Se il buon giorno si vede dal mattino...

INTRODUZIONE

Torino... la città delle meraviglie... vista da Alice...

"Ma perché, a Torino, le meraviglie? E perché l’allarme sociale, nazionale di fronte alle meraviglie di Torino? E’ quanto ci accingiamo a scoprire con una rapida escursione nella città delle meraviglie di ieri e di oggi, dove la presenza di feste bizzarre, di cappellai matti, di gendarmi e di regine esige davvero che si prenda come guida Alice".

Cercando una introduzione a queste riflessioni sul Convegno Internazionale del Cesnur, Le minoranze religiose e spirituali alle soglie del duemila, che si è svolto a Torino dal 10 al 12 Settembre 1998, ho scelto questa frase, tratta dal libro "Il ritorno della magia" (1), perché mi sembra particolarmente adatta.

Il Convegno, indetto con il patrocinio della regione Piemonte, si è tenuto al Centro Congressi dell’Unione Industriale, in Via Fanti 17.

I confortevoli locali dell’Unione Industriale ben si prestavano ad accogliere gli illustri personaggi protagonisti di questo Convegno, mentre i giovani dello Staff del Cesnur si prodigavano con gentilezza e affabilità ad accogliere i partecipanti nel modo migliore possibile. Appena scesi nell’ampio disimpegno che portava alla sala Conferenze, su due tavoli erano disponibili molte pubblicazioni edite da case Editrici cattoliche e non, figuravano pubblicazioni donate da "minoranze religiose" alla biblioteca del CESNUR, ed erano gratuitamente disponibili anche pubblicazioni come "The Twelve Tribes Freepaper", la pubblicazione "Il ripristino e la salvaguardia della libertà di religione a cura dell’Ufficio Europeo per i Diritti Umani e gli Affari pubblici della Chiesa di Scientology", pieghevoli che reclamizzavano "Social Compass", la rivista internazionale di sociologia della religione, un numero di "Bullettin de l’Omnium", e altre ancora.

Il tema del convegno Le minoranze religiose e spirituali alle soglie del duemila fa pensare veramente ad un mondo di "meraviglie", pieno di mistero, che catturerebbe immediatamente la curiosità di Alice, il personaggio famosissimo della favola di Lewis Carroll. 

Sotto la denominazione di "minoranze religiose e spirituali", infatti, potrebbe essere inclusa qualsiasi realtà presente nel mondo cosiddetto "spirituale", una definizione, questa, vaga e nebulosa. E si sa che, più vaghi sono i termini, più fitto diventa il mistero, più aumenta la curiosità.

L’ espressione "minoranze religiose" vuole sostituire la vecchia espressione "Nuovi Movimenti Religiosi" che a sua volta aveva sostituito l’ "arcaica" dicitura "setta". Forse a qualcuno potrà sembrare oziosa una disquisizione sulla progressiva sostituzione, avvenuta nel corso degli anni, di espressioni linguistiche che sembrano innocenti sinonimi che definiscono la stessa realtà…
 

... ma le parole hanno un peso ...

Forse molti hanno letto il romanzo di George Orwell, "1984". Nel racconto si parlava della Neolingua, la lingua ufficiale in Oceania che era stata inventata per venire incontro alle esigenze ideologiche del Socing, del Socialismo inglese, il regime al potere sotto la cui dittatura vive il protagonista del romanzo, Winston. La neolingua doveva sostituire gradatamente, cioè nel corso degli anni, l’Archeolingua, quella usata prima del regime (che sarebbe l’inglese). Tale sostituzione nell’anno 2050 doveva essere definitiva e nessuno avrebbe mai più dovuto esprimersi in Archeolingua. Per questo motivo il regime aveva istituito un Ministero apposito (il Ministero della Verità) per cambiare la lingua ed un team di esperti linguisti impiegati a tempo pieno per redigere il nuovo Dizionario della neolingua.

