Heller, lo stalinismo di Lukács non fu mai organico, perché l'essere staliniani non consiste nel condividere alcune scelte politiche di Stalin (il socialismo in un solo paese, i fronti popolari, eccetera), ma consiste nell'acquisire un abito mentale stalinista, cioè la rinuncia alla propria libertà di pensiero in nome di una fantomatica entità metafisica superiore chiamata partito. Lukács scrisse apertamente che nel suo periodo di permanenza a Mosca non finì in un campo di lavoro unicamente perché abitava in una stanzetta in un sottoscala, e quindi eventuali spioni e delatori non erano interessati a farlo finire in un campo per fregargli l'appartamento. Mi sembra che sia difficile dire qualcosa di tanto atroce, e nello stesso tempo di tanto tristemente realistico. Lukács non comprese mai, a mio avviso, il centro teorico della questione, e cioè che il sistema politico staliniano aveva creato una nuova e inedita classe sfruttatrice a pieno titolo (al di là della sua esatta connotazione terminologica), e che quindi la dinamica del socialismo reale era classistica, sia in alto che in basso, e che allora ci si poteva anche aspettare quello che alla fine avvenne nel triennio 1989-1991, e cioè la liquidazione dall'alto della proprietà di stato in presenza di un'integrale apatia, afasia ed impotenza politica dei dominati. Questa impostazione di Charles Bettelheim era del tutto estranea ed incomprensibile per la sua mentalità. Egli connotò invece in modo un po' vago lo stalinismo come prevalenza della tattica sulla strategia, cioè come inversione dei due termini, con il risultato di perdere ogni legame fra politica presente, consegnata al cinismo manovriero, e finalità futura comunista, derubricata a vago orizzonte utopico ininfluente.
La mentalità politica di Lukács non era dunque a mio avviso quella di uno stalinista, ma di una persona che aveva giocato il senso filosofico integrale della propria vita con la scommessa (assai più pascaliana che marxista) della propria internità al movimento comunista reale, e non ad un suo fantasma parallelo minoritario (trotzkismo, bordighismo, comunismo dei consigli, eccetera). La chiave di tutto è a mio avviso in una sua significativa ammissione: "Non volevo finire come Karl Korsch, escluso dal movimento comunista. Volevo partecipare alla lotta contro il fascismo dentro questo movimento storico".
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