Il presente di Costanzo Preve

II parte
 



Pubblichiamo qui la replica di Costanzo Preve alla critica che Giuseppe Bailone muove al modo generale con cui Costanzo Preve mette in relazione filosofia e politica. Al di là della specifica disputa, pensiamo che possa offrire alcuni spunti interessanti e (come dice la vecchia frase) "stimolare un dibattito".

Il testo è stato diviso in tre parti:

  • La critica di Giuseppe Bailone

  • La replica di Costanzo Preve

  • La replica di Giuseppe Bailone

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    Replica di Costanzo Preve a Giuseppe Bailone

    Torino, febbraio 2005

    UNA PRIMA RISPOSTA DI COSTANZO PREVE A GIUSEPPE BAILONE

    Giuseppe Bailone (d'ora in poi GB) ha scritto alcune rivelatrici osservazioni su di un ultimo libro di Costanzo Preve (d'ora in poi CP). Egli ha utilizzato il metodo che si dice in greco parrhesia, che si può tradurre in italiano colto con "franchezza" ed in italiano popolare come "cantargliele chiare". Userò allora lo stesso metodo, per un senso di reciprocità che certamente GB, dopo una prima inevitabile e comprensibile irritazione, apprezzerà: franchezza e cantargliele altrettanto chiare.

    GB FRA VOLONTA' DI DIALOGO E PULSIONE DI DENUNCIA

    Nell'atteggiamento psicologico e teoretico che GB ha nei miei confronti io noto una interessante contraddizione, che però non è una contraddizione produttiva, ma una contraddizione del tutto improduttiva. Da un lato, una sincera e verificabile amicizia filosofica, un'intenzione dialogica soggettiva reale, ed inoltre un affetto umano che percepisco ed apprezzo, peraltro ricambiandolo. Dall'altro, una pulsione insistente ed insistita di rifiuto e di denuncia globale del mio intero modo di concepire la filosofia, e più esattamente il suo oggetto ed il suo metodo. Il suo oggetto (il rapporto fra il significato dell'esistenza individuale e la totalità storica e sociale temporalmente determinata in cui essa si svolge) ed il suo metodo (un metodo dialettico, logico ed ontologico che rifiuta le dichiarazioni aprioristiche, e per me fastidiose, che vivremmo ormai in un'epoca post-metafisica e non ci rompano più le scatole - per me la cosiddetta post-metafisica è solo la teologia laica del nostro tempo).

    In questo modo, con tutte le proporzioni del caso, si riproduce non lo scenario di un dialogo possibile, ma lo scenario di un dialogo impossibile. Più esattamente, di un'amicizia filosofica possibile, ma di un dialogo filosofico del tutto impossibile e sterile. Un mulo filosofico, non un cavallo o un asino filosofici. Facciamo l'esempio della critica di Kierkegaard a Hegel, togliendo gli insulti del primo al secondo. Ogni dialogo è impossibile, perché Kierkegaard denuncia l'intero modo globale con cui Hegel fa filosofia, ed i suoi argomenti non sono veri argomenti, ma messe in guardia contro un intero modo di fare filosofia. Così si comporta da dieci anni GB nei miei confronti. Questo fatto non mi irrita (ammetto che un tempo mi irritava un poco) perché ormai credo solo più nelle improvvise conversioni di punti di vista filosofici globali (come il vecchio Platone, del resto, sono in buona compagnia) ma non credo assolutamente più nelle tecniche di argomentazione universalizzanti tramite convincimento razionale. Habermas non può essere convinto con argomenti che Habermas ha torto. E lo stesso, ovviamente, avviene tra noi.

    UN MULO FILOSOFICO

    Cavalli e asini possono procreare altri cavalli e altri asini, ma il mulo è sterile. Definisco allora un mulo filosofico la situazione in cui i due (o più) partecipanti al dialogo rifiutano (magari cortesemente, implicitamente e senza eccessiva aggressività) la legittimità globale di un oggetto e di un metodo, più esattamente la legittimità globale dell'intreccio indissolubile fra un certo metodo ed un certo oggetto.

