Sciamani di plastica
Indiani d'America e New Age
seconda parte

 

di Flavia Busatta



Per agevolare la lettura, questo articolo di Flavia Busatta, tratto da Hako Magazine, è stato diviso in diverse parti.

Alla nota introduttiva

Alla parte successiva

Alla bibliografia






finti indiani nativi americani

Finlandesi travestiti da indiani



Una fonte di sapienza

L'idea che i popoli selvaggi possiedano la fonte della vera saggezza è molto radicata nel pensiero occidentale e i documenti più antichi in cui la troviamo sono l'Iliade di Omero (700 a.C.) e l'Europa di Eforo (IV sec. a.C.). In uno studio magistrale Lovejoy e Boas (1965) chiamarono questa idealizzazione “primitivismo culturale'', cioè «lo scontento della civiltà da parte dei civilizzati», che ha dato origine a

«uno dei più strani, potenti e persistenti fattori del pensiero europeo -- l'uso del termine “natura'' per esprimere lo standard di valori umani, l'identificazione del bene con ciò che è “naturale''» (1965:7,11-12).

Essi dimostrano come già per i greci classici gli sciti fossero quello che gli indiani d'America rappresentano per molti euroamericani, depositari di virtù perdute dalle società urbane. Strabone sosteneva, nel I secolo a.C., che il modo di vita greco aveva provocato il deterioramento di quasi tutti i popoli, introducendo presso di loro la mollezza, introducend le arti malvagie e l'avidità in una miriade di forme. Tacito e altri autori latini non perdevano occasione di dimostrare quanto le virtù dei barbari germani fossero auspicabili e “naturali'' in confronto al presente corrotto della Roma imperiale. Non sono i soli.

Solo per citarne due, Åke Hultkrantz, professore di religioni comparate all'università di Stoccolma che, fin dall'infanzia venne «attratto dall'immagine romantica degli indiani come amanti della natura, come popolo in armonia con il loro mondo» (Vecsey 1981:x), segue Strabone quando sostiene che uno dei problemi «della vita moderna occidentale è la nostra incapacità di condurre vite autentiche» (Vecsey 1981:xii). In Italia Elémire Zolla faceva precedere l'edizione tascabile del suo famoso libro I letterati e lo sciamano da un'introduzione che cominciava così:

«Quando terminai questo libro, ancora non era apparsa l'opera di Carlos Castaneda, il capolavoro di tutta la letteratura di cui avevo trattato, il classico che per le nuove generazioni è un testo sacro, capace di indurre nell'esperienza metafisica» (1978 [1974]:v).

Proseguiva analizzando gli “insegnamenti'' di Don Juan, lo sciamano yaqui inventato dal noto falsario antropologico e pilastro new age attraverso una fortunata serie di romanzi esoterici, e concludeva:

«Era necessario compendiare l'opera di Castaneda finora apparsa, perché essa fornisce l'epigrafe a questa nostra storia dei contatti letterari fra i bianchi e gli sciamani”.

Che Zolla abbia una certa difficoltà a distinguere il falso dal vero, del resto, è dimostrato anche quando parla del famoso impostore afroamericano Sylvester Long (Lunga Lancia Figlio del Bisonte), che scambia per “meticcio Croatan'', un'espressione che non ha alcun senso in termini tribali. In un noto saggio l'antropologo Edward Sapir distingueva la cultura “genuina'' da quella “spuria'' e supponeva che gli indiani trovassero soddisfacente la loro vita quotidiana, vita “autentica'' di cultura “genuina''. Ma, come

«Karl Marx, Max Weber e Emile Durkheim, Sapir criticava la costruzione di una società spettatrice in cui la massa degli americani non controlla né le attività del proprio lavoro quotidiano né l'attuazione di arte e rituale, ora riservati a professionisti» (Kehoe, 1996:195).

Hultkrantz, Zolla e quelli come loro

«non hanno un reale interesse ad analizzare e comprendere la cultura europea e euroamericana.

Convinti della sua “inautenticità'', definiscono per se stessi la missione di portare la loro “conoscenza'' della spiritualità indiana ai popoli dell'America e dell'Europa moderna. Non sono soli. Per una curiosa giravolta logica, centinaia di migliaia di europei e americani, alienati dalla nostra cultura che ci spinge verso una mera esistenza passiva, non si sforzano semplicemente di impegnarsi di più in una produzione e attuazione diretta. Invece guardano a rappresentazioni di culture non occidentali per esperienze “autentiche''. Per ottenere cultura “genuina'' cercano istruzione in esercizi spirituali non occidentali, asiatici o indiani americani. [...] I moderni indiani americani sono visti come “popolo naturale'' perché le loro riserve sono rurali ed essi vivono in gran parte liberi dall'ingombro delle macchine.

Che queste condizioni siano dovute ad atti politici della società dominante è ignorato» (Kehoe, 1996:196-197)

così come viene trascurata l'imbarazzante verità che solo una ristretta minoranza vive ancora in riserva, che molte di queste riserve sono alla periferia o addirittura “dentro'' le metropoli (ad es. New York, Seattle, Minneapolis, Montreal, Los Angeles, Phoenix, Tucson) e che vi è un fitto andirivieni tra la città e la periferia rurale delle riserve. Non a caso queste ultime ospitano molti casinò che godono di un bacino di utenza urbano.





All'articolo successivo




Gli articoli apparsi originariamente su questo sito possono essere riprodotti liberamente,
sia in formato elettronico che su carta, a condizione che
non si cambi nulla, che si specifichi la fonte - il sito web Kelebek http://www.kelebekler.com -
e che si pubblichi anche questa precisazione
Per gli articoli ripresi da altre fonti, si consultino i rispettivi siti o autori




e-mail


Visitate anche il blog di Kelebek

Home | Il curatore del sito | Oriente, occidente, scontro di civiltà | Le "sette" e i think tank della destra in Italia | La cacciata dei Rom o "zingari" dal Kosovo | Il Prodotto Oriana Fallaci | Antologia sui neoconservatori | Testi di Costanzo Preve | Motore di ricerca