Il maoismo

III parte
 



Per agevolare la lettura, questo articolo di Costanzo Preve, apparso per la prima volta sulla rivista Praxis è stato diviso in nove parti.

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6. A questo punto, sulla base del contenuto e dei riferimenti bibliografici del paragrafo precedente (che consiglio al lettore paziente e non frettoloso) si può cominciare a capire perché il marxismo classico, prima secondinternazionalista e poi staliniano e post-staliniano, ha sempre rifiutato, censurato e silenziato non solo il modo di produzione asiatico, ma anche e soprattutto l'evoluzione multilineare e non unilineare dello sviluppo storico mondiale. Questo rifiuto può essere visto molto bene soprattutto nel pensiero comunista, per un insieme di ragioni che qui riassumerò brevemente in due punti.

In primo luogo, il riconoscimento del carattere parziale del modello di sviluppo occidentale (schiavismo - feudalesimo - capitalismo) avrebbe portato a delegittimare la sua pretesa di unicità esemplare, e di conseguenza a deleggittimare la pretesa di unicità esemplare anche del suo modello opposto di contestazione, il modello prima socialdemocratico alla Kautsky e poi comunista alla Stalin. Si presti molta attenzione a questo punto teorico assolutamente decisivo. Il modello di contestazione è sempre strutturato a partire dal modello che si contesta, e non funziona più, o funziona male, se il modello di riferimento polemico viene mutato. Ogni "universalismo" anticapitalistico di tipo prima socialista e poi comunista viene così contestato alla radice. Su questo punto assolutamente decisivo la continuità teorica sotterranea fra Prima, Seconda, Terza e Quarta Internazionale è purtroppo ferrea, ed il recente modello di "omogeneizzazione" di Toni Negri (Impero contro Moltitudini Desideranti) ne rappresenta solo una congiunturale grottesca versione alla moda.

In secondo luogo, il modo di produzione asiatico è un inquietante modello di società in cui in assenza di una proprietà privata giuridicamente garantita e trasmissibile per eredità (diritto romano, eccetera), e pertanto in presenza di un apparente "collettivismo", si ha in realtà non solo un palese dispotismo statuale ma anche la permanenza di classi sociali contrapposte di sfruttatori e di sfruttati. Gli sfruttatori, però, non sfruttano sulla base di una proprietà privata giuridicamente garantita e trasmissibile ereditariamente di mezzi di produzione, ma sulla base di un potere di tipo religioso e militare che si manifesta in modo variamente "tributario", sia come tributi in beni materiali sia come tributi in lavoro collettivo prestato dalle comunità.

7. Il grande marxista tedesco Rudolph Bahro, a suo tempo incarcerato nella Repubblica Democratica Tedesca di cui era cittadino per ragioni esclusivamente di opinioni, ha scritto un libro interessantissimo che utilizza la categoria di modo di produzione asiatico per interpretare la dinamica delle società del comunismo storico novecentesco. Purtroppo il libro è stato pubblicato in italiano scorciato del suo capitolo più importante in una collana ispirata al semplice "antitotalitarismo" (cfr. Per un comunismo democratico, SugarCo, Milano 1978). La collana, battezzata "1984", era diretta da Paolo Flores d'Arcais. Lo ripeto, la parte più significativa del libro, quella sulla possibile alternativa comunista, non è tradotta, ed ho dovuto a suo tempo andarmela a leggere in tedesco, perché i futuri "girotondini", nemici della manipolazione berlusconiana, decisero di pubblicare un vero classico del XX secolo tagliandone la parte che non gli interessava. Loro volevano solo l'ennesima critica al totalitarismo, non certo una riproposizione libertaria del comunismo (giusta o sbagliata che fosse).

Herbert Marcuse, pur respingendo alcune tesi "pedagogiche" di Bahro, ne definisce l'opera "il più importante contributo alla teoria ed alla pratica marxiste degli ultimi decenni" (cfr. Protosocialismo e capitalismo avanzato, in "Les temps modernes", n. 394, maggio 1979, p. 1706). È questa l'opera che Flores d'Arcais fa tradurre tagliandone a suo piacimento la parte essenziale, quella appunto che Marcuse discute. Ma qui non voglio riprendere le tesi di Bahro, che mi riprometto di discutere analiticamente in altra sede. Voglio solo fare notare ancora una volta che la discussione sul modo di produzione asiatico può essere lo spunto per una ridiscussione sull'insieme dei problemi del marxismo e del comunismo.