Un passo significativo del romanzo recita:" Fine della Neolingua non era soltanto quello di fornire un mezzo di espressione per la concezione del mondo e per le abitudini mentali proprie ai seguaci del Socing, ma soprattutto quello di rendere impossibile ogni altra forma di pensiero. Era sottinteso come, una volta che la Neolingua fosse stata definitivamente adottata, e l’Archeolingua, per contro, dimenticata, un pensiero eretico (e cioè un pensiero in contrasto con i principi del Socing) sarebbe stato letteralmente impensabile, per quanto almeno il pensiero dipende dalle parole con cui è suscettibile di essere espresso... Ciò era stato ottenuto in parte mediante l’invenzione di nuove parole , ma soprattutto mediante la soppressione di parole indesiderabili e l’eliminazione di quei significati eterodossi che potevano essere restati e, per quanto possibile, dei significati in qualunque modo secondari ... La Neolingua era intesa non ad estendere, ma a diminuire le possibilità di pensiero; si veniva incontro a questo fine appunto, indirettamente, col ridurre al minimo la scelta delle parole" (2).

La metafora della "Neolingua" può aiutare a comprendere come nulla, neanche il cambiamento delle parole, è privo di conseguenze sulla realtà, e chi , ad un certo livello e da una certa posizione, usa le parole o le cambia non lo fa mai a caso, ma per raggiungere scopi ben precisi. Quali potrebbero essere questi scopi, nel caso della sostituzione progressiva delle parole " sette - nuovi movimenti religiosi - movimenti religiosi - minoranze religiose"? La risposta a questa domanda forse sta nel riflettere semplicemente sulla direzione nella quale è stata effettuata la sostituzione dei termini, che risulta sempre più inclusiva e generale. 
 

Un po’ di numeri

I dati che fornisco si basano sul programma e il foglio di aggiornamenti distribuiti dal CESNUR oltre che sulle informazioni reperite direttamente durante la mia partecipazione ad alcune sessioni.

Erano presenti al Convegno 104 relatori che hanno partecipato alle diverse sessioni (29 in tutto). Stando ai dati distribuiti dal CESNUR, 54 sono professori o accademici a vario titolo collegati ad una Università, 11 sono segnalati come laureandi e dottorandi, 30 sono quelli presentati senza titoli di alcun genere , 6 avvocati, 1 politico, un membro di una Fondazione e uno psichiatra. Erano assenti 14 relatori. Alcuni dei relatori erano esponenti di "minoranze religiose". Tra questi ultimi c’erano: Cristina Valle della Unione Induista Italiana di Carcare, Jane Williams-Hogan dell’Academy of the New Church College, Bryn Athyn, Mario Affuso della Chiesa Apostolica Italiana, Paolo Fezzi, Buddista. Sono intervenuti anche Mario Ambrosetti, Federazione Nazionale Sukyo Mahikari, S. Yogananda Giri, Unione Induista italiana, e altri.

Il numero dei partecipanti, inclusi i relatori che di volta in volta diventavano uditori, era variabile ed oscillava all’incirca tra le 80 e le 120 persone, con punte minime anche di 65 e massime di 150 circa. 

Insieme ai curiosi, agli interessati a vario titolo, tra cui anche alcuni sacerdoti cattolici, agli osservatori, erano presenti al Convegno membri di alcune "minoranze religiose", tra i quali figuravano Aumisti, Induisti, Kremmerziani, Raeliani, Scientologisti, Seguaci del Rev. Moon, Mormoni, Mahikari, Apostolici, Damanuriani, Swedenborghiani, Ortodossi, Buddisti ecc. 

Erano presenti, inoltre, membri del GRIS (Gruppo di ricerca ed informazione sulle sette), dell’ARCA e persino del CAN (Cult Awareness Network).

La presenza di rappresentanti di varie associazioni a diverso titolo interessate al fenomeno delle "minoranze religiose" ha consentito anche di conoscere e confrontarsi sulle diverse attività che esse svolgono. Interessante è stato per me fare conoscenza, durante un coffee-break, mentre ero in conversazione con altri convegnisti, con un giovane che si è presentato come il responsabile della sezione italiana del CAN (Cult Awareness Network)

Come accade sovente durante questi Convegni, si prendono contatti tra associazioni interessate agli stessi temi, si fanno segnalazioni di casi vari e ci si confronta sulle attività svolte nel campo di comune interesse. Tra le altre cose questa persona mi ha informato del fatto che anche il CESNUR riceve di tanto in tanto richieste di aiuto da parte di persone che hanno problemi a causa di qualche "minoranza religiosa" e, poiché non è compito del CESNUR fornire tale assistenza, esso le indirizza anche al CAN [vedi questo importante avviso].

