Per agevolare la lettura, questa storia della scuola italiana è stato diviso in venticinque parti.
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L'ETA' GIOLITTIANA

Giolitti fu un grande conservatore ed un abile reazionario (Gramsci) che rappresentava gli interessi della borghesia industriale del Nord contro le forze ultrareazionarie dei grandi proprietari terrieri, soprattutto del Sud. Egli lavorò per mettere la struttura dello Stato al servizio di quella borghesia e la scuola non rappresentò un'eccezione. Si trattava di scegliere tra le due possibili politiche padronali verso l'istruzione: o il controllo sociale attraverso l'istruzione medesima o il controllo sociale attraverso l'ignoranza. Alla borghesia industriale interessava più la prima forma di controllo e la legislazione scolastica si aggiornò in modo da favorire l'istruzione. Occorre tener conto che i primi anni del secolo videro una importante espansione delle industrie del Nord e che, fatto abbastanza dimenticato, erano iniziate le rimesse dei nostri emigrati che erano notevolissime e che furono il vero motore dell'aumento importante di scolarizzazione nei primi anni del Novecento. Tra l'altro, sotto la spinta delle organizzazioni operaie, era venuta maturando la consapevolezza del valore formativo di base ed anche di promozione sociale della scuola e, da ora, non si potrà più parlare di disinteresse o addirittura avversione popolare verso la scuola, come abbiamo detto esservi stata nei primi decenni dell'Unità. La cosa è testimoniata dall' Inchiesta parlamentare sulle condizioni dei contadini nelle province meridionali e nella Sicilia di Francesco Saverio Nitti (1910). Vi si legge [7]:

Vi era in passato una grande indifferenza da parte delle classi borghesi per la diffusione dell'alfabeto: era in molti comuni una vera diffidenza.
Ora tutto ciò è mutato, sopra tutto coll'emigrazione. Se ancora i galantuomini sono spesso diffidenti o indifferenti, è spesso il popolo che reclama una migliore istruzione [...]. Molti contadini, invece di dolersi delle sofferenze materiali che li affliggono, si dolevano della poca istruzione [...] si dolevano che le scuole andassero male o per incuria del municipio, o per deficienza di locali, o per colpa del personale insegnante [...]. Molto progresso vi è rispetto alla frequenza delle scuole elementari ed alla coscienza di esigere questo servizio dal municipio. Ciò si deve [...] all'emigrazione. Gli emigrati scrivono dall'America alle loro mogli di mandare i figli a scuola. Si deve a questo se le aule scolastiche sono oggi affollate ed insufficienti, in molti comuni, a contenere gli alunni.

Ed anche Salvemini, in una inchiesta analoga svolta in Calabria, testimonierà che:

il desiderio dell'istruzione si è manifestato ovunque ardentissimo da dieci anni a questa parte per effetto dell'emigrazione negli Stati Uniti.

La politica di Giolitti fu improntata ad un consistente programma di riforme tese a migliorare le condizioni di vita dei lavoratori. Era ormai una acquisizione della grande borghesia la necessità di avere un popolo istruito per lo stesso sviluppo industriale del Paese e Giolitti si adoperò ad una maggiore diffusione sia dell'istruzione elementare sia di quella tecnica. La prima legge che affrontò le nuove esigenze fu la Legge Orlando del 1904.

Con tale legge si elevò l'obbligo scolastico fino al dodicesimo anno di età realizzati in due possibili modi: o 4 anni di scuola elementare ed il passaggio alla media (attraverso un esame di maturità), o 4 anni di scuola elementare seguiti da 2 anni di un corso popolare destinato a coloro che si avviavano al lavoro (queste suddivisioni furono salutate come un successo politico dai socialisti!). Furono potenziate le scuole serali e festive per gli analfabeti; fu incrementata la refezione scolastica a carico dei comuni; furono migliorate le condizioni economiche dei maestri, tra l'altro, con l'abolizione delle differenze tra insegnanti di grado inferiore e superiore; fu creata la Direzione Generale della Scuola Elementare, fatto che mostra l'accresciuto peso di tale scuola e l'accresciuto interesse per essa da parte dello Stato.

