7. Il decisivo intermezzo 1964-1973. Dalla morte di Togliatti alla proposta di compromesso storico di Berlinguer
Il togliattismo si riduce in ultima istanza ad una “guerra di posizione” in cui la garanzia di vittoria non è data dagli scontri fra opposte trincee, ma dalle riserve che possono giungere dalle retrovie. E negli anni Sessanta comincia ad apparire chiaro che le retrovie socialiste hanno una produttività minore delle retrovie capitaliste. Qui comincia a tramontare ed infine muore il togliattismo. Chi di forze produttive ferisce di forze produttive perisce. Chi aveva imposto al movimento operaio internazionale il paradigma economicistico subisce alla fine il dantesco contrappasso.
Nel decennio decisivo 1964-1973 il PCI diventa uno strumento diretto per l’integrazione di grandi masse studentesche ed operaie nel sistema capitalistico. Non si tratta a mio avviso di un “tradimento”, ma di una funzione fisiologica tipica di ogni normale socialdemocrazia europea moderna. L’eccezione del PCI era data dal fatto che questo strano partito-giraffa aveva una struttura socialdemocratica ed una sovrastruttura stalinista, ma questa peculiarità era secondaria di fronte alla funzione oggettivamente “integrativa” che esercitava, il cui ruolo di avanguardia era dato dalle cooperative delle cosiddette “regioni rosse”.
Io ripeto fino alla nausea: non ci fu tradimento. Tutti coloro che fantasticano di una situazione rivoluzionaria causata dalla sinergia delle lotte studentesche del 1968 e delle lotte operaie del 1969, con un “autunno caldo” che sembrò protrarsi fino al 1973, costruiscono a mio parere un mito storiografico estremamente diseducativo per le nuove generazioni. Bisogna distinguere in proposito fra due livelli storici distinti, il livello della dinamica superficiale ed il livello della dinamica profonda.
La dinamica superficiale era quella della formazione di gruppi rivoluzionari (Lotta Continua, Potere Operaio, Servire il Popolo in una prima fase, e poi i gruppi armati in una seconda fase) che mettevano all’ordine del giorno una rivoluzione di tipo socialista. In termini marxiani, si trattò della falsa coscienza necessaria, ma illusoria, di un’intera generazione.
La dinamica profonda era invece quella della integrazione in un capitalismo dei consumi, una dinamica che ovviamente avvenne in modo diverso per gli studenti e per gli operai. Gli studenti confusero un processo di modernizzazione del costume per un processo anticapitalistico, e questa confusione fu propiziata da una ideologia invecchiata che identificava la borghesia con il capitalismo, e non capiva che il capitalismo maturo per poter allargare il proprio spazio di mercificazione universale deve far fuori lui stesso i vecchi residui moralistici borghesi tradizionali. I posteriori esiti innocui di tipo pacifista, ecologista e femminista erano già dialetticamente contenuti in potenza dall’impossibilità di qualunque rivoluzione socialista in Italia.
Un discorso diverso deve essere fatto per gli operai. Nella loro stragrande maggioranza (e chi vive a Torino lo ha chiaro come il cristallo, mentre solo chi vive a Teramo o a Benevento può non capirlo) gli operai sanno perfettamente di non potere “dirigere tutto”, e di aver bisogno per difendere i loro interessi di una classe politica e sindacale istituzionalizzata e professionalizzata. E’ questa la chiave del balzo in avanti elettorale del PCI dal 1968 al 1976. Il PCI garantiva alla piccola borghesia una stabile modernizzazione e liberalizzazione del costume contro i residui del tradizionalismo clericale, ed alla nuova classe operaia di recente emigrazione un processo graduale di integrazione nella società.
In assenza di qualunque prospettiva rivoluzionaria (ed è giunto il momento di dirlo anche sulle riviste di “estrema sinistra”) era il massimo che si poteva ottenere, ed il PCI contribuì ad ottenerlo. Dunque, nessun tradimento sociale e politico. Il tradimento però ci fu lo stesso, e fu un tradimento culturale terribile. In una parola: il graduale processo di modernizzazione del costume e di integrazione sociale delle classi popolari nel capitalismo fu fatto passare per una sapiente “via italiana al socialismo” ed addirittura per “eurocomunismo”. In questo modo si contribuiva ad un vero e proprio “impazzimento ideologico” di cui continuiamo ancora oggi a pagare i prezzi (berlusconite, infantilismo girotondino, ecc.).
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