L'eredità intellettuale di Louis Althusser (1918-1990)

e le contraddizioni teoriche e politiche dell'althusserismo

IV parte
 



Per agevolare la lettura, questo articolo di Costanzo Preve, apparso per la prima volta sulla rivista Praxis è stato diviso in cinque parti.

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14. Il secondo Althusser (intorno al 1972) passò dunque da una concezione della filosofia come epistemologia ad una concezione della filosofia come ideologia. Dalla padella alla brace. Un inutile peggioramento evidente. La sua definizione dello spazio filosofico come spazio della "lotta di classe" nella teoria propone infatti un'equazione fra spazio filosofico e spazio ideologico. Si tratta, a mio avviso, di una vecchia posizione sbagliata, già sostenuta da Lenin, e che rappresenta il punto debole a mio avviso dell'eredità leninista. Nel contesto storico 1969-1976, caratterizzato dalle lotte di classe in Cina e dal periodo più acuto delle lotte operaie e studentesche in Europa, lo sbandamento di Althusser è pienamente comprensibile. È difficile resistere alle fortissime pressioni dell'ambiente esterno, e questo vale sia per i girotondi anticraxiani ed antiberlusconiani sia per il rarefatto mondo della teoria. Ma questo è un errore, per almeno due ragioni di fondo che ora qui ricorderò.

15. In primo luogo, e questo è il punto di fondo, lo spazio filosofico non coincide assolutamente con lo spazio ideologico. Lo spazio filosofico è lo spazio di un particolare tipo di conoscenza, diversa e distinta da quella quotidiana, scientifica ed artistica. Lo spazio ideologico, invece, non è mai uno spazio veramente conoscitivo, ma è lo spazio di quella "concezione del mondo" che razionalizza parzialmente ed imperfettamente le domande di senso che scaturiscono dal rispecchiamento quotidiano dell'esperienza prefilosofica e prescientifica. Marx, che su questo punto a mio avviso ha ragione, identifica lo spazio ideologico con la falsa coscienza, che a sua volta può essere spontanea o organizzata. Lenin utilizza invece una nozione positiva di ideologia come concezione organica e coerente del mondo (l'ideologia proletaria sistematizzata dal partito), ma in questo modo non risolve il problema posto da Marx, ma semplicemente lo esorcizza, come documenta ampiamente la storia del marxismo del Novecento. Lo spazio ideologico non può essere costruito, perché si costruisce da solo sulla base di proiezioni religiose imperfettamente laicizzate e secolarizzate, ma può essere solo decostruito, per dare luogo geneticamente allo spazio filosofico e scientifico. Del resto, la filosofia antica nacque decostruendo il patrimonio mitico, e la filosofia moderna si origina decostruendo l'eredità ideologica, che è la forma impoverita del mito stesso. Ma è sempre la stessa storia. Althusser riesce a fare critica dell'ideologia criticando gli apparati ideologici borghesi di stato, anche se non capisce assolutamente che lo stesso capitalismo intende liquidare lui stesso sia la famiglia che la scuola, e dunque non c'è nessun bisogno di dargli anche una mano, ma non riesce a criticare l'ideologia di sé stesso, cioè di un pensiero che si ferma a mezza strada.

16. In secondo luogo, e questo è il punto più importante, la concezione ideologica della filosofia come lotta di classe nella teoria pone immediatamente il problema di quali siano i soggetti antagonistici fondamentali di questa lotta di classe. La risposta di Althusser è ovviamente quella tradizionale e classica del marxismo: i soggetti antagonistici fondamentali sono la Borghesia ed il Proletariato.

