Se il senso comune diventa legge
 



Questo articolo di Giuseppe D'Avanzo, uscito su Repubblica del 2.02.05, commenta la sentenza del giudice Clementina Forleo che ha respinto l'utilizzo di anonime veline dei servizi segreti americani come prova contro alcuni musulmani residenti in Italia, e ha distinto tra "terrorismo" e il diritto a prendere parte in conflitti in cui l'Italia, ufficialmente, non è coinvolta.

La sentenza è stata scippata da un giudice di Brescia, Roberto Spanò, che - come dimostra, in un cautissimo linguaggio, questo articolo - si basa sostanzialmente su due punti:

  • Terrorista è chiunque gli Stati Uniti dichiarino tali

  • Terrorista è chiunque il "comune modo di sentire della comunità politica" ritenga sia tale

    Si consiglia di dare un'occhiata anche all'articolo Vuoi diventare terrorista anche tu?

    E per assaporare la qualità di certe dritte di intelligence, vere o presunte, su cui si rischia di mandare le persone in carcere per moltissimi anni, potete dare un'occhiata anche all'articoloIl traduttore più famoso del mondo.




    C'era da attendersi che, all'ordinanza che ha mandato liberi tre islamici accusati di essere terroristi a Milano, si opponesse un'altra di segno opposto o correttivo. È arrivata da Brescia, con inconsueta rapidità. Come per la decisione del giudice milanese Clementina Forleo, più che esultare o maledire - tentazione a cui pericolosamente cede qualche ministro - conviene innanzitutto capire. Difficile capire, in verità, perché il giudice di Brescia, Roberto Spanò, non parli a testa fredda e deprechi, apostrofi, ammonisca, strepiti con incomprensibile ardore contro la toga milanese.

    Più agevole comprendere che egli risponde, nella sua ordinanza, a tre domande. Quali sono le prove accettabili e legittime in un processo per terrorismo internazionale? Come si può decidere o giudicare la finalità - guerriglia o terrorismo - di un'organizzazione islamica? Qual è il criterio con cui interpretare le norme della legge? Nelle risposte affiora qualche conclusione sorprendente di cui bisognerà tener conto.

    L'utilizzabilità delle prove raccolte dal pubblico ministero è stato uno dei capitoli più limpidi dell'ordinanza di Milano. Il giudice Clementina Forleo si è trovata sul tavolo ogni sorta di frammento investigativo e dispaccio d'intelligence. Il lavoro all'ingrosso del pubblico ministero Stefano Dambruoso, escludendo vincoli, forme, termini, aveva accumulato "acquisizioni informative" o "investigative" di natura ignota o non specificata; notizie raccolte, come si dice, in "contesti di collaborazione internazionale" o provenienti da "segnalazioni di organismi americani" o da "dati forniti dal BKA tedesco".

    Insomma, tutto il catalogo dei servizi segreti del mondo occidentale - buono al più per un'azione amministrativa (l'espulsione) - era stato trasferito, senza alcun riscontro o atto istruttorio, nel processo come se dinanzi al giudice potesse valere quel che vale dinanzi al prefetto o per il ministro dell'Interno. Così sono state presentate come "fonti di prova" interrogatori di "ex-combattenti ristretti in Iraq", ascoltati come testimoni e non come imputati, e cronache dai giornali e addirittura materiale raccolto in internet. Il giudice di Milano ha dichiarato questi atti "affetti da inutilizzabilità patologica" (nascono male, troppo manipolabili) e processuale (raccolti senza alcuna garanzia). Se si riduce a esorcismo, il processo genera quanti colpevoli servono perché, con fonti di prova così fluide, si può combinare la verità storica come si vuole. La mossa milanese di annichilire quelle carte non appare avventata.

    E' il primo punto di attrito con l'esito bresciano. Qui ogni lacerto investigativo, quale che sia la sua genesi e il suo dna, si trasforma in fonte di prova. Non si butta via niente, si può dire. Quasi stizzito, il giudice di Brescia scrive: "(A Milano) si dichiarano inutilizzabili i dati provenienti dalle cosiddette "fonti aperte" (articoli di giornale, estratti da internet?) ma poi non si spiega di quali apporti conoscitivi il giudicante si sia avvalso". Conviene allora vedere quali siano gli "apporti conoscitivi" del giudice bresciano.