    Su questo punto c'è però una asimmetria fra me e GB. Io accetto, sia pure per questioni metodologiche, il suo oggetto ed il suo metodo ( a mio avviso cattivo, perché programmaticamente destoricizzato). GB non fa però lo stesso con me, perché non perde occasione per ripetere che non gli interessano né le ipotesi di genesi storica delle categoria teoriche (che fa il 50% del mio metodo), né il giudizio filosofico (si noti bene, filosofico, non economico o politico) sulla totalità sociale capitalistica, che per me è ontologicamente (natura umana) ed assiologicamente (valori etici) negativa.

    E come si fa allora a discutere se preventivamente si afferma di non riconoscere legittimo né il metodo né l'oggetto dell'interlocutore?

    E' chiaramente impossibile. O meglio, è possibile, ed è anche amicalmente produttivo, ma è teoricamente del tutto sterile. GB continua ad alzare le sue insegne, Protagora e Socrate come filosofi del buon dialogo, Agostino e Marx come filosofi del cattivo potere, Pascal come filosofo della buona scommessa, e non perde l'occasione per manifestare la sua irriducibile antipatia per Hegel e Marx.

    Mi chiedo: su questa base com'è possibile un dialogo filosofico produttore di eventuali novità? Ripeto il termine: eventuali novità. C'è solo una buona amicizia fra pensionati che parlano di Platone anziché giocare solo a scopone o a scacchi. Anche il mulo è peraltro un animale simpatico e di compagnia. Ma non si creda però che possa procreare.

    LA CONCEZIONE LUDICO - PENSIONISTICA DELLA FILOSOFIA DI GB

    Che cosa sia la filosofia per GB lo si può sapere, perché lo scrive papale papale nella critica che mi fa.

    Dice GB(pag.3): "Perché CP non prova a pensare i concetti filosofici come se fossero caduti dal cielo, nella loro pura oggettività, come se fossero stati costruiti per non servire a nulla, gratuitamente, come i prodotti artistici, per solo interesse alla loro costruzione? Perché non gioca con la filosofia (sic!) come se essa non servisse proprio a nulla se non al gioco stesso?"

    Cito letteralmente GB, e non mi si dica che lo fraintendo. Ci sarebbe da scrivere un intero libro su questa concezione, ma ovviamente mi limiterò ad alcune osservazioni.

    In primo luogo, si sono date della storia della filosofia molte concezioni della filosofia. le principali che conosco sono quattro: terapeutica, politica, teologica ed infine epistemologica. Nella concezione teologica metto anche l'ateismo (teologia rovesciata) ed in quella epistemologica metto anche un certo Aristotele ed un certo Kant. Ma non perdiamoci nei particolari, che non sono qui in discussione. GB aggiunge una quinta concezione, che definirò ludica (secondo le sue stesse parole) oppure ludico - pensionistica, se la riferisco alla nostra amicizia. Ora, il dialogo filosofico è sempre anche e soprattutto ludico, perché dà piacere a chi lo effettua. Ma come nel caso del coito fra uomo e donna, in cui il coito dà piacere, ma ha come effetto la riproduzione della specie, nello stesso modo il dialogo filosofico dà piacere in sé, ma ha come effetto il perseguimento di universali veritativi (da distinguere da veritativo - prescrittivi con coazione). Se GB ha una concezione di filosofia con preservativo ed anticoncezionali ( e lo dico ovviamente senza alcuna volgarità) l'abbia pura, ma non pretenda che io vi consenta. In secondo luogo, questa concezione ludica della filosofia, che GB esprime in un contesto polemico nei miei confronti, non è neppure quella dei suoi modelli, e cioè Protagora, Socrate e Pascal.