Ho avuto il piacere di incontrare e scambiare impressioni e informazioni anche con Gianni Trapletti e Paolo Maggi, esponenti del’ARCA, un gruppo che si impegna nel campo delle "minoranze religiose" in ambito cattolico. E’ stato un confronto molto utile ed interessante, che non sarebbe stato possibile senza l’occasione di questo Convegno, così ricco di stimoli e variegato nelle sue diverse manifestazioni.
 
 

LA PROSPETTIVA

Qualsiasi oggetto può essere guardato in modo diverso a seconda della prospettiva dalla quale si pone l’osservatore. Le prospettive sono sempre parziali e non è possibile guardare contemporaneamente a tutti gli aspetti di uno stesso fenomeno. Per questo motivo scegliere una prospettiva di osservazione piuttosto che un’altra è molto importante per la descrizione complessiva e finale delle qualità dell’oggetto osservato.

La relazione dal titolo Chi ha paura delle minoranze religiose? La costruzione sociale di un panico morale, letta integralmente da Massimo Introvigne, ha introdotto i lavori del Convegno. Essa può essere considerata, in un certo senso, la prospettiva dalla quale il Convegno ha affrontato il tema delle Minoranze religiose e spirituali alle soglie del duemila

Già il titolo indica chiaramente qual è la prospettiva prescelta: quella di chi ritiene che le minoranze religiose siano oggetto di attacchi ingiustificati e sproporzionati ai reali pericoli che esse possono rappresentare per la società. Questi attacchi ingiustificati avrebbero comportato, a causa della loro diffusione attraverso i mass media e le organizzazioni antisette, una reazione di "panico morale". "I panici morali sono stati definiti come problemi sociali socialmente costruiti caratterizzati da una reazione sproporzionata all’effettivo pericolo, sia nella rappresentazione mediatica sia nella discussione politica" (3). I "panici morali" avrebbero la funzione di far passare per nuovi problemi sociali esistenti ormai da decenni, per esagerarne la portata anche grazie alla diffusione di "statistiche folkloriche", non sostenute da studi accademici.

Se questa posizione è perfettamente in linea con la prospettiva in cui si pone il relatore, forse la questione potrebbe essere inquadrata anche da un’altro punto di vista, esattamente opposto a questo. Per esempio, lì dove sono avvenuti suicidi-omicidi collettivi e l’attentato al gas nervino, si è lamentato da molte parti il fatto che certi gruppi, di cui le autorità già conoscevano la pericolosità, non erano mai stati sorvegliati adeguatamente proprio perché godevano di una impunità di fatto, essendo gruppi "religiosi" e quindi non soggetti ai controlli.

Un caso esemplare è quello dell’Aum Shinrikyo. Il Prof. Beit- Hallahmi afferma che, fin dal 1995, le autorità giapponesi non solo non erano state prudenti ma erano state perfino negligenti forse anche protettive riguardo alle attività criminali dell’Aum a causa del suo status di NMR. Pare che prima dell’attentato fossero già stati trovati seri indizi su certe attività di Aum che avrebbero richiesto inchieste di polizia molto più serie: trentatré seguaci di Aum uccisi tra il 1988 e il 1995, altri 21 scomparsi e forse morti, nel 1989 c’era stato un caso di triplice omicidio e nel 1994 era stato compiuto dal gruppo un altro attacco al gas nervino che aveva ucciso 7 persone, insieme ad altri reati meno seri sui quali la polizia non aveva indagato (4).

Se si guarda alle cosiddette "minoranze religiose" in questa prospettiva non solo non si può dire che la società e i governi operino una azione di polizia repressiva nei loro confronti, ma addirittura si potrebbe affermare che esse godono di una certa "libertà di azione" sotto lo scudo difensivo loro fornito anche da studiosi, esperti, accademici, ricercatori, avvocati e politici impegnati strenuamente per la difesa della "libertà di religione".