    Deve decidere di Ansar Al Islam. E' un'organizzazione terroristica? E' in contatto, strutturalmente o episodicamente, con Al Qaeda? Spanò butta lì una risposta, implacabile come un luogo comune. Scrive: "Non può ignorarsi al proposito che l'organizzazione Ansar al Islam, cui gli imputati sono riconducibili, è stata inserita dal governo degli Stati Uniti tra le organizzazioni terroristiche che intrattengono rapporti con la temibile Al Qaeda". Tutto qui, dunque, l'"apporto conoscitivo": lo dicono gli americani. Hanno fatto anche una lista, e tanto basta. Gli Stati Uniti, colpiti alle spalle l'11 settembre, hanno modificato il loro occhio sul mondo secondo una prospettiva amico/nemico, molto poco giuridica, che apre la porta a comportamenti e decisioni essenzialmente fondati sul sospetto e sul pregiudizio. Di sospetto e pregiudizio è impastata evidentemente anche quella lista che però, con pragmatica intelligenza, è maneggiata con esiti a contenuto variabile. Spanò sembra ignorarlo. Un esempio.

    L'MKO, Mujahedin-e Khalq Organization, l'Esercito di liberazione nazionale dell'Iran, è nella lista Usa delle formazioni del terrore, ma poi dà una mano in Iraq e due mani lungo i confini e nelle città iraniane. Allora si chiude un occhio. Negli Stati Uniti e in Europa. In Italia, per dire, l'MKO ha sedi regolari e militanti noti. A volte si possono chiudere anche due occhi. E' il caso più recente. A quanto sostengono fonti informate, il governo Berlusconi si è impegnato con Washington a "prendere in carico", alla fine delle operazioni irachene, duemila uomini dell'MKO "esfiltrandoli" dal terreno, dove hanno combattuto con le forze della coalizione. Tutti terroristi? Pare di no. Oggi quelli dell'MKO sono "combattenti per la libertà".

    Sono i chiaroscuri della politica internazionale. Le ambiguità ripropongono il ragionevole interrogativo - guerriglia o terrorismo? - che il giudice milanese ha cercato di affrontare interpretando i fatti del processo e la legge 270 bis (associazione terroristica internazionale) alla luce della Convenzione dell'Onu sul Terrorismo. Decisione che si può discutere, come ogni decisione (il vantaggio, nel processo, è nell'impugnazione delle conclusioni).

    Vediamo ora qual è il criterio interpretativo del giudice di Brescia. "Le leggi - scrive Spanò - sono espressione del comune modo di sentire di una collettività radicata in un determinato contesto storico e geografico".

    Dunque "il comune sentire di una collettività". La formula deve essere apparsa alquanto vaga al giudice che la definisce meglio più avanti: "alla luce del comune modo di sentire della comunità politica (o delle comunità politiche) che ha prodotto l'articolo 270 bis C. P. (o altre norme equivalenti) deve ritenersi che azioni violente condotte, anche con il ricorso a "kamikaze", da portatori di ideologie estremiste islamiche nei confronti di unità militari attualmente impiegate in Asia (tra cui un contingente italiano) non possono qualificarsi come atti di legittima e giustificata "guerriglia", ma vanno senz'altro definiti ad ogni effetto come atti di "terrorismo"".

    Terrorismo e non guerriglia, allora, perché è questa la volontà definitoria della "comunità politica", la sola a poter dettare (per Spanò) il criterio interpretativo della legge. Va da sé che, con una comunità politica spaccata in due come una mela sui temi della guerra, la comunità che conta, per il giudice di Brescia, deve essere quella governativa. L'interpretazione della legge si degrada così a "volontà della legge". L'atto normativo acquista pensieri, desideri, sentimenti. Volontà, appunto. La volontà del legislatore di quella stagione. La volontà della maggioranza politica di quegli anni. Se poi cambia la maggioranza (la "comunità politica"), viene da chiedersi, deve cambiare anche l'interpretazione della legge?

    Era negli auspici di una grottesca proposta di legge l'abrogazione per "editto del principe" dell'attività interpretativa del giudice. Il malaccorto che in Senato la propose la lasciò cadere, travolto dalle critiche. Ora c'è un giudice a Brescia. Respira l'aria dell'ambiente e sembra patirla in modo molto preoccupante. Se le conclusioni del giudice milanese Clementina Forleo (guerriglia o terrorismo?) meritano una discussione, l'argomento del giudice bresciano (come interpretare la legge?) invoca una attenzione ancora più viva. Si intravede, allo stato nascente, un canone sgrammaticato e impuro: è la volontà della maggioranza del momento a decidere l'interpretazione della legge.


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