Seguirono nel 1905 i nuovi Programmi e le relative Istruzioni per la scuola elementare. In particolare si estese lo studio della storia fino al regicidio di Umberto I del 1900 ma con toni di profondo rammarico [11]:

L'ultima pagina di questa storia, macchiata dal sangue innocente del più buono [quello che aveva fatto cannoneggiare da Bava Beccaris i cittadini di Milano che protestavano per le loro miserevoli condizioni n.d.r.], del più leale dei re, sia letta con orrore e raccoglimento, e ricordi a tutti il dovere di fedeltà e di onore.

Venne poi la legge 15 luglio 1906 con la quale si incrementarono ancora le scuole serali e festive, si crearono varie direzioni didattiche, si istituì la Commissione Centrale per il Mezzogiorno per la lotta contro l'analfabetismo.

Abbiamo infine la Legge Daneo - Credaro del 1911 con la quale, dopo aver sostenuto che la scuola elementare è un servizio pubblico statale, essa venne sottratta ai comuni minori (scuole avocate), per la loro impossibilità economica di mantenerle, e passata allo Stato. Le scuole elementari furono lasciate solo ai comuni capoluogo di provincia e ad alcuni altri (scuole non avocate). Si istituirono mille nuovi circoli di Direzione Didattica; si fecero diventare obbligatori in tutti i comuni i Patronati Scolastici; si istituirono scuole per militari (scuole reggimentali) e per carcerati; si finanziarono biblioteche popolari, scolastiche e magistrali; si finanziarono scuole per handicappati e nuovi asili (Credaro nel 1914 emanerà i primi programmi per l'educazione prescolastica).

Pur nei limiti annunciati precedentemente, siamo al massimo livello di scuola laica che, occorre sottolineare, non nasce dal nulla ma da una spinta sempre più consapevole, oltre che delle organizzazioni operaie di cui ho accennato, dei maestri e delle loro organizzazioni professionali che, da inizio secolo, andarono costituendosi. Occorreva battersi per salari degni  e per terminare con la mistica del lavoro missionario che, per la verità continua anche oggi, perfino come convinzione masochistica degli operatori scolastici. La prima associazione fu la Unione Magistrale Nazionale (1901) di ispirazione laica, sotto lo slogan né servi né ribelli e sotto la guida del futuro Ministro della Pubblica Istruzione, Credaro. 

E se i maestri levarono presto la voce per invocare uno stato giuridico che assicurasse loro stabilità occupazionale e minimi retributivi sufficienti a vivere, essi cominciarono ad auspicare altresì una più seria formazione iniziale e in itinere. Una prima risposta la si ebbe con l'istituzione delle cosiddette Scuole Pedagogiche (legge del 1904), ovvero di corsi organizzati presso le Facoltà di Lettere e Filosofia, aperti a tutti i maestri interessati, con valenza culturale e professionale.

Va detto che alle migliori fra le maestre era già da oltre vent'anni offerta la possibilità di iscriversi, previo esame di ammissione, all'Istituto Superiore di Magistero con sede a Roma e a Firenze, con prospettive di carriera nelle Scuole Normali o tecniche femminili sia come insegnanti sia come personale direttivo. Ai maestri tale opportunità era stata negata, ed essi non mancarono di lagnarsene ripetutamente. Queste Scuole Pedagogiche, che al termine di un corso biennale rilasciavano diplomi utilizzabili per la carriera direttiva e ispettiva sempre nell'ambito dell'istruzione primaria, tentavano un potenziamento delle competenze professionali. Le cose, nella pratica, andarono poi diversamente, sia per il pressappochismo con cui tali corsi vennero organizzati e sia per la loro impostazione ex cathedra, dunque molto distante da quel carattere sperimentale auspicato.

Altra associazione di insegnanti fu la Federazione Nazionale Insegnanti di Scuola Media, fondata da Gaetano Salvemini e Giuseppe Kirner (1901) che riuniva gli insegnanti di scuola secondaria (di ispirazione socialista) al fine di innalzare il costume politico e democratizzare la vita pubblica, l'amministrazione e i partiti politici: una forma di impegno civile che andava oltre l'ambito ristretto della rivendicazione di categoria. L'azione della Federazione fu diretta a legare la sorte degli insegnanti a quella delle altre categorie di cittadini esposte a sfruttamento e a vessazioni. Gli insegnanti impararono ad associarsi e a legare l'aspetto economico-giuridico a quello culturale. Cominciò così a definirsi una nuova figura di insegnante: legata ai problemi generali del paese, aperta verso le altre categorie, consapevole delle implicazioni politiche della scuola, attenta alla portata sociale del titolo di studio.

