di Miguel Martinez "Sentire le parole 'Questo è il mio corpo' e sapere che quel pane è fatto con gene transgenico, prodotto con tecnologia Terminator suicida, coltivato con pesticidi mortiferi, sarebbe senz'altro segno dell'umiltà di Gesù che si piega anche a questo per starci vicino, ma anche del nostro radicale tradimento della sua presenza di amore nel mondo". (Don Marco Belleri, p. 88).
Questo articolo prende spunto da un libro di Don Marco Belleri, parroco di Seggiano in provincia di Grosseto. Un piccolo testo, pubblicato da una piccola casa editrice, che parla di "Biotecnologie animali e vegetali: Tradimento del disegno di Dio". Il testo fu scritto in origine come una lettera alla Congregazione per la Dottrina della Fede e alla Pontificia Accademia per la Vita, in occasione del seminario su "Ogm: minaccia o speranza", organizzato dal Pontificio Consiglio per la Giustizia e la Pace (11-12 novembre 2003). Poiché la maggior parte dei lettori di questo articolo probabilmente non legge libri scritti da parroci, mi permetto di introdurre l'argomento con una premessa. La questione degli organismi geneticamente modificati o OGM è di estrema importanza per il nostro futuro: sicuramente più di quella del "terrorismo islamico", ad esempio, che finora, ricordiamo, non ha fatto una sola vittima in Italia. Per quanto riguarda i potenziali pericoli biologici, credo che bisogna diffidare tanto della pubblicità delle multinazionali interessate, quanto della retorica spesso poco informata, allarmistica e confusionaria di tanti ecologisti. So che non è una risposta, ma se ovviamente non la posso dare io, non credo che la possano dare nemmeno gli altri. Don Marco presenta molte informazioni utili sul piano tecnico; ma soprattutto ci aiuta a capire come il problema non sia tanto la risposta che dà l'esperto, ma la domanda che gli si pone. Cita l'esempio della rivoluzione agroindustriale degli anni Settanta (sloganizzata come "Rivoluzione Verde"), che ha veramente aumentato quello che si vende. Ma "una foresta tropicale produce tantissimo: conserva e drena l'acqua, equilibra i delicati cicli della natura, fornisce cibo, combustibile, foraggio, fertilizzante, fibre e medicamenti necessari alla vita di una comunità rurale. Ma per i tecnici occidentali vale e produce poco, perché viene considerata produzione solo quella che si può mettere sul Mercato. Per loro è produttiva una monocultura di eucalipti, di pini, o anche una foresta finché contiene sufficiente legname pregiato da vendere" (p. 37). Il vero scontro Sul piano sociale, politico e simbolico invece, il discorso è chiaro. Il cibo stesso - fondamento della vita per cristiani, musulmani e atei, per destri e sinistri - sta diventando la proprietà privata di un numero ristretto di miliardari protetti dalla più grande potenza militare di tutti i tempi, gli Stati Uniti. I marxisti del Novecento credevano che la violenza del capitalismo contenesse in sé il germe del proprio superamento, che da qualche parte stesse nascendo una classe in grado di trasformare il progresso materiale in progresso sociale per tutti. Non era un'ipotesi sciocca; ma era certamente errata. Per ora abbiamo solo la violenza del capitale da una parte; e dall'altra, le molte, confuse, spesso disperate resistenze che quella violenza genera. Resistenze che possiamo disprezzare, oppure che possiamo cercare di riunire, operando con grande delicatezza e rispetto. Lo scontro oggi non è tra Polo e Ulivo, tra Islam e Occidente, tra credenti e laici, tra autoctoni e immigrati. Chi sostiene che questi siano i conflitti prioritari fa solo il gioco del dominio. Lo scontro vero, profondo, nasce dalla posizione concreta che ciascuno di noi, qualunque siano i nostri riferimenti culturali, prende di fronte alla violenza capitalista. Siamo con i saccheggiatori, o siamo con la resistenza?
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