Nazione italiana, Europa e Mediterraneo

il presente come storia. Coscienza storica, memoria storica, liberazione

III parte
 



Per agevolare la lettura, questo articolo di Costanzo Preve, apparso per la prima volta sulla rivista Indipendenza è stato diviso in tredici parti.

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3. Il comunismo storico novecentesco, l'utopia rivoluzionaria di Marx e la condanna postmoderna dell'"illusione criminale".

Il comunismo storico novecentesco è a mio avviso un grande fenomeno storico conchiuso, cioè terminato, nell'arco degli anni che vanno dal 1917 al 1991. Si tratta di 74 anni, il decorso di una vita umana media. Non inganni il fatto che esso sembra tuttora 'in svolgimento' in alcuni paesi (Cuba, Cina, eccetera). Così non è. Il comunismo storico novecentesco è stato un fenomeno internazionale, non certo una politica economica mercantilistica e statuale ad economia mista gestita da apparati amministrativi diretti da un partito unico, politica economica che cerca oggi comunque la sua integrazione nel mercato globalizzato di oggi. Quello che resta in piedi oggi della esperienza del comunismo storico novecentesco è ormai inserito in un contesto qualitativamente differente.
La visione dominante del comunismo storico novecentesco che oggi prevale è quella che lo riduce ad una "illusione criminale", cioè ad una illusione teorica (l'utopia rivoluzionaria integrale di Marx e di Lenin) che comporta necessariamente il compimento di crimini pratici (la costruzione artificiale staliniana di una società dispotica). È stato il francese François Furet a formulare nel modo forse più completo questa teoria della illusione criminale. Questa teoria del comunismo storico novecentesco come illusione criminale fa il paio con quella già criticata del nazionalsocialismo come eccezione diabolica. Il fatto che i neocomunisti ed i neofascisti tuttora in attività si scambino l'un l'altro questa reciproca accusa non toglie nulla al fatto che questa semplificazione della complessità storica vada oggi ad esclusivo profitto di un terzo personaggio, il normale capitalismo imperialistico vincitore di questo secolo americano. I due stupidi ubriaconi se le danno di santa ragione di fronte agli occhi dello scommettitore che si diverte ad ascoltare le grida ed a vedere i colpi.
Una considerazione storiografica seria del complesso fenomeno del comunismo storico novecentesco deve invece partire da due momenti storici fondamentali: la sua nascita (il triennio 1917-1919) e la sua morte (il triennio 1989-1991). Questi due momenti devono essere posti sullo stesso piano di importanza. Una loro corretta considerazione permetterà facilmente di superare razionalmente la scorciatoia semplificatrice ed infondata della illusione criminale. La teoria della illusione deriva infatti addirittura dalla critica dei pensatori della Restaurazione (1815-1830) alla rivoluzione francese, vista come delirio giacobino di ricostruzione integrale della società in nome di un astratto progetto intellettualistico (e del resto è questa la lettura di Furet della stessa rivoluzione francese). La teoria del crimine è invece derivata da quella riduzione giuridica della storia risultante dal processo di Norimberga, per cui ormai i vincitori devono ad ogni costo processare i vinti, ed è evidentemente ritenuto insufficiente averli semplicemente vinti. La rivoluzione è una illusione, e la sconfitta è un crimine. Chi si mette su questa strada, magari con le migliori intenzioni soggettive di questo mondo, semina vento, ed è probabile che in futuro raccolga tempesta.
Consideriamo la nascita del comunismo storico novecentesco (il triennio 1917-1919). Si tratta di una risposta legittima allo scatenamento sanguinoso della prima guerra mondiale imperialistica del 1914. È pertanto un atto politico che ha una legittimazione storica originaria, in quanto risposta derivata da una precedente barbarie, e non ha pertanto bisogno di nessun'altra legittimazione storica o filosofica ulteriore. È semplice: il 1917 è una legittima risposta al 1914. Dal momento però che la levatrice politica era un partito marxista, il partito bolscevico russo di Lenin, si volle ad ogni costo trovarvi una legittimazione teorica marxiana, e lo si fece con