8. E possiamo tornare ora a Mao. Ma possiamo tornarci con una consapevolezza molto maggiore, perché ormai sappiamo che senza parlare anche della Cina e del modo di produzione asiatico tutto resta per aria in un mondo in cui gruppetti identitari di tipo staliniano, togliattiano, trotzkista e maoista litigano fra di loro sulla base di citazioni, e così si fanno il fegato grosso ed il sangue cattivo anziché abbandonarsi ad una liberatoria discussione sul gioco del calcio e sull'insopportabile difensivismo di Giovanni Trapattoni. Se invece prendiamo in considerazione la storia della Cina ed il modo di produzione asiatico molte incomprensibili "cineserie" diventeranno se non proprio chiare almeno leggermente più plausibili.

9. E vediamo brevemente ed in modo un po' disordinato alcune "cineserie" di Mao e dei suoi seguaci che diventano più comprensibili, al di là ed oltre lo scambio di lettere sulle note "divergenze fra il compagno Togliatti e noi", che ho recentemente riletto prima di scrivere questo contributo in una edizione cinese in lingua italiana.

In primo luogo, tutti sanno che Mao ha fatto la Lunga Marcia del Sud al Nord della Cina, e che ha portato a termine con successo una rivoluzione socialista sulla base della mobilitazione strategica e di massa dei contadini poveri e medi, mentre la classe operaia è stata solo "liberata" in città ed è stata poi moltoplicata dall'industrializzazione pianificata dello stato socialista dopo il 1949. Questa grande scoperta, analoga a quella dell'acqua calda e della rotondità della terra, è sempre ripetuta dai sinologi di sinistra italiani con ieratica sapienzialità. Certo, essa è importante anche per capire che cosa fanno oggi i "maoisti" dal Perù al Nepal (guarda caso i due paesi con precedenti e residui di modo di produzione asiatico). Ma sarebbe molto meglio per il marxista italiano sapere che cosa sono stati i Turbanti Gialli ed i Sopraccigli Rossi, i Taiping e la grande insurrezione che portò alla cacciata dei mongoli Yuan ed alla vittoria della dinastia contadina Ming. In questa lunga durata della storia contadina cinese ci stanno molte più cose che nella pur importante Questione Agraria di Kautsky.

In secondo luogo, mentre non serve assolutamente a nulla la divisione filosofica dei marxisti occidentali fra materialisti ed idealisti, sarebbe molto più utile conoscere la dinamica radicalmente diversa del pensiero filosofico cinese, soprattutto del triangolo costituito da confuciani, taoisti e legisti. Si possono prendere i documenti della nota campagna di massa condotta nei primi anni Settanta contro Confucio (abbinato ideologicamente a Lin Piao, cfr. "Vento dell'Est", nn. 35-36, dicembre 1974). Confucio in Cina ha significato legittimazione familiare e delegittimazione statale. Personalmente, non amo la soffocante riduzione della filosofia ad ideologia che regna in questa riproposizione due millenni dopo del conflitto fra confuciani e legisti, in cui i maoisti appoggiano retroattivamente i secondi. Ma qui voglio solo far notare che con gli schemini staliniani di storia della filosofia non si può capire un bel nulla.

In terzo luogo, la lunga storia della Cina ci mostra che la Cina ha sempre "respirato" con due polmoni, i contadini ed i mercanti, con la classe contadina in posizione decisiva. Nei parametri del linguaggio politico occidentale, la "sinistra" ha prevalso in Cina fra il 1956 ed il 1976 (l'ultimo ventennio della vita di Mao, quello della formazione del vero e proprio "maoismo" con pretese universalistiche), e la "destra" ha prevalso dopo il 1976, da Hua Kuo Feng fino a Deng Hsiao Ping e gli attuali dirigenti. Personalmente, ho forti dubbi sul fatto che questa dicotomia occidentale, già poco utile da noi, ci dica qualcosa sulla Cina. La Cina fino ad oggi ha avuto un ritmo di respiro storico di tipo ciclico, non lineare-progressivo. Potrebbe darsi che le cose oggi siano cambiate, ma potrebbe anche darsi di no.

In quarto luogo, oggi la parola Cina, che per molti significa solo restaurazione selvaggia di un capitalismo di cattivo gusto, significa per chi vuole osservare meglio soprattutto difesa dell'indipendenza nazionale. Nell'epoca di Bush, a mio avviso, è la prima cosa da chiedere a tutti, ed è esattamente quello che i ceti politici italiani ed europei, Poloulivo ed Ulivopolo, non fanno assolutamente. Gli attuali dirigenti cinesi, che a mio avviso non possono in nessun modo essere definiti "maoisti", almeno sulla questione della indipendenza nazionale stanno ancora nella linea di Mao. Ma che questo non basti per essere definiti "maoisti" lo vedremo a partire dal prossimo paragrafo.

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