Note critiche sul bordighismo

Contributi per una discussione da proseguire

VI parte
 



Per agevolare la lettura, questo articolo di Costanzo Preve, apparso per la prima volta sulla rivista Praxis è stato diviso in nove parti.

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Alla prima parte




16. Per quanto possa aver scioccato il lettore, so purtroppo di non averlo ancora scioccato abbastanza. Devo allora purtroppo aprire ancora una parentesi sul tema dell'individualismo. Si usa ripetere con tetragona pigrizia che purtroppo Marx è stato troppo egualitario e collettivista, e che allora bisognerebbe un pochino piegarlo in senso maggiormente individualista, particolarmente in questa epoca post-moderna di individui flessibili, nomadi e sradicati. E se invece, guarda caso, non fosse il contrario, ed il marxismo non avesse fino ad oggi peccato per eccessivo individualismo?

Questa tesi sembra a prima vista paradossale e stralunata. Non è affatto vero. Io per esempio la condivido nei suoi elementi di fondo. Nel dibattito filosofico francese essa è stata sostenuta da Pierre Rosanvallon e da Louis Dumont. Il fondamentale libro di Rosanvallon sul capitalismo utopico non è mai stato tradotto in italiano (a mia conoscenza), ma quello di Dumont sì (cfr. Homo aequalis, Adelphi, Milano 1984, traduzione di Guido Viale). Dumont sostiene che Marx è sostanzialmente stato, sul piano filosofico, una sorta di individualista etico, che soleva sostanzialmente salvare l'individuo dal capitalismo, che lo stava distruggendo con il potere anonimo e spersonalizzante del capitale. La classe operaia e proletaria, ed il conseguente genere umano di cui la classe anticipava l'elemento universalistico, sarebbero stati solo il mezzo per la liberazione, non certo il fine, che era puramente individualistico. Le premesse antropologiche di Marx non si sarebbero dunque dovute cercare in Hegel, che era un sostenitore del carattere etico autonomo dei "corpi intermedi" (famiglia, corporazione professionale, eccetera), ma in Adam Smith, che invece assume l'individuo isolato come attore unico nel teatro economico della mano invisibile del mercato. Ed allora Marx avrebbe solo "rovesciato" Smith, non Hegel, rovesciando l'individuo proprietario in individuo comunista, ma comunque "saltando" ogni aggregazione intermedia.

Si tratta di una tesi da discutere e da verificare bene. Ma non è affatto una tesi idiota. Anzi, è una tesi intelligentissima ed inquietante. Mi rendo conto che quando uscirono nel silenzio assordante dell'incomprensione dei commentatori i libri di Rosanvallon e di Dumont questa tesi poteva ancora sembrare troppo paradossale per essere capita. Ma oggi, dopo la dissoluzione delle società del comunismo storico novecentesco dopo il 1989, e la diffusione di un individualismo di massa sradicato quasi grottesco nel suo estremismo dissolutorio, sarebbe sciocco non farci un pensierino.

Questo pensierino, però, non può farlo il bordighismo. Il bordighismo non sospetta neppure che in Marx vi sia un segreto antropologico eccessivamente individualistico, e che sotterraneamente Smith abbia lavorato più in profondità di Hegel, fino a configurare un "rovesciamento" non della filosofia del diritto hegeliana ma dell'individualismo proprietario smithiano. Bobbio e Bordiga sono in questo d'accordo nel pensare che Marx sia un teorico esclusivo dell'Eguaglianza contro la Libertà e del Collettivismo contro l'Individualismo. Verificare prima, prego.

17. Il bordighismo si è occupato precocemente della cosiddetta natura sociale dell'URSS, giudicandola in termini di capitalismo di stato impegnato a sviluppare con metodi dispotici un'accumulazione primitiva del capitale in forma "socialista". Qui appare particolarmente evidente l'utilità di compiere un esame comparativo e contrastivo del bordighismo con il trotzkismo e con il maoismo, con cui il bordighismo non deve essere assimilato, nonostante le superficiali somiglianze. Paradossalmente, il bordighismo, nonostante le sue intenzioni "ortodosse" rispetto a Marx, assomiglia maggiormente alle teorie "borghesi" alla Walt Rostow dei gradi dello sviluppo capitalistico accelerato. E questo non è un caso, perché l'economicismo è sempre lo stesso, anche se a volte si veste di rosso ed a volte si veste di blu. La teoria bordighiana del capitalismo di stato, simile ma non eguale a quella del trotzkista Cliff e del maoista occidentale Bettelheim, si caratterizza per una concezione del Capitale come sistema sferico autoriproduttivo in cui la concorrenza fra diversi capitali, pur ammessa, non gioca un ruolo rilevante e decisivo. In questo senso la concezione di Bordiga è simile a quella di Bernard Chavance del cosiddetto Capitale Socialista, delle Brigate Rosse del 1978 sul cosiddetto SIM unificato (lo stato imperialista delle multinazionali), ed infine dell'Impero del 2002 di Toni Negri e Michael Hardt. Se ho messo insieme il bordighismo, Chavance, le Brigate Rosse e Toni Negri, cosa effettivamente un po' scandalosa, non l'ho fatto certamente per la cattiva abitudine settaria dell'amalgama diffamatoria. Odio questa cattiva abitudine, anche perché spesso personalmente ne sono vittima. Ma ho voluto ricordare al lettore questa inquietante somiglianza, perché in tutti e quattro questi casi c'è una comune posizione teorica che ritiene che ci possa essere un rapporto di produzione capitalistico senza concorrenza fra diversi capitali in lotta per il profitto, al massimo sostituita da pressioni politiche di cordate di partito in lotta per una diversa configurazione del piano quinquennale "socialista".

Sviluppata prima da Amadeo Bordiga, sistematizzata da Liliana Grilli, ed infine perfezionata da P. Giussani e A. Peregalli (cfr. Il declino dell'URSS. Saggi sul collasso economico sovietico, Graphos, Genova 1991), la concezione bordighiana utilizza le categorie marxiane classiche di aumento della composizione organica del capitale e di diminuzione tendenziale del saggio di profitto (complessivo) per interpretare la storia economica dell'URSS. Si tratta a mio avviso solo di allucinazione economicistica. Ma questo avviene, lo ripeto, per due ragioni teoriche di fondo. In primo luogo, come ho detto, per l'errore di soggettivizzazione unitaria di un fantomatico Capitale in generale (in questo caso un Capitale addirittura socialista e comunista), indipendentemente dalla concorrenza intercapitalistica privatistica che ne è invece parte strutturale. In secondo luogo, per il rifiuto della distinzione di Lenin fra modo di produzione e formazione economico-sociale, che porta a non capire che ci può tranquillamente essere una formazione economico-sociale storicamente inedita, non studiata da Marx e da Engels, che non è né capitalista né socialista.

L'impostazione di Giussani e Peregalli, rigorosamente bordighista, è a mio avviso criticata in modo molto sobrio ma anche convincente dallo studioso di indirizzo marxista-leninista Andrea Catone (cfr. La transizione bloccata, Laboratorio Politico, Napoli 1998). Ad essa rimando il lettore per l'eventuale approfondimento della questione.



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