Invito ad una discussione radicale sul marxismo

VII e ultima parte
 



Per agevolare la lettura, questo articolo di Costanzo Preve è stato diviso in sette parti.

Alla prima parte




7. Conclusioni provvisorie. Note sul rapporto fra marxismo, scienza, filosofia ed ideologia

Con le note precedenti il discorso è appena cominciato, ma lo spazio è tiranno, e bisogna avviarsi alla chiusura. Ci sarà tempo e modo in altra sede di approfondire e completare il discorso. Per chiudere qui desidero toccare un punto di grande importanza teorica ed esprimere un mio meditato convincimento personale. A mio avviso il marxismo è un inestricabile intreccio di filosofia e di scienza, e questo porta ad almeno due conseguenze. Primo, la filosofia nel marxismo non può essere ridotta ad epistemologia e/o ad ideologia, ma il suo statuto è molto più fondante, strutturale, decisivo e fondamentale. Secondo, è insensato credere che lo statuto scientifico del marxismo sia analogo e/o omologo a quello delle scienze naturali moderne nate con la cosiddetta rivoluzione scientifica del Seicento. Non è così. Nella storia del marxismo ci sono state tre ondate storiche successive di questa illusione positivistica. La prima è stata quella di Engels, che intendeva legare le sorti del marxismo a quelle delle scienze della natura, credendo così di garantirne meglio la credibilità, ed ha creduto di poterlo fare suggerendo una (a mio avviso inesistente) omogeneità ontologica, fra la dialettica della natura e la dialettica sociale. La seconda è stata quella di Stalin e del suo materialismo dialettico imposto come filosofia obbligatoria di stato a partire dal 1931, in cui però la pretesa scientifica copriva con falsa coscienza ideologica socialmente necessaria il suo esatto contrario, e cioè l'arbitrio soggettivistico della sua costruzione del socialismo. La terza ed ultima è stata quella di valorosi e stimabili studiosi marxisti occidentali indipendenti (da Galvano Della Volpe a Louis Althusser a Ludovico Geymonat), che però a mio avviso hanno imboccato una strada assolutamente sterile, fuorviante e sbagliata.

Il discorso sarebbe lungo, ma cercherò qui di compendiarlo in modo chiaro ricordando solo il punto essenziale. Nel lontano 1794 il grande filosofo Fichte, vero e proprio fondatore della filosofia della prassi (la realtà è data dalla prassi di trasformazione dell'Io verso il Non-Io, cioè dell'umanità pensata come soggetto attivo verso il mondo della natura e della storia precedente), stabilì metodologicamente la differenza di principio fra logica formale e quella che propose di chiamare dottrina della scienza. Nel primo caso la logica, come scienza dell'uso corretto delle categorie del pensiero, si basa sulla separazione metodologica fra forma e contenuto, e soprattutto fra osservatore e osservato. E' così infatti che funzionano scienze come l'astronomia, la fisica, la chimica, la biologia e la stessa scienza sociale alla Max Weber quando l'osservatore non deve trasformare quello che osserva (questo semmai dà luogo alla separazione fra scienza e tecnica, contesto della scoperta e contesto dell'applicazione, ecc.), ma semplicemente scoprirne la struttura oggettiva interna. Nel secondo caso, invece (non la logica formale, ma la dottrina della scienza) vi è un rapporto organico fra un soggetto che progetta, agisce e modifica ed un oggetto sociale che ne viene agito e modificato. Quando Marx nel 1845 scrisse che i filosofi avevano fino ad allora soltanto interpretato il mondo, e si trattava ora di trasformarlo, egli non lasciava dubbio alcuno di voler riprendere, in una nuova intenzionalità anticapitalistica e comunista, il programma filosofico proposto da Fichte nel 1794 di una dottrina filosofica della scienza, e non certamente di una scienza della natura galileiano-newtoniana. Antonio Gramsci chiamò tutto questo correttamente filosofia della prassi. György Lukács chiamò tutto questo correttamente ontologia dell'essere sociale.

Il marxismo, correttamente inteso, non è dunque né un materialismo dialettico, né uno storicismo. Il marxismo non è un umanesimo metodologico ed epistemologico, perché rifiuta il fondamento soggettivistico di un soggetto collettivo della storia (l'Uomo, l'Umanità), ma è invece pienamente un umanesimo filosofico, perché si basa su un'idea di libera individualità da liberare (libertà = liberazione). Althusser e gli althusseriani non capiscono nulla su questo punto, perché facendo un'equazione indebita fra filosofia ed epistemologia (cioè fra il tutto e la sua parte) confondono l'antiumanesimo epistemologico (che Marx ebbe veramente) con l'antiumanesimo filosofico (che Marx invece non ebbe per niente).

Il lettore può vedere che abbiamo messo molta carne al fuoco per la discussione. Per discutere bisogna però essere in molti, o comunque almeno in due. Il fondatore della filosofia, l'ateniese Socrate, concepì la filosofia come attività dialogica, o ancor meglio come dialogo veritativo (e dunque non come educato dialogo relativistico e nichilistico, come i post-moderni attuali, da Rorty a Vattimo). Bisogna che i marxisti riprendano a discutere. Mi si permetta però di concludere con un educato scetticismo su questo punto. Decenni di cieco attivismo militante e di disprezzo per la teoria non si cancellano facilmente.

Alla prima parte




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