    Protagora e Socrate erano pensatori (anche) politici. Socrate era il moscone del nobile cavallo della democrazia ateniese. Se fosse stato un ludico pensionato del puro gioco nessuno lo avrebbe condannato a morte. In quanto a Pascal, non conosco nessuno che praticasse la filosofia in modo meno ludico di lui. Devo dunque concludere che GB si lascia trasportare dalla (legittima) polemica nei miei confronti addirittura contro se stesso.

    In terzo luogo, e soprattutto, discutiamo l'idea che i concetti filosofici siano caduti dal cielo. Facciamo ora due sottoipotesi: (I) che siano veramente caduti dal cielo; (II)che non siano caduti dal cielo, ma che noi facciamo come se lo fossero.

    La prima sottoipotesi è insostenibile. I concetti filosofici non cadono dal cielo, ma hanno sempre una genesi storica precisa. Questa genesi storica, lo si noti bene, non è solo ideologica ma è anche ideologica, e si tratta allora di separarla da quella propriamente filosofica, come fa la levatrice, che separa il neonato dal sangue e dal materiale biologico e taglia il cordone ombelicale. Il fatto che GB, a dieci anni dalla conoscenza con CP, continui ad attribuirgli una confusione fra statuto ideologico e statuto filosofico degli enunciati (laddove è proprio su questo punto cruciale che personalmente ha rotto con la stragrande maggioranza dei marxisti, che stabiliscono un'equazione fra i due statuti) è un vero mistero psicologico, ed è anzi la sola cosa che mi produce veramente irritazione.

    Questo mi conferma peraltro sulla mia tesi pessimistica per cui nessuno ascolta (ascoltare = prendere in considerazione teoretica) cose che metterebbero in discussione il pigro profilo che ci siamo fatti dell'interlocutore. La seconda sottoipotesi è invece sostenibile, ma presuppone l'accettazione di questa proposta convenzionale: non sono caduti dal cielo, ma facciamo l'ipotesi che lo siano per divertirci meglio. E no, caro amico!! Io non ho solo il sospetto che non siano caduti dal cielo, ma ho la ragionevole certezza che non lo siano. E su questa ragionevole certezza mi muovo.

    Ma sul sospetto e la ragionevole certezza ritornerò fra poco.

    IL BANCO VINCE SEMPRE

    Nel quadro ludico di GB c'è però un trucco. E cioè che il banco vince sempre. Io infatti sono un giocatore che "rischia" delle interpretazioni. Ad esempio, propongo interpretazioni di Locke, Hume, Marx, eccetera, che possono essere giustissime, giuste, sbagliate, sbagliatissime, eccetera. E' il rischio delle interpretazioni. Ma GB non oppone alle mie interpretazioni altre interpretazioni alternative argomentate, come dovrebbe essere fatto in un vero "gioco". Egli mi nega addirittura la legittimità di farlo, non scende neppure nel merito, dice semplicemente che non bisogna fare così, che bisogna solo giocare, eccetera. In questo modo vince sempre senza neppure giocare. Ma che gioco è un gioco in cui il banco vince sempre?

    IL COSTANZO PREVE DI GB - UN PENSATORE DEL SOSPETTO

    GB propone un "profilo espressivo unitario" di CP come pensatore del sospetto. Mi sia permesso di respingere educatamente questo profilo, in quanto ritengo di essere un pensatore della ipotesi razionale e della certezza razionale. Tutti noi siamo ovviamente due cose, il modo in cui ci autopercepiamo da soli ed il modo in cui ci percepiscono gli altri. Solo Dio e Robinson Crusoé sfuggono alla seconda dimensione. Non identificandomi nei due personaggi sopracitati, accetto in via di principio la legittimità della percezione di GB. Chiedo solo che mi sia permesso di respingerla con argomenti razionali.