Se dunque il problema delle "minoranze religiose" discriminate esiste, esiste anche il contraltare di quelle superprotette quando compiono reati. E se l’atteggiamento più giusto è quello di saper distinguere tra le une e le altre con obiettività, appare per lo meno strano il fatto che certi studiosi affrontino un viaggio per recarsi in Giappone al solo scopo di difendere una organizzazione che da anni, secondo alcune fonti, era protagonista di azioni illegali anche gravi, culminate, poi, nell’attentato di Tokyo.

Quando avvengono questi episodi accade spesso che, nei tribunali, si cerchi di giustificare l’ organizzazione implicata affermando la sua completa estraneità ai fatti, che sarebbero da attribuire unicamente ad alcuni membri. Questo genere di difesa potrebbe essere controproducente, nel senso che potrebbe fare il gioco di chi vuole sfruttare la sua etichetta di "religione" per ottenere una sorta di "impunità legale". 

Se l’autore di un reato è chiaramente individuabile, c’è da chiedersi se egli sia una monade isolata da qualsiasi contesto, sradicata dal gruppo a cui aderisce, nel quale certamente ci sono persone oneste e in buona fede, ma dove possono esserci anche altre persone meno oneste che danno gli ordini e che usano gli adepti come manovalanza. Perché nei reati comuni oltre all’esecutore si cerca anche il mandante? Se c’è il sospetto che un assassino appartenga a qualche gruppo malavitoso si indaga non solo su di lui, ma anche sull’eventuale mandante. Chi indaga deve trovare anche chi commissiona il reato e chi lo finanzia, perché solo rintracciando i mandanti e i progettisti si può tentare di estirpare la sorgente malavitosa.

Questo procedimento ovvio in qualsiasi caso, pare che non sia adeguato ad affrontare i reati compiuti nel "mondo delle minoranze religiose".

Nel caso dell’attentato di Tokyo, per esempio, ci si potrebbe chiedere: le persone che hanno messo il gas nervino nella metropolitana sono squilibrati che un bel giorno si sono ritrovati "casualmente" in casa un pò di gas e, tanto per passare il tempo, lo hanno liberato nella metropolitana a "beneficio" dei passeggeri? E le persone "suicidate" o uccise a Jonestown sono state prese tutte insieme da un raptus incomprensibile e contagioso per cui hanno preparato un pasto a base di veleno e lo hanno ingurgitato "liberamente", dandolo "liberamente" anche ai loro figli? Jim Jones ha semplicemente "invitato" i suoi seguaci a compiere una azione e loro l’hanno "liberamente" compiuta? Anche in questo caso, negli Stati Uniti nessuno sospettava nulla e nessuno era a conoscenza delle "stranezze" di Jim Jones? O forse anche qui c’è stata una sorta di colpevole "immobilità" da parte di chi poteva fare qualcosa? E le armi raccolte nel ranch di Waco erano proprio passate inosservate o forse qualcuno sapeva e ha lasciato fare? 

Sono dubbi gravi che si affacciano alla mente di chi è spettatore di certi fatti gravissimi che vengono portati all’attenzione del mondo attraverso i Mass Media, certo in modo scandalistico e crudo. Si può condividere questa critica ai Media, ma c’è il sospetto che essa possa nascondere il disagio di qualcuno che non gradisce la diffusione di notizie allarmanti, ma purtroppo vere, su certi gruppi, nel timore che questa "pessima pubblicità" possa nuocere anche ad altri gruppi consimili.

