zingari, rom, kosovo, profughi


 
La culla e il mare


Hatmon, Hisen e il loro figlio, Kenan


 
 
 
Alla periferia di Firenze, le strade si intrecciano in snodi complicati e un rivolo di asfalto scende giù al Poderaccio. E' un campo sotto giganteschi tralicci, un accumulo di roulotte, compensato e lamiere. Nelle pozzanghere sguazza un tristissimo cane. Hisen e Hatmon non sono lì, ci dicono che sono andati al Campo Masini. Trecento metri a piedi, ancora un traliccio e ai suoi piedi un accumulo di fango, di roulotte prive di ruote e di finestre, e ancora intrecci di lamiera e compensato.  

Hatmon ci riconosce e ci viene incontro. È alta e bella e porta in grembo, ben visibile, una nuova vita. Con la sua lunga gonna, chiede, imbranata e spaventata, l'elemosina a un semaforo di Firenze, guardata male sia dagli italiani perbene, sia dalle altre "zingare" di consumata abitudine, perché non era mai stata abituata a fare una cosa del genere prima, e non aveva idea di come si facesse. E qui ha conosciuto Lisa.  

Hatmon ha altri tre bambini, ma non li porta a chiedere l'elemosina: non vuole sfruttarli ed è persino riuscita a mandarli a scuola.  

Hatmon è nata nel Kosovo, è dei Gurbetija, una gente Rom che qualcuno sostiene deriverebbe direttamente da una casta indiana. Ha sposato Hisen, un Rom kosovaro anche lui, ma che viveva a Sarajevo, dove avevano una bancarella e una fetta di casa. Hisen ha un bel viso dai lineamenti forti, sembra un tipico italiano, se non avesse nell'espressione quella particolare tristezza che si incide in chi vive troppo a lungo nei campi.  

Venne la guerra: mangiavano pane  e qualche volta anche erba e una volta al giorno riuscivano a procurarsi un bicchiere di latte. Una bomba sulla casa uccise il padre di Hisen e la donna dallo spavento perse il figlio che aveva in grembo. Hisen fu ferito e mandato in Italia per curarsi. Mentre il fratello di Hisen, lavorando da spazzino, raccoglieva cadaveri per le strade di Sarajevo, in assenza di Hisen, la suocera picchiava Hatmon, che dovette fuggire nel Kosovo. 

Hatmon ci fa vedere la foto di un bambino. È suo fratello più piccolo. Dove è? A Belgrado. E come mai? Un comando di albanesi aveva assalito un treno nel Kosovo, a colpi di bombe a mano. Sul treno c'era il fratello di Hatmon. Andava a scuola e perse una gamba. Oggi è ricoverato in un istituto per vittime di guerra a Belgrado. 

Sopra i Rom vola sempre, lento e paziente, un nero avvoltoio. L'avvoltoio la scovò a Prishtina. Dal cielo, le bombe di Clinton e dalla terra il terrore dell'UCK. Hisen andò a prendere la sposa in Kosovo; con due anni di soldi raccolti mendicando; appena prima che partissero, lei rimase incinta. Sullo scafo portarono una culla kosovara per il bambino piccolo. Mesi dopo, Hatmon ora deve partorire il quarto bambino. Che è arrivato in Italia nascosto in fondo al ventre della mamma, dove nemmeno gli scafisti potevano chiedergli di pagare. 

Hisen e Hatmon sono andati al consolato della Bosnia per rinnovare i passaporti. E devono pagare esattamente settecentodiecimila lire, proprio mentre Hatmon sta per partorire.   

Ora Senad è nato. E Lisa è diventata sua madrina. 

Lisa e il suo figlioccio, Senad
 

Hisen ha avuto fortuna. Tra tanti al campo, ha trovato lavoro come muratore, ha comunque i documenti. I figli sono in salute e per quattro mesi, mentre allatta Senad, sua moglie non rischia di essere cacciata dalla sua casa. Poi si vedrà... 
 
 

 

  
Hatmon, Senad nella culla e Lisa




 


 


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