    Il termine di "maestri del sospetto" è stato proposto da molto tempo ormai dal filosofo francese Ricoeur a proposito di Marx, Freud e Nietzsche, di cui sarebbe il "cappello unitario". A mio avviso, e non voglio nasconderlo, si tratta di una delle tante sciocchezze del marketing parigino. Comunque, per Ricoeur Marx sarebbe il pensatore del sospetto per cui dietro la teorie filosofiche ci sarebbero interessi economici e sociali, Freud lo sarebbe per cui dietro l'autoconsapevolezza della coscienza ci sarebbero le pulsioni dell'inconscio, ed infine Nietzsche lo sarebbe per cui dietro le teorie etiche, morali e religiose ci sarebbe la volontà di potenza.

    Si noti che questa riduzione della filosofia a dietrologia e della pratica filosofica a pratica dello smascheramento viene connotata da Ricoeur in fondo positivamente. Sarebbe in altre parole la pars destruens dell'ermeneutica, da cui bisogna passare. GB ribalta il significato di Ricoeur in senso puramente e solo negativo. E non è un caso, perché chi ha una esplicita concezione ludica della filosofia non vuole essere disturbato nel suo godimento ludico - dialogico.

    Mi riconosco in questa ricostruzione? Ma neppure per sogno. A parte il fatto che comunque Ricoeur individua un fatto reale, e cioè che non si può fare filosofia se non si "sospetta" che la tesi presa in considerazione sia sbagliata perché troppo condizionata da fattori sociali esterni (a meno che il banco voglia vincere sempre negando questa possibilità), personalmente mi dev'essere permesso di dire la mia e di respingere questa connotazione.

    In breve: (I) CP è un pensatore del dubbio metodico ed iperbolico e non del sospetto; (II) CP è un pensatore della ipotesi razionale e della certezza legittima e non del sospetto.

    Discutiamo separatamente i due punti.

    CP E' UN PENSATORE DEL DUBBIO METODICO ED IPERBOLICO E NON DEL SOSPETTO

    Un breve intermezzo di storia della filosofia occidentale. Il razionalismo, e qualunque razionalismo, si fonda metodologicamente sulla "messa in dubbio" del sapere precedente. In questo scenario la differenza fra "dubbio" e "sospetto" è solo sofistica, perché è chiaro che dubitare della fondatezza di una concezione equivale a sospettare che essa non sia fondata come dice. Il signor Ricoeur ha il diritto di proporre una accattivante formuletta, ma noi abbiamo la libertà di non farcene imprigionare. Detto questo, CP si autointerpreta come un momento del razionalismo occidentale, o se (ricordando che sono consapevole della mia piccolezza di fronte ai pensatori soprannominati) come un terzo momento rispetto prima a Cartesio e poi a Marx. Mi spiego subito.

    Cartesio introduce prima un dubbio iperbolico (che Dio sia cattivo e voglia ingannarci) e poi una serie di dubbi metodici.

    Questi dubbi, è chiaro non investono la natura storica e sociale della cultura, e quindi la sua determinazione genetica e temporale, ma solo il suo aspetto metodologico, e cioè le sue carenze di evidenza, esattezza, eccetera.

    Egli non "sospetta" della società, ma "sospetta" solo della (vecchia) metafisica.

    Fra Cartesio e Marx ci stanno alcune bagatelle chiamate illuminismo, idealismo (più esattamente filosofia classica tedesca da Kant a lui stesso), società industriale, eccetera. Certo, possiamo sempre fingere che queste bagatelle non esistano e che le idee vengano dal cielo come gli escrementi dei piccioni, ma allora CP farà come gli ecologisti: "No, grazie!". Il dubbio che Cartesio applicava alla natura Marx lo applica ora alla società. Mi sembra un logico e sobrio sviluppo del razionalismo occidentale moderno. La continuità fra Cartesio e Marx mi sembra anzi più un fatto quasi incontestabile che una opinione fragile. Chissà perché sarebbe consentito dubitare della natura e non della società?? Aspetto ancora un sofista talmente bravo da provare una simile tesi!