Di fronte a questi gravi episodi si afferma che "Il vero problema , tuttavia, è l’incidenza, non l’esistenza"(5). Si vuole forse dire che, poiché si tratta di episodi sporadici, essi non devono essere generalizzati a tutti i gruppi? In questo caso certamente non si può che essere d’accordo. Se, però, questa affermazione presupponesse l’idea che si può applicare a questi episodi luttuosi lo stesso criterio utilizzato nelle ricerche sociologiche, i sondaggi o le rilevazioni epidemiologiche, allora non ce la sentiamo di condividerla. Se, infatti, riguardo alla diffusione di una malattia sul territorio nazionale vale il principio statistico secondo cui essa richiede un intervento da parte delle autorità sanitarie solo se incide in percentuale significativa nella popolazione, non ci sembra che questa metodologia possa essere applicata nello stesso modo ad episodi gravissimi come quelli a cui si è accennato. Questo, infatti, equivarrebbe ad affermare che il VERO problema non è se i suicidi collettivi, gli attentati, gli omicidi, le frodi avvengono o non avvengono, ma QUANTI SONO in percentuale! 

Nella relazione introduttiva si accenna, inoltre, all’esistenza di una sorta di coalizione "antisette" i cui componenti sono definiti "imprenditori morali" che amplificherebbero il panico morale. Questi "imprenditori morali" avrebbero i "loro interessi" nell’amplificare i dati e la gravità del fenomeno, interessi non ben precisati anche se viene detto esplicitamente che "alcuni di loro ricevono oggi in diversi paesi europei un grado senza precedenti di sostegno statale" (6).

Affermazioni vaghe come queste contribuiscono a creare un clima di sospetto non supportato da informazioni chiare o prove certe. Sarebbe meglio, se qualcuno fosse a conoscenza di "interessi" di persone o gruppi a fomentare l’odio contro le minoranze religiose, che dicesse chiaramente nomi e cognomi, luoghi e circostanze, in modo da poter smascherare eventuali abusi o addirittura reati e violazioni dei diritti di questi gruppi a professare e divulgare liberamente il loro credo. Se le accuse vengono provate hanno una funzione sociale positiva, se si tratta di dicerie non provate servono solo a chi desidera screditare i cosiddetti movimenti "antisette", e allora c’è il sospetto che sia qualcun altro ad avere "interessi personali".

Segue una critica ai cosiddetti "rapporti di tipo I", come il Rapporto francese , quello belga ecc... che seguirebbero un "modello in quattro stadi" e che "hanno adottato un modello interpretativo tale ... da garantire virtualmente una futura ulteriore amplificazione dei panici morali"(7). Questi rapporti si sarebbero basati sulle cosiddette teorie del "lavaggio del cervello" utilizzate per discriminare i gruppi religiosi da tutti gli altri. A proposito della attendibilità di queste teorie si precisa che "Alla fine degli anni 1980 le prime teorie "crude" del lavaggio del cervello erano state ampiamente screditate nel dibattito di lingua inglese"(8)

Per comprendere a fondo le circostanze che condizionarono e resero particolarmente acceso il dibattito intorno a queste teorie sarebbe necessario un ulteriore esame del contesto in cui esso avvenne (9)

Riguardo all’altra critica ai "rapporti di tipo I" , cioè quella di utilizzare come fonti i racconti degli "apostati", cioè "ex-membri che si sono trasformati in oppositori attivi del gruppo che hanno lasciato" (10) rifiutando il contributo degli studiosi, rimandiamo ad un precedente articolo (11). E’ comunque da apprezzare la precisazione secondo la quale il termine "apostati" è solo "tecnico, non offensivo", così come l’apertura ad una possibile (e a nostro avviso auspicabile) sostituzione di questo termine in futuro. Degna di nota è anche l’affermazione che gli "apostati" sono "una minoranza interessante" (indicata forse tra il quindici e il venti per cento tra gli ex-membri), e che "la maggioranza degli ex-membri hanno piuttosto sentimenti ambivalenti a proposito della loro precedente affiliazione, e comunque non sono interessati a partecipare a crociate contro il gruppo che hanno lasciato"(12). Questi dati, dedotti da studi empirici "disponibili solo per un numero limitato d nuovi movimenti religiosi" (13), non sono certamente esaustivi, ma interessanti, e stanno a indicare che nei riguardi di certi gruppi c’è un certo dissenso attivo da parte di una minoranza (la percentuale del 15-20% non ci sembra trascurabile), mentre la "maggioranza" avrebbe "sentimenti ambivalenti" verso il gruppo a cui apparteneva. 