l'argomento per cui, pur avendo previsto Marx la rivoluzione socialista nei punti alti dello sviluppo industriale capitalistico, il nuovo stadio imperialistico comportava la possibilità (ed anzi la necessità) della rivoluzione a partire dagli anelli deboli della catena mondiale imperialistica. Nei termini dell'epistemologo americano Kuhn, si tratta di una "correzione" di un paradigma scientifico già in crisi. Ed il paradigma scientifico marxiano originario era già in crisi, perché la contraddizione politica fra il carattere sempre più sociale della produzione ed il carattere sempre più privato della appropriazione non si era verificata, e di conseguenza non si era verificata la fusione fra il lavoratore collettivo cooperativo associato e le potenze mentali della produzione (da Marx definite con termine inglese "general intellect"). Come ha chiarito lo studioso italiano Gianfranco La Grassa, questo è avvenuto perché il modello originario di Marx è stato costruito sulla forma della fabbrica, mentre la forma economica dominante è stata quella dell'impresa.
Ebbene, queste considerazioni marxologiche (qui richiamate in forma ultratelegrafica) spiegano la mancata vittoria epocale del comunismo storico novecentesco sul sistema capitalistico, ma non cambiano di una virgola la questione della piena legittimità storica della nascita del comunismo storico novecentesco. Ecco perché la critica di Nolte al comunismo, quella di aver avviato nel 1917 una sorta di guerra sociale originaria è completamente falsa. La guerra sociale originaria è stata avviata nel 1914, ed ancora perdura, perché ancora perdura l'imperialismo.
Consideriamo ora la morte del comunismo storico novecentesco (il triennio epocale 1989-1991). Finché non sarà risolto l'enigma teorico di questa morte, il mistero scientifico di questa doppia dissoluzione (dall'alto e dal basso) sarà impossibile ogni comprensione storica seria del secolo ormai al tramonto. Chi scrive propone qui brevemente la sua diagnosi, scusandosi per la brevità. Il comunismo storico novecentesco non è morto perché non ha avuto il tempo storico necessario per costruire un efficiente sistema economico, politico e culturale socialista, ma è morto appunto perché ha avuto tutto il tempo necessario per portarne a termine la costruzione, ed è appunto questa costruzione portata a termine la premessa logica e storica della restaurazione dell'attuale capitalismo normale mondializzato. Sappiamo che questa formulazione purtroppo sarà letta come un assurdo paradosso, e ce ne dispiace molto, perché la nostra affermazione deve essere intesa in modo letterale, e non paradossale. Non ritenendo la classe operaia e proletaria una classe capace di attuare una transizione storica intermodale (cioè da una modo di produzione ad un altro), pensiamo che il fallimento storico ed epocale del comunismo storico novecentesco non sia stato dovuto ad una maligna espropriazione del potere della classe operaia da parte di una corrotta burocrazia piccolo-borghese (è questa una spiegazione demonologica, e per questo molto diffusa, perché la demonologia è la variante più semplice ed elementare della sociologia), quanto proprio al fatto che il partito che la rappresentava ha cercato di farne gli interessi. Ha trasformato la società in un'immensa fabbrica, ma la fabbrica per funzionare ha bisogno dell'impresa, ed il sistema più efficiente per far funzionare le imprese è quello capitalistico normale. Chi preferisce il linguaggio filosofico può usare altre espressioni. Se ama Hegel, potrà dire che l'ascetismo della morale si trasforma dialetticamente in regno animale dello spirito. Se preferisce Heidegger, potrà dire che lo svolgimento integrale della metafisica (marxista) si realizza infine nella tecnica (capitalistica). In ogni caso, il comunismo storico novecentesco non è stata la storia di una illusione criminale (e chissà perché dovrebbe essere illusorio e criminale cercare di costruire un'alternativa globale alla società capitalistica?), ma di una impotenza funzionale. La classe (operaia e proletaria) ed il partito (comunista e marxista-leninista) non sono organismi ed organi adatti al superamento del capitalismo.
Tutto qua? Già, proprio così, tutto qua.



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