    In quanto al modesto CP, non ritengo di fare altro che estendere il dubbio metodico e iperbolico allo stesso Marx ed al marxismo successivo nelle sue numerose e spesso incompatibili varianti. Dubbi iperbolici, e cioè che il capitalismo sia capace di sviluppare illimitatamente le sue forze produttive garantendo un dominio sociale tempestoso ma alla fine vincente, in primo luogo, e che la classe operaia, salariata e proletaria sia una delle classi storicamente meno egemoni da Nabucodonosor a oggi. Dubbi metodici, su decine di questioni di interpretazione consolidate di autori più noti di me (ad esempio, no al concetto di intellettuale organico di Gramsci, eccetera). Che io poi sia inadeguato a questo compito "dubitativo" è possibilissimo, ed è anzi (dico sul serio) probabile. Ma non mi si appiccichi un distintivo con su scritto SOSPETTO, perché me lo toglierò subito.

    CP E' UN PENSATORE DELLA IPOTESI RAZIONALE E DELLA CERTEZZA LEGITTIMA E NON DEL SOSPETTO

    Sulla base delle argomentazioni svolte nel paragrafo precedente aggiungo ancora due punti.

    Noi ragioniamo sempre con ipotesi razionali. Tocca all'interlocutore, se intende giocare un gioco con buone regole, criticarle e proporne delle altre alternative, mentre è gioco truccato dichiarare che sono inammissibili, modo in cui il banco vince sempre ed in cui il mulo sostituisce l'asino ed il cavallo.

    Ora, io ipotizzo che il razionalismo greco sia sorto dalla fessurazione di macrocosmo e di microcosmo, eccetera. Nessuna risposta. Nessuna obiezione. Semplicemente, disinteresse. Ma il disinteresse non è un argomento, è solo un dato di incomunicabilità tematica e metodologica. Ora, io penso che queste fessurazioni nascono anche e soprattutto per ragioni di interesse ideologico individuale e collettivo (e non cascano dal cielo, tesi che GB sa benissimo essere indifendibile in qualunque confronto socratico serio), ma che poi diano luogo ad una eccedenza veritativa, che va al di là ed oltre la genesi storica che le ha prodotte. GB conosce benissimo questa mia posizione, che gli avrò ripetutamente detto cento volte (ma credo di più), ma fa sempre come se non l'avesse sentita, e ripete continuamente che io riduco sistematicamente la filosofia a ideologia.

    Non penso si tratti di malafede, anzi lo escludo. Penso invece che (come mi è già successo con Norberto Bobbio) si tratti di una tendenza psicologica spontanea ed in buona fede a "ridurre il disturbo", cioè a continuare a battersi con un profilo facile da individuare e rassicurante. In definitiva, quando parlo della sostanza di Locke, della causalità di Hume o dell'idealismo rimosso di Marx, eccetera, io non sospetto niente, ma propongo quelle che per me sono ragionevoli certezze.

    Ogni dialogo filosofico si basa su ragionevoli certezze. Ad esempio Socrate partiva non dal sospetto, ma dalla sua ragionevole certezza che il convenzionalismo maggioritario delle opinioni non fosse una terapia adeguata per curare il nobile cavallo della città degli Ateniesi.

    Si concedano a CP le ragionevoli certezze che si concedono al grande ateniese.

    L'ANTIPATIA DI GB PER HEGEL E PER MARX

    L'antipatia filosofica di GB per Hegel e Marx è fortissima, ed è una delle cause principali delle nostre difficoltà di comunicazione, perché io sono un esplicito, non pentito e recidivo simpatizzante filosofico per Hegel e Marx (il che non significa, ovviamente, che io condivida tutte le loro posizioni). Credo che in GB la radice psicologica di questa antipatia stia nel fatto che GB li vede come pensatori del potere, o comunque della legittimazione filosofica sofisticata del potere stesso, una sorta di "gesuiti filosofici laicizzati", ed essendosi GB in gioventù emancipato(?) dai gesuiti veri non vuole ora altri gesuiti mascherati. Contro questa antipatia filosofica l'argomentazione è impotente. In proposito, mi limiterò a ricordare solo due degli innumerevoli pregiudizi su Hegel e Marx che per GB sono dogmi indiscutibili.