Ma è veramente così? Personalmente, non lo credo affatto. Il modo di produzione capitalistico è nato storicamente, cioè genealogicamente, con la costituzione progressiva di un soggetto sociale "borghese", l'imprenditoria prima commerciale e poi industriale, che a sua volta con il processo dell'accumulazione primitiva costituì il "proletariato", l'insieme di coloro che dovevano vendere la loro forza-lavoro per sopravvivere. Tutto ciò è innegabile, ma il punto sta altrove. La borghesia ed il proletariato non sono soggetti permanenti, ma solo soggetti provvisori ed iniziali del modo di produzione capitalistico. Ovviamente, restano soggetti permanenti e strutturali di questo modo di produzione i soggetti collettivi attivi e passivi della produzione capitalistica, che deve sempre riprodurre queste due polarità. Ma il termine marxiano "agenti attivi e passivi della produzione capitalistica" non coincide affatto con i due termini di Borghesia e Proletariato, che non sono semplici portatori di ruoli economici (alcuni estorcono, e ad altri viene estorto il plusvalore sotto l'apparenza dello scambio economico fra eguali), ma sono complesse soggettività non solo economiche, ma anche politiche, religiose, culturali, artistiche, eccetera. Ridotta a riproduzione dei ruoli economici, la dicotomia Borghesia/Proletariato è puro economicismo. E questo economicismo, lo si ricordi sempre bene, non si limita alla vecchia enfatizzazione dello sviluppo delle forze produttive e della cosiddetta rivoluzione tecnico-scientifica, ma si nutre con la centralità della teoria del valore rispetto alla ben più importante centralità del modo di produzione. E questo l'althusseriano italiano La Grassa lo ha capito da tempo nell'indifferenza generale dei "marxisti".

17. Il 1976 è un vero anno di svolta. Muore Mao Tse Tung, ed appena un mese dopo la sua morte un colpo di stato abbatte la cosiddetta "banda dei quattro", che era poi quanto restava della dirigenza maoista della rivoluzione culturale cinese. Nel 1975 erano diventati "comunisti" il Vietnam, la Cambogia ed il Laos, cioè l'intera Indocina, realizzando così l'unica vera sconfitta militare strategica degli USA nel Novecento. Nello stesso anno erano diventati di fatto "comunisti" anche gli stati africani dell'Angola e del Mozambico, e la rivoluzione comunista in Etiopia era in pieno svolgimento. In Portogallo per alcuni mesi sembrò addirittura che un regime comunista fosse possibile. In Spagna ed in Grecia caddero i precedenti regimi fascisti o quasi-fascisti. In Italia premeva il "compromesso storico" di Enrico Berlinguer, e più in generale in Europa il cosiddetto "eurocomunismo" sembrava una prospettiva storica realistica.

Si trattò di un'illusione storica. Ciò che sembrò l'inizio di un processo di svolta a sinistra su scala mondiale si rivelò essere solo l'ultimo colpo di coda del vecchio ciclo storico. Iniziava invece la controffensiva capitalistica strategica. Non si tratta soltanto di Margaret Thatcher e di Ronald Reagan, cioè della cosiddetta controffensiva liberista. Questa non è che la sovrastruttura politico-ideologica. Si trattava di una vera e propria terza rivoluzione industriale capitalistica, dopo quelle di fine Settecento e di fine Ottocento. Non si tratta solo di un nuovo ciclo merceologico di innovazioni di prodotto, perché se così fosse potremmo affermare che i computer non sono così importanti come i prodotti tessili, i treni o l'automobile. Si tratta di una "grande trasformazione" (prendo a prestito il termine da Polanyi) non solo nelle innovazioni tecnologiche di processo e di prodotto, ma anche nella più generale riproduzione finanziaria e soprattutto culturale. Solo questa terza rivoluzione industriale, tuttora in corso, dà veramente luogo ad un capitalismo globale e totalitario, al di là delle precedenti fasi della protoborghesia e del protoproletariato.

Nel 1976 comincia in Argentina lo sterminio fisico degli oppositori, i cosiddetti desaparecidos. Un segnale importante, storicamente sempre sottovalutato. Nel 1977 vengono lanciati in Europa i cosiddetti "nuovi filosofi" francesi, che per la prima volta fanno dell'anticomunismo una vera e propria piattaforma filosofica esplicita. I "nuovi filosofi" sono vecchi sessantottini pentiti, parlano ad una generazione sbandata e senza prospettive con il suo linguaggio, e così il "pentitismo", prima di diventare una modalità di sconfitta della lotta armata italiana, diventa una categoria filosofica. I "nuovi filosofi" vengono anche lanciati con una campagna pubblicitaria promozionale in cui i media si impegnano in modo coordinato, e questa interessante novità non viene percepita in modo adeguato. Dalla vecchia sottomissione "formale" si passa ad una nuova sottomissione "reale" del dibattito filosofico al ceto giornalistico di servizio. Nel 1980 si ha anche una forte sconfitta sindacale e sociale della classe operaia FIAT di Torino. Un avvenimento su scala mondiale del tutto secondario, ma comunque significativo e simbolico, per chi aveva disinvoltamente caricato la povera classe operaia di fabbrica di un ruolo messianico.



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