Ludovico Geymonat


III parte
 



Per agevolare la lettura, questo articolo di Costanzo Preve, apparso per la prima volta sulla rivista Praxis è stato diviso in quattro parti.

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14. La proposta complessiva di Louis Althusser è stata a mio avviso più feconda di quella di Della Volpe, e la storia delle idee ne ha dato atto. Non mi riferisco certo alla critica althusseriana della dialettica, che è mille volte più rozza e meno sofisticata di quella di Della Volpe, e che ricorre continuamente ad impropri argomenti ideologici non sapendo scendere in profondità negli argomenti filosofici, su cui troppo spesso Althusser si muoveva come un dilettante, sia pure geniale. Mi riferisco al fatto che Althusser, criticando la coppia formata dallo storicismo e dall'economicismo, riesce veramente a compiere un'operazione baconiana di distruzione di idoli teorici pregressi. Lo storicismo è infatti una grande narrazione illusoria, mentre l'economicismo è una grande rappresentazione riduzionistica della società. Fusi insieme, lo storicismo e l'economicismo non costituiscono affatto una semplice deviazione o un mero fraintendimento del marxismo, ma il suo esatto opposto, la trasformazione compiuta del marxismo in ideologia e falsa coscienza di masse subalterne in preda al vortice nicciano del nichilismo e della morte di Dio. Qui la superiorità di Althusser su Della Volpe è palese, e nessun patriottismo italiano alla Ciampi potrà purtroppo smentirlo.

15. La proposta complessiva del Nostro presentava alcune caratteristiche di solidità e di equilibrio che lo caratterizzavano sia in rapporto al dellavolpismo italiano sia in rapporto all'althusserismo francese. L'elemento più interessante, su cui voglio richiamare subito l'attenzione del lettore, stava nel contrasto fra un forte tradizionalismo formale, che si richiamava ad Engels ed a Lenin senza nessuna obiezione di fondo, e la capacità concreta di innovazione e di vivacità nel suo confronto con l'epistemologia contemporanea in tutte le sue versioni ed in tutte le sue correnti. E' evidente che, in rapporto alla teoria di Engels sulla sostanziale unità ontologica delle leggi di sviluppo della natura e della storia, il Nostro fosse assolutamente consapevole del pericolo di omogeneizzazione che questa tesi comportava. Tuttavia, egli non la smentì mai esplicitamente, limitandosi ai soliti discorsi sulla "specificità", sulla "determinatezza", eccetera. A mio avviso, si trattava di mezze misure che non toccavano il centro del problema, che a mio avviso sta nella erroneità strutturale della posizione di Engels. Ma il Nostro non voleva in alcun modo giungere a queste conclusioni, perché ci vedeva una caduta in quel "marxismo occidentale" che egli rifiutava come una forma di idealismo mascherato, e per questo più avanti mi permetterò di segnalare l'erroneità del dualismo idealismo/materialismo per orientarsi nelle posizioni filosofiche. Nello stesso modo, il Nostro era lontanissimo nella sua concreta prassi di filosofo e di storico della filosofia, dalla riduzione della filosofia ad ideologia, o più esattamente della pratica filosofica a pratica ideologica, ma poi non prese mai le distanze da quel Lenin filosofo che poi concretamente attuava questa riduzione.

16. In definitiva il Nostro viveva dentro una contraddizione in cui sono vissute le grandi menti del marxismo della seconda metà del Novecento. Da un lato, l'irresistibile impulso alla creatività del pensiero. Dall'altro, una sorta di autocensura liberamente accettata, in nome dei limiti teorici invisibili in cui era vissuta l'identità socialista e l'appartenenza comunista. E' questa la contraddizione, seria e terribile come sono sempre tutte le contraddizioni, in cui sono vissuti questi grandi spiriti del recente passato e che bisogna riuscire a comunicare ai giovani, che vivono e vivranno altre contraddizioni, e non più queste.

17. In conclusione di questo scritto, vorrei fare al Nostro maestro scomparso il più grande onore che si può fare ad un filosofo, che consiste socraticamente nel discutere liberamente con lui e nello sviluppare alcune obiezioni alle sue tesi. E' in fondo ciò che hanno fatto Aristotele con Platone, ed è l'inevitabile modello di ogni dialogo filosofico serio. In proposito, mi limiterò a sollevare tre ordini di obiezioni al pensiero del Nostro, la prima sul tema del materialismo, la seconda sul tema della scienza, la terza sul tema della verità.

18. In primo luogo, a proposito del tema del materialismo, io ritengo che il materialismo sia una filosofia complessiva che può essere legittimamente sostenuta e professata, ma che non debba assolutamente essere una filosofia che connota l'identità specifica del marxismo teorico e del comunismo politico. Penso che sia necessario un superamento integrale e senza equivoci della dicotomia materialismo/idealismo, e che una filosofia adatta al progetto comunista sia per sua natura una filosofia "mista" che comprenda entrambi questi elementi. In proposito è necessario che questo dualismo inutile e dannoso venga superato senza equivoci e senza timidezze.