    Non è vero che Hegel sia un teorico della fine della storia, della filosofia, dell'arte, eccetera, nella sua empirica persona fisica. Questo può solo essere la posizione di un cretino narcisista, ed il principio metodologico fondamentale di tutti i possibili studi hegeliani era che non poteva essere talmente cretino e narcisista. Hegel pensava che l'infinito si determina sempre storicamente nel finito, che questa sua personale filosofia sia la migliore (o meno peggiore) determinazione filosofica finita nel suo tempo storico. Cosa che peraltro pensano tutti i filosofi, compreso GB stesso, e per di più in modo ancor più "ipertrofico" di Hegel, in quanto non hanno neppure l'autoconsapevolezza storicizzata finita.

    Per quanto riguarda Marx, l'antipatia di GB nei suoi confronti sta nel fatto che GB lo vede (alla Popper, alla Furet, eccetera) come un filosofo neoagostiniano del potere in salsa atea, in cui la prescrizione coattiva dei comportamenti è giustificata da una presunta conoscenza veritativa anticipata della storia. Mai fraintendimento fu tanto grande, e nello stesso tempo è una "predica inutile" (Einaudi) pensare di chiarirlo. Comunque, facciamolo lo stesso. Marx non prescrive nulla e non ha mai prescritto nulla ("non si possono scrivere ricette per le osterie del futuro"), ma semplicemente descrive un processo storico che egli (erroneamente) credeva in corso. Marx è un pensatore della descrizione, non della prescrizione. Esistono intere biblioteche (che non interessano a GB perché gli farebbero saltare lo schemino su Marx che gli è caro) che certificano che la dialettica di Marx è solo "negativa" e non giustificazionista (Adorno, eccetera).

    Tuttavia, l'antipatia per Hegel e Marx, l'amico GB me lo consenta, è a mio avviso oggi un fatto sociale e non individuale. E' cosa, me lo consenta ancora, su cui non ho nessun sospetto, ma una ragionevole certezza.

    LA DUE FONTI DI ISPIRAZIONE DI GB: NICOLA ABBAGNANO E ADRIANO SOFRI

    L'amico GB mi ha tagliato i panni addosso, cosa che consento solo agli amici, ed allora non deve aversene a male se anch'io li taglio addosso a lui, modificando il proverbio così: chi di spada ferisce deve accettare che con la spada sia ferito anche lui. In estrema sintesi, ritengo che i due "ascendenti" principali per capire non certo tutto Bailone (che ha ovviamente decine di ascendenti, ed in più la sua personale elaborazione creativa soggettiva) siano il filosofo Nicola Abbagnano ed il capetto politico Adriano Sofri. Mi spiego subito.

    Nicola Abbagnano (e qui avanzo ovviamente la mia legittima interpretazione storiografica personale) era un filosofo che aveva trasposto sul grande Hegel la sua antipatia verso Benedetto Croce, che era il suo "padre personale" da uccidere "filosoficamente". L'uccisione di Hegel implicava il fatto che i concetti, anziché essere radicati geneticamente nella storia ed "assoluti" solo in una sfera logico - ontologica pura (Dio prima della creazione del mondo), fossero delle "possibilità concettuali" offerte ad un uomo destoricizzato. Faccio un esempio personale. Nel 1967-68 mi preparai per l'abilitazione all'insegnamento con un signore chiamato Giampiero Bordino, che ricordo come un abbagnaniano entusiasta.