Certamente gli ex-membri, se richiesti di informazioni sul gruppo che hanno lasciato, 
forniranno notizie e giudizi divergenti sulla loro passata esperienza. Per questo il compito di chi deve indagare e reperire informazioni veritiere è particolarmente arduo. Forse una discriminante utile per discernere le varie testimonianze e utilizzarle al meglio potrebbe essere quella di prestare fede soprattutto a quei racconti supportati da un certo grado di prove, documenti e riscontri di vario tipo, che, peraltro, ci risulta siano spesso forniti anche dai cosiddetti "apostati". Interessante ed obiettivo sarebbe a questo proposito il confronto fra la documentazione fornita da chi critica il gruppo e quella di cui è in possesso la leadership dell’organizzazione. Ci risulta che sia accaduto con una certa frequenza, invece, che, alla documentazione fornita dall’"apostata", l’organizzazione chiamata in causa abbia contrapposto una semplice dichiarazione di falsità, senza nemmeno una prova. 

Perché l’onere della prova spetta sempre e solo ai cosiddetti "apostati"?

Nella parte finale della relazione si dice che i panici morali "spariscono quando il pubblico in generale perde interesse all’argomento, o è raggiunto da valutazioni e statistiche più equilibrate" (14).

Ci auguriamo che la eventuale "perdita d’interesse" del pubblico sia dovuta ad un cambiamento di clima e alla cessazione definitiva di episodi gravissimi e abusi come quelli verificatisi nell’ambito di certe organizzazioni "religiose". Se il clima cambierà e cesseranno gli abusi sulle persone certamente non si parlerà più di "pericolo sette" e questo sarà un bene per tutti, anche per chi difende la libertà religiosa. Ci auguriamo anche che le "valutazioni e statistiche più equilibrate" siano reali e reperite con metodo scientifico, con obiettività e senza preclusioni ideologiche. Se la ricerca e l’informazione saranno obiettive ed accurate faranno certamente un ottimo servizio alla società nel suo complesso ed aiuteranno a discriminare le "minoranze religiose" bisognose di "difesa" da quelle che devono essere perseguite perché lesive dei diritti umani. Se invece l’informazione e la ricerca scientifica sono e rimangono monopolio incontrastato e incontrollabile di pochi, allora si continuerà a correre il pericolo di favorire sistemi antidemocratici che hanno l’unico interesse di esercitare il potere senza essere controllati in alcun modo.

Speriamo che la storia del nostro tempo non debba mai essere ricordata per una simile "catastrofe". Se ci fosse un pericolo di questo genere allora avremmo tutti ragione di temere, ed il "panico" non sarebbe solo "morale", in questo caso, ma diventerebbe un "panico reale".
 
 

NOTE

(1) Massimo Introvigne, Il ritorno della Magia, Ancora,1998, p. 153 
(2) George Orwell, 1984, Mondadori, 1982, p. 331-332
(3) Massimo Introvigne, Chi ha paura delle minoranze religiose? La costruzione sociale di un panico morale", Relazione presentata al Convegno Internazionale del CESNUR il 10/09/98, p.1
(4) Cfr. B. Beit-Hallahmi, Dear colleagues: integrity and suspicion in NRM research, relazione presentata al meeting annuale dell’SSSR, 1997.
(5) Massimo Introvigne, Chi ha paura delle minoranze religiose ?, Ibid, p. 3
(6) Ibid, p. 3
(7) Ibid, p.3
(8) Ibid, p.5
(9) Ci si riferisce a Memorandum, sottoscritti dal BSERP (11 maggio 1987) e da alcuni membri di Associazioni professionali. Per ulteriori approfondimenti rimandiamo ad altri articoli.
(10) Massimo Introvigne, Chi ha paura delle minoranze religiose?, Ibid, p.5
(11) Vedi il nostro "Non c'è peggior cieco di chi non vuol vedere"
(12) Massimo Introvigne, Chi ha paura delle minoranze religiose?, Ibid, p. 6
(13) Ibid, p. 6
(14) Ibid, p. 9



     




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