Qualche anno dopo (1907) la Chiesa fece nascere l'Associazione Magistrale Nicolò Tommaseo, al fine di farsi portatrice della difesa del principio cristiano cattolico e del principio nazionale della scuola, che significa il non volere la scuola pubblica per riportarla all'alveo della curia.

In definitiva, al 1914, nonostante tutti i limiti che ho tentato di evidenziare, si erano fatti  molti passi avanti sulla strada di un'educazione popolare laica, obbligatoria e gratuita. Gli analfabeti erano calati di circa 2 milioni di unità, anche grazie alla legislazione sul lavoro dei fanciulli e delle donne. Ma già il Patto Gentiloni (1913) era pronto in funzione antisocialista.

Ora, la Grande Guerra impedì per vari anni di pensare alla scuola (anche se vi furono addirittura polemiche relative alla vittoria: c'era chi sosteneva che si era vinto per l'istruzione che si era estesa e chi invece affermava che l'istruzione ci aveva portato fino a Caporetto).

Nel dopoguerra il dibattito riprese tra tre interlocutori: il neonato Partito Popolare di Don Sturzo, espressione diretta della Chiesa in politica; il Partito Socialista, già in procinto di dividersi in due partiti; il neonato Partito Fascista. Ma la vera lotta politica era nella società. Scoppiarono moti di protesta per la disoccupazione ed il carovita. Furono occupate le fabbriche e si instaurò un clima prerivoluzionario (biennio rosso) ad imitazione di quanto era appena accaduto in Russia. Ma in Italia il Partito Socialista non si pose alla testa del movimento dei lavoratori e lo lasciò disfarsi con la conseguenza di consegnarlo alla rassegnazione, alla frustrazione e presto al Fascismo. 

Il Partito Popolare sosteneva con Don Sturzo tesi molto aperte, in accordo con il fatto che la Chiesa,quando non ha il potere, vuole che lo Stato le faciliti la vita. Diceva Don Sturzo [11], continuando con il luogo comune dell'aggettivo "naturale" che NON ha alcun significato:

Ad uno Stato accentratore vogliamo sostituire uno Stato che riconosca i limiti della sua attività, rispetti i nuclei e gli organismi naturali - la famiglia, le classi, i comuni - rispetti la personalità individuale e incoraggi le iniziative private.[Chiediamo] libertà d'insegnamento senza monopoli statali.

Il Partito Socialista, attraverso Rodolfo Mondolfo, enunciava su Critica Sociale (1922) i seguenti principi:

Scuola pubblica, perché funzione pubblica, il cui fine è lo sviluppo spirituale degli educandi, il cui mezzo è la libera responsabilità degli insegnanti; non scuola privata, arma di parte, in cui maestri e scolari si riducano a strumenti di una finalità partigiana.

E polemizzava con quei socialisti che, contro il rischio di un'imposizione statalistica di tradizione liberale e al pari dei popolari, sostenevano «il diritto assoluto dei genitori, che è negazione della libertà spirituale dei figli». E concludeva: «Libertà nella vita, libertà nella scuola». Ed in quel semplice "nella" che sostituisce il "della" vi è l'evidenza dell'avvicinamento dei socialisti ai clericali: sulla scuola, alla fine, vanno convergendo.

Il Partito Fascista, per la penna di Mussolini su Il Popolo d'Italia (1921) fece un fritto misto di quanto sostenevano liberali, socialisti e cattolici, affermando di volere scuole media ed universitaria libere, una collaborazione con l'alta borghesia imprenditoriale, una selezione a livello nazionale.

Intanto il trasformismo delle idee vedeva Croce modificare il suo prebellico duro giudizio sulla Chiesa (tutrice di forme invecchiate e morte, d'incultura, d'ignoranza, di superstizione, di oppressione spirituale), il liberale Giolitti imbarcare i fascisti al governo e il liberale Gentile passare con i fascisti per i quali preparerà la sua Riforma della scuola (1923).

 




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