Replica a
Sciamani di plastica
Indiani d'America e New Age
 




Questo articolo di Quartilla Eleuteria Pagano è una replica a "Sciamani di plastica Indiani d'America e New Age" di Flavia Busatta, pubblicato su questo stesso sito.

Sono sempre gradite le repliche ragionate e documentate, come questa, a tutti gli articoli presenti sul sito Kelebek. Anzi, sono preziose, visto il tipo di critiche che in genere riceve questo sito.




Recensione dell'articolo "Sciamani di plastica" tratto da: "Indiani New Age" di Flavia Buratta.

L'autrice si rivela molto informata su una serie di circostanze e sulla formazione culturale di molti lakota o sedicenti tali, smagando con lucidità certi retroscena meno noti al grande pubblico, ridimensionando il valore e la credibilità della spiritualità contemporanea, risultato del sincretismo culturale tra nativi nord-americani e bianchi discendenti degli/delle immigrati/e europei/e.

Ella ha tuttavia quello spiacevole atteggiamento da antropologa "entomologa", che osserva il fenomeno oggetto dei suoi studi con molto distacco, che giudica con un certo senso di superiorità, quando non addirittura di malcelato disprezzo derisorio, che si può avvertire per esempio nelle parole "Una serie di personaggi che pratica una forma postmoderna di sciamanesimo" o: "teologia o filosofia della Sacra Pipa in salsa lakota". Ella pare dunque mancare completamente di quel sentimento di partecipazione che ci aspetteremmo da studiosi/e delle ultime generazioni. Del resto il proprio posizionamento umano un po' antiquato è confermato anche dallo specialismo asettico della trattazione, lontano da quella concezione olistica del sapere, da un'antropologia comparata, perché no anche un po' affabulatoria, che meglio intrigherebbe noi comuni umani/e.

La mancata partecipazione animica produce peraltro effetti che non ci aspetteremmo da una ricercatrice così attenta, tipo l'inefficace traduzione di "Ghost Dance" in "Danza degli Spettri", anziché nella più letterale e fedele espressione "Danza degli Spiriti", e la mancata notazione dell'intrigante somiglianza tra Maka generatrice di ogni sorta di entità maligne e Gea madre dei Titani e di Tifone.

Ma seguiamo la trattazione passo passo.

Sarebbe stato interessante precisare, nella premessa storica, che il "primitivismo culturale" che Lovejoy e Boas (1965) trovarono "uno dei più strani, potenti e persistenti fattori del pensiero europeo" non è per niente strano. Strano semmai è un certo evoluzionismo positivista di equivoca ideologia che ha caratterizzato brevi tempi a noi più vicini. Gli antichi greci avevano una concezione pessimista dell'origine della civiltà, ancora condivisa in età moderna (es. cultura fiorentina - Piero di Cosimo e Pietro da Cortona, di straordinaria efficacia iconografica). Alla felice e selvaggia età dell'oro sarebbe succeduta quella agricola dell'argento, ancora vivibile, poi le terribili età del bronzo e del ferro). E i greci ne avevano ben donde di lamentare lo scontento per la loro civiltà; per esempio l'evidenza archeologica mostra come la tanto vantata democrazia sia stata afflitta dalla corruzione sin dai suoi esordi ateniesi (cfr. antichissimi ostraka prodotti in serie). La vita degli/delle occidentali è davvero spiacevolmente inautentica, come sostiene Åke Hultkrantz, emulo di Strabone, ispirata com'è a cliché comportamentali eterodiretti che hanno toccato il fondo con l'ottocentesco "decoro borghese.

Giustissime le osservazioni sul sincretismo culturale e cultuale della civiltà nativo nordamericana degli ultimi due secoli; avrebbe offerto però coordinate più oneste almeno un accenno a come effettivamente la colonizzazione europea abbia indotto un'accelerazione senza precedenti, anche nella cultura materiale, e come fosse quindi praticamente inevitabile un'influenza europea in ogni campo della vita indiana. Il museo d'antropologia di Vancouver illustra assai bene come i totem poles e le stesse long houses del XIX secolo siano il risultato di imprescindibili, per quanto elementari, acquisizioni tecnologiche esterne (vernici policrome, sega, ecc…).

La parzialità degli orizzonti emerge anche dall'assenza di un seppur minimo accenno al cross-genderismo cultuale, caratteristica invece assai interessante e viva ancor oggi in certe tribù (es. Hopi, Navajo), purtroppo periodicamente funestate da eventi di cronaca nera i cui attori sono invariabilmente giovinastri WASP, evidentemente di scarsissima cultura. Questi delitti sì che meriterebbero uno studio antropologico sull'intolleranza delle diversità, specie se multiple, come nel caso di soggetti trans-gender animisti, cioè diversità radicalmente destrutturanti certe costruzioni sociali WASP.

L'accenno all'interesse suscitato dagli indiani persino in Svezia (dove ci si potrebbe piuttosto preoccupare di più di trattar meglio i Sami, unico popolo nativo presente nella UE) poteva ampliarsi da Åke Hultkrantz alla nostra contemporanea principessa Maori Erena Rangimarie Rere Omaki che lì vive e che s'interessa anche appunto di sciamanismo nordamericano (che ella trova affine per molti aspetti alla sua tradizione cultuale), tentando con veemenza di contaminare la cultura occidentale con la spiritualità animista, con incontri multiculturali, con rappresentanza anche lakota.

Contaminazione, meticciato, queste son parole promettenti; ben vengano pentoloni dove rimestare ecologia, femminismo, cultura queer, animismo multitradizionale, ecc…). Tutto questo è semplicemente vita vissuta mettendosi in gioco in prima persona e non tradizione ossificata per venire incontro alle aspettative della clientela turistica o alla linearità filologica così comoda agli antropologi asettici.

L'autrice afferma: "per molti è difficile ammettere che gli indiani, e in genere i popoli non occidentali, aggiustano il loro repertorio culturale alla modernità come chiunque altro". Non lo è certo per chi scrive questa recensione, che ammira tantissimo proprio la maggior facilità di adeguamento alla modernità, rispetto al monoteismo, da parte di tradizioni animiste e politeiste millenarie; i giapponesi che affollano i giardini con le loro fotocamere digitali di ultimissima generazione per riprendere la fioritura dei pruni, dei ciliegi, o l'arrossamento degli aceri, non sono spiritualmente dissimili dai loro predecessori armati di pennelli e rotoli di carta; la loro etica è lo stesso UKIYOE: "essere come una zucca vuota che galleggia sulla corrente dell'acqua" (Asai Ryoi - 1662 e.v.), cioè essere in balia di un mondo fluttuante, di cui vanno goduti i piaceri effimeri e anche accettata la modernità.

Un indiano, per sopravvivere nel mondo attuale, "deve essere sia bianco che indiano" (Powers, 1990: 149). Consiglio anche agli/alle occidentali questa identità plurima e soprattutto l'adozione della bi-logica di Matte Blanco, senza la quale tanto l'antropologia quanto la vita son condannate a un disdicevole riduttivismo, ad esser fedeli a oltranza alla loro indesiderabile rigidità.


Settembre 2004
Quartilla Eleuteria Pagano
PaganiQueer c/o P.A. IREOS
Via de' Serragli 3
50126 Firenze


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