So perfettamente che questa tesi suona fastidiosa e sgradevole alla stragrande maggioranza di quanto resta dell'ormai piccola comunità dei filosofi di orientamento marxista. Lascio da parte quella sorta di idiozia sociologica, che si è riprodotta con pigrizia e settarismo per un secolo, per cui il proletariato sarebbe connotato da una ideologia spontanea materialista, essendo legato alla fatica ed alla materialità della produzione, mentre la piccola borghesia, luogo elettivo della metafisica e dello sbandamento religioso ed irrazionalistico, sarebbe invece portata spontaneamente a varie forme di idealismo. Questa idiozia a base sociologica, già sostanzialmente falsa un secolo fa, è oggi del tutto assurda date le nuove strutture sociologiche di classe del recentissimo capitalismo. Ritengo invece, per essere più seri, che la resistenza a lasciar andare l'etichetta di materialismo stia nel fatto intuitivo ed immediato che i marxisti considerano correttamente primaria la produzione materiale e strutturale, e persino la cosiddetta produzione immateriale viene assimilata ad una sorta di materia leggera. Ma qui si ha con tutta evidenza uno slittamento teorico indebito, perché il concetto di struttura sociale primaria di un modo di produzione, messo a fondamento topologico di ciò che è spesso definito "sovrastrutturale", viene indebitamente duplicato con la nozione filosofica di materia intesa come unico sostrato monistico del mondo, in base all'esigenza ideologica di chiarire che non si accetta nessuna trascendenza e nessun raddoppiamento religioso. La materia è così identificata con la struttura sociale (cioè con la dialettica fra sviluppo delle forze produttive e dinamica classista dei rapporti di produzione), e l'idea è invece identificata con la sovrastruttura, cioè con le istituzioni ed il sistema delle ideologie. Si tratta di un raddoppiamento indebito, che si presterebbe a decine di obiezioni, di cui in questa sede mi limiterò ad accennarne tre.

Primo, come ha recentemente dimostrato in un recente studio marxista la studiosa greca Maria Antonopoulou, la nozione filosofica di materia emerge nella sua compiuta astrattezza soltanto nel Settecento, in coincidenza con l'affermazione e la diffusione della forma di merce, anzi della forma capitalistica di merce. Ora, questo può essere casuale, oppure no. Io ritengo che non sia affatto casuale, in quanto la nozione astratta e generale di materia ha bisogno di uno spazio teorico pienamente omogeneo che corrisponde proprio al fatto che lo spazio capitalistico dello scambio delle merci deve essere anch'esso astratto ed omogeneo. A lavoro astratto, materia astratta. Se questa ipotesi della Antonopoulou, argomentata con una serie molto convincente di citazioni dello stesso Marx, fosse plausibile, come io credo fermamente, si giungerebbe al paradosso per cui i marxisti hanno difeso per più di un secolo una nozione che è invece del tutto omologa e corrispondente alla cosa più capitalistica che esiste, la forma di merce.

Secondo, io personalmente non conosco alcuna nozione filosofica di materia realmente credibile. Se esiste, ciò è a mia insaputa. Certo, ho letto molte definizioni storiche di questa nozione in opere ed in dizionari filosofici, ma se si presta bene attenzione si scoprirà che si tratta sempre e soltanto o di polemiche ideologiche contro la religione, oppure di trascrizioni di definizioni scientifiche di materia fisiologicamente sorte sul terreno dell'astronomia, dell fisica, dell'astrofisica, della chimica, della biologia e della genetica. Queste definizioni scientifiche di materia, spesso diverse l'una dall'altra come è normale che sia, sono tratte esclusivamente dalla pratica scientifica specifica, ed ogni raddoppiamento filosofico in termini di sostrato unico materiale non aggiunge e non toglie nulla, se non una dichiarazione ideologica di principio. Leggere per credere.

Terzo, infine, il materialismo non è mai stato storicamente una filosofia della rivoluzione almeno fino al Settecento, ed è ovviamente possibile dimostrare agevolmente che lo stesso marxismo non sarebbe neppure nato senza l'idealismo di Fichte e di Hegel. Lo stesso Marx non ha affatto "rovesciato" la dialettica hegeliana, ma l'ha semplicemente applicata ad un oggetto scientifico (non filosofico) del tutto nuovo, cioè i modi di produzione sociali. Ma questa non è una dialettica di materie, quanto di strutture e di rapporti di produzione. Nell'antichità, il materialismo di Epicuro e di Lucrezio non fu ovviamente una filosofia della rivoluzione dei rapporti sociali schiavistici, e questa funzione fu invece esercitata da una variante di tipo cosmopolitico e messianico dello stoicismo. Nei tempi moderni, forme di materialismo come quella di Giacomo Leopardi sono state una filosofia della corporeità, della fragilità e della solidarietà, ed in questa forma hanno affascinato marxisti di valore come Cesare Luporini e Sebastiano Timpanaro. E' bene meditare su tutto questo, per non portarci dietro una zavorra positivistica assolutamente inutile.



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