    Abbiamo imparato a memoria il Dizionario di Filosofia UTET di Abbagnano, in cui c'erano utilissimi elenchi di significati di concetti, che erano tutti "possibilità concettuali" date a persone destoricizzate (almeno, così le interpretai io). In 35 anni di insegnamento nei licei torinesi mi accorsi che la stragrande maggioranza dei miei colleghi, non importa se politicamente di sinistra, centro o destra, avevano tutti indistintamente un imprinting abbagnaniano spontaneo. Questo testimonia ovviamente a favore della forza teorica di Abbagnano (e di Bobbio, che a mio avviso ha fatto lo stesso in filosofia politica). GB è su questo punto un abbagnaniano puro, e trovo ovvio che respinga entrambe le bestie nere di Abbagnano: (I) considerazione filosofica veritativa della totalità intesa come totalità olistica espressiva (anche se poi, in modo solo apparentemente contraddittorio, Abbagnano considerava poi di fatto come "positiva" la totalità economica e politica capitalistica); (II) genesi storica delle categorie, che in questo modo non sono più "possibilità concettuali", ma luogo di un conflitto dialettico fra genesi storica e validità filosofica successiva.

    La seconda fonte teorica di GB è Adriano Sofri, il capetto soggettivista di Lotta Continua fra il 1969 ed il 1976.

    Non entro qui volutamente in considerazioni politiche, su cui ne avrei da dire delle belle. Constato che Sofri fu il portatore di una concezione dell'impegno politico che rifiutava integralmente lo studio e la discussione del marxismo (LC non ebbe mai in tutta la sua storia una rivista teorica di dibattito), in favore di una sorta di esistenzialismo collettivo generazionale di gruppo "misto" (studenti borghesi ed operai proletari), che propugnava una sorta di fusione e di andata al popolo. Come in tutti i gruppi di tipo carismatico e non razionale, l'interpretazione autentica della vera "esistenza" del gruppo era riservato al capetto leader. Finito il capetto leader il gruppo si scioglie ed i suoi singoli membri sono consegnati al rifiuto della politica (o al riciclaggio in apparati di potere, cosa che non avvenne per il nostro GB).

    GB non se ne abbia a male se gli taglio i panni addosso, visto che lui lo ha fatto con me. Non intendo affatto "sospettare" che abbia dietro Abbagnano e Sofri. Sono ragionevolmente sicuro che invece li abbia non tanto "dietro" (sono contrario ad ogni dietrologia riduzionistica), quanto li abbia come elementi di determinazione decisiva del proprio imprinting filosofico. Può darsi ovviamente che la mia analisi sia errata. Se è così, mi si corregga. Ma se è così, si spiegano meglio le conseguenze "mulesche", e non cavallesche o asinesche, del nostro dialogo filosofico, che porta con sé amicizia e stima, ma nessun accordo sia pure minimo e metodologico. E adesso, però, basta con i giudizi genealogico - psicologici su CP e GB, e torniamo agli ultimi punti della nostra "filosofia filosofica".

    ATENE E GERUSALEMME SECONDO GB E SECONDO CP

    GB nota giustamente che per me la Grecia non è un dato emozionalmente neutro, ma Grecia antica e moderna si fondono in una sorta di "totalità espressiva" positiva. Bene, credo che sia proprio così. Questo però non c'entra nulla con la questione teoretico - simbolica che viene connotata (non sempre propriamente) come opposizione (o conciliazione) Atene - Gerusalemme. Questo punto merita di essere chiarito.

    Per GB non c'è opposizione fra Atene e Gerusalemme per il semplice fatto che nella sua concezione ludica della filosofia entrambe sono depositi simbolici di creazione libera di significati. Egli non crede assolutamente che esista un signore chiamato Dio che consegna a un signore chiamato Mosè le tavole della legge, e tratta la mitologia biblica esattamente come la mitologia greca, per cui Giove e Mosè sono parimenti espressione simbolica di significati umani, che l'interprete (in questo caso GB) propone al lettore. Si può fare libera ermeneutica ludica sia decostruendo la mitologia greca sia interpretando liberamente la mitologia biblica. Per questo GB non vede opposizione fra Atene e Gerusalemme.

