Ho trovato un amico di destra
 



Di Marco Revelli




Questo articolo fa parte di un'antologia di articoli critici su Oriana Fallaci.






Ho trovato un amico di destra

Il commento di Marco Revelli sul libro "La paura e l'arroganza" di Franco Cardini

09/10/2002 - Ho letto in questi giorni un libro che vi suggerisco. Si intitola La paura e l'arroganza (Laterza, 2002) ed è davvero l'esatto opposto de La rabbia e l'orgoglio di Oriana Fallaci. Non tanto l'“anti Fallaci” (perché di “ostile” ha assai poco), ma piuttosto il suo rovesciamento.

L'alternativa civile a quel “manifesto dell'odio” di cui rappresenta davvero l'antitesi, e non solo nel titolo (anche qui una coppia di sostantivi, che sintetizzano assai meglio di quanto non faccia l'altra, lo stato mentale dell'Occidente dopo l'11 settembre), ma soprattutto nei toni, nello stile: riflessivo, pacato, misurato. Attento alle diverse ragioni in campo, al linguaggio dei fatti e non solo delle emozioni, al contesto storico e non solo al puntiforme effetto dei singoli eventi. Dice quello che nel dibattito pubblico ci si potrebbe - anzi, dovrebbe - aspettare, e che invece desolantemente manca.

Dice che nella ondata di passione filoamericana che seguì immediatamente la tragedia delle due torri, in quel «siamo tutti americani» che risuonò allora un po' ovunque, c'era tanta, forse troppa, emotività e superficialità; che sotto quel proclamato senso d'identità istantanea c'era un drammatico deficit di riflessione e fin anche di conoscenza di cosa sia veramente l'America. Dice che in quella reazione in qualche misura sproporzionata, di fronte alle immagini ripetute all'infinito del crollo e al numero spaventoso delle vittime, l'Occidente tradì in un certo senso il proprio stesso universalismo, dimenticando le altre infinite vittime (anch'esse civili) della violenza “nostra”.

Dice che non di scontro tra Male e Bene si tratta, ma che in tutta questa vicenda anche di petrolio bisognerà pur parlare, e di oleodotti, e di geo-politica ormai intrecciatasi inestricabilmente con la geo-economia e con gli interessi smisurati delle corporation americane. Dice che c'è un totalitarismo liberale e democratico certo diverso nei mezzi ma non meno soffocante e pervasivo di quello delle vecchie dittature novecentesche, che toglie la parola prima ancora che questa sia stata articolata, mette al bando opinioni e pensieri “non conformisti”.

Che a curare quest'opera sia un uomo dalle radici piantate nella cultura di destra, come Franco Cardini è poi elemento ulteriore di riflessione, tanto più di fronte al silenzio estenuato di tanti intellettuali di sinistra. Ci suggerisce la constatazione, per la verità ovvia, che il coraggio e l'onestà intellettuale, la disponibilità a un pensiero libero, il rispetto del proprio sapere e della propria indipendenza prescindono in realtà dalla propria collocazione nella consolidata topografia politica. Che si trovano cioè tanto a sinistra quanto a destra o al centro. Ma ci dice anche qualcosa di più, tenuto conto del fatto che gli autori dei diversi saggi contenuti nelle quattro sezioni del libro (Voci dall'Italia, Voci dall'Europa, Voci dall'America, Voci dall'Islam) sono distribuiti, per quanto riguarda le simpatie politiche, sull'intero continuum destra/sinistra: vanno dal grande storico di formazione marxista Eric Hobsbawm al maitre à penser della nouvelle droite francese Alain de Benoist, dal radical americano Michael Chossudovsky all'eco-conservatore italiano Marco Tarchi, dal free lance Massimo Fini allo “scandaloso” Noam Chomsky.

Ci dice che di fronte alle «questioni esistenziali della pace e della guerra» (così le ha definite Gerard Schroeder), oggi, più che l'appartenenza politico-ideologica, conta l'atteggiamento mentale. Che non c'è bisogno di essere e professare questa o quella cultura politica per prendere posizione, ma basta un semplice, genericamente umano, sguardo sul mondo. Una spregiudicata (scevra cioè da pregiudizi) considerazione dei fatti, delle posizioni dei protagonisti, delle loro menzogne e retoriche (perché, in questa campagna di guerra che si prepara, è la retorica e solo essa a farla da padrona). Basta l'occhio disincantato di un osservatore non avvelenato dalle grandi narrazioni mediatiche e di potere, per dire che «il re è nudo». Basta questo per dire che la guerra oggi è la risposta oscena a uno stato di disordine del mondo che abbiamo contribuito a creare. Per dire, cioè, quello che ci dovremmo aspettare di trovare, almeno in piccola misura, affermato sui media che quotidianamente ci assordano e ci sommergono. E che invece non troviamo.

Qui, ciò che colpisce di più, passando dalle pagine del libro di Cardini a quelle ben più leggere dei quotidiani, è l'assordante silenzio della ragione, e l'incredibile - davvero incredibile - strepito delle montature: dei racconti improbabili sui pericoli mortali, e sulla necessità di una guerra preventiva che si sa si farà perché così vuole un'oligarchia del petrolio mascherata da paladino dell'umanità. Un racconto che si è tessuto per tredici, lunghi mesi senza che si levassero con l'autorevolezza che sarebbe stata necessaria voci critiche, capaci di richiamarci alla ragionevolezza, o anche solo al senso della tragedia che inconsapevolmente ci troviamo a vivere da comparse. Qualcuno ci ha provato: Tiziano Terzani sul Corriere della sera ha svolto uno straordinario ruolo civile, ma la sua è parsa, per l'uso che ne è stato fatto nel sistema dei media, più la voce di un sopravvissuto che parla dal deserto che non la parte riconosciuta di un'opinione pubblica attiva e vigile. Claudio Magris ci aveva provato, ai tempi della guerra del Kosovo, ma è stato presto risospinto tra le anse del suo Danubio, e la sua criticità neutralizzata. Umberto Eco non ci ha neanche provato, perso dietro le sue bustine di minerva e i suoi calambour, ormai tanto internazionale da non aver più un luogo in cui farsi e a cui comunicare la propria opinione. Il suo evaporare è l'evaporare di un'intera generazione tanto poco abituata a misurarsi col tragico, da non riconoscere più neppure quando la vive, la tragicità della propria esperienza storica. Nel momento in cui occorrerebbe gridare forte e chiaro il proprio scandalo, l'intellighentzja italiana (ma anche in buona misura europea), forse ubriacata dai passati deliri, pratica un silenzio che sa di seconda “trahison des clercs”.

Fonte: http://www.vita.it





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