    Diversamente vanno le cose per CP. E vanno diversamente perché per CP la filosofia non è libera attività ludica (o ludico pensionistica) di creazione artistica di pensieri intelligenti su di una condizione umana preventivamente destoricizzata, ma un pensiero che non è lo stesso se parte da una costruzione umana (la mitologia greca) o da una rivelazione presunta divina (la religione biblica del libro). Un conto è interpretare il "gran libro" della natura e della società, senza presupposti creazionistici ed anzi programmaticamente escludendoli, ed un conto è interpretare più o meno profeticamente le intenzioni ed i giudizi di Dio. Che poi il Dio ebraico sia un Dio programmaticamente legato al suo popolo eletto e solo a quello (idea che trovo ripugnante, e spero che non mi si accusi di antisemitismo per questo, ma non si sa mai con i chiari di luna che corrono), oppure sia un Dio universale ed universalizzabile, questo lo lascio agli esperti (fra cui modestamente non mi colloco).

    Qui, e solo qui, è la differenza che faccio tra Atene e Gerusalemme. Ho l'impressione che la Gerusalemme di GB sia una strana ed inedita "Gerusalemme senza Dio", in cui al posto di Dio, incompatibile con la concezione ludica di GB, ci sia soltanto un grande magazzino di interpretazioni simboliche possibili. Che dire? Nietzsche in questo caso direbbe che Dio è morto, e GB ha continuato a ucciderlo.

    LA NATURA UMANA SECONDO GB E SECONDO CP

    Dal momento che sono un inguaribile sentimentale e credo nel "lieto fine" terminerò queste provvisorie note rilevando un punto di feconda convergenza possibile fra me e GB, e cioè la questione della "natura umana". In proposito mi limito a segnalare tre punti.

    Primo, non sono d'accordo con quelli che dicono che la cosiddetta "natura umana" non esiste, e sotto questo termine ideologico ci stanno soltanto i rapporti sociali e storici. Chiamo questa posizione "relativismo storicistico", per non diffamare lo storicismo razionale e non nichilistico. Una variante apocalittica oggi di moda dice che la natura umana un tempo esisteva, ma ora è stata manipolata dai media, eccetera. Idiozie. Secondo, ritengo che ci sia lo spazio legittimo per un'indagine prevalentemente "scientifica" della natura umana a base biologica, genetica e comportamentale. Su questo sono sostanzialmente analfabeta, e dunque taccio. Ma credo che una scienza etologica senza ipotesi filosofiche non ci permetta di capire la questione. Terzo, ritengo fortemente che la filosofia debba trattare della natura umana. In proposito ci sono due possibilità, e cioè un'antropologia senza ontologia ed un'antropologia con ontologia. Io sono per la seconda possibilità.

    Qui però il discorso si apre.

    CONCLUSIONI PROVVISORIE

    Spero che il mio amico abbia apprezzato la mia franchezza, utile per eliminare subito quegli equivoci che resistono spesso alla "diplomazia espressiva". Egli sa bene che per me la franchezza è esattamente il contrario del disprezzo e dell'insulto. Sono sicuro che risponderà. Bene, anzi benissimo. Personalmente, mi impegno a proseguire il dialogo.

    Un ultimo rilievo. GB, come molti altri, ha dovuto pagare nella sua vita professionale il clima canagliesco del sindacalismo aziendalistico di tipo ecumenicamente berlinguerianmorattiano, per cui i professori di università sono "professori" e quelli di liceo "insegnanti". Chi ha introiettato questa gerarchia sindacal - accademica ha spesso assimilato anche la subalternità. Per uscirne, direbbe Kant, ci vuole un atto di libera volontà. GB lo ha compiuto da tempo.

    Alla replica di Giuseppe Bailone




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