Per un bilancio categoriale marxista della storia del comunismo storico novecentesco

(1917-1991)

III parte
 



Per agevolare la lettura, questo articolo di Costanzo Preve, apparso per la prima volta sulla rivista Praxis è stato diviso in dieci parti.

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8. La rivoluzione russa del 1917 fu dunque un atto assolutamente legittimo, comprensibile ed anche ammirabile. Tacito e Tucidide non ci avrebbero trovato nulla di male, e si sarebbero anzi stupiti che soltanto i russi siano riusciti a presentare il conto del grande macello 1914-1918 alle orribili borghesie imperialiste che lo avevano integralmente voluto e reso possibile. Ma per loro fortuna Tacito e Tucidide non erano ancora "marxisti", ed a nessuno di loro sarebbe venuto in mente la stranezza per cui una rivoluzione sociale è solo possibile ad un certo grado di sviluppo delle forze produttive. Se un antico Karolos Kautskius, antenato germanico di Kautsky, avesse fatto questa obiezione in greco a Tucidide ed in latino a Tacito, avrebbe probabilmente avuto in risposta una liberatoria risata ellenico-quiritica. Naturalmente, Gramsci ebbe ragione al 100% quando parlò di rivoluzione contro il Capitale (cioè contro il Capitale di Marx trasformato da Kautsky in testo positivistico-evoluzionistico), ma questa rimase poco più di una intelligente battuta, perché in realtà i marxisti misero subito a tacere il loro cuore ortodosso dicendo che ormai le rivoluzioni si facevano (o almeno si cominciavano) non più nei punti alti dello sviluppo industriale capitalistico mondiale, ma negli anelli deboli della catena mondiale imperialistica. Nei termini (a mio avviso correttissimi) della teoria di Kuhn delle rivoluzioni scientifiche come cambio di paradigma, si trattava non di una rivoluzione scientifica, ma di un esempio classico di "aggiunta ad hoc" per salvare il vecchio paradigma. Ma questo non fa che incrementare la falsa coscienza ideologica, nemica dell'innovazione scientifica. Il movimento comunista novecentesco avrebbe pagato caramente questa timidezza e questo conservatorismo teorici.

9. Passiamo ora al secondo punto promesso in un precedente paragrafo. So bene che le interpretazioni del comunismo storico novecentesco (1917-1991) sono parecchie decine, per riferirci soltanto alle più intelligenti e degne di analisi. Ma per ragioni di chiarezza e di brevità mi limiterò ad esaminarne soltanto quattro, già accennate in precedenza.

10. La prima interpretazione del comunismo storico novecentesco è quella che definirei (un po' impropriamente) borghese-capitalistica, quella cioè che nega al comunismo qualunque legittimità, storica, politica, economica o filosofica che sia. essa ovviamente presenta molte varianti, fascista, liberale, laica, religiosa, eccetera. Queste varianti sono diverse, ed è bene segnalarne la diversità, ma esse hanno in comune due elementi importanti, il fatto cioè di connotare il comunismo in termini di utopia e di totalitarismo, cioè di utopia totalitaria. Karl Popper ed Anna Arendt sono coloro che a mio avviso hanno espresso questo concetto in modo filosoficamente più completo, ma non sono stati certo i soli. A fianco delle quattro varianti sopra indicate (fascista, liberale, laica e religiosa) c'è però una quinta variante, quella a mio avviso incondizionatamente più interessante e più rivelatrice, quella degli ex-comunisti delusi. Ora, tutte le religioni hanno fisiologicamente degli eretici, degli apostati e degli atei, e sarebbe strano che il comunismo non ne avesse, anche per la particolare brutalità e ferocia (erroneamente considerata materialistica, plebea e proletaria) tipica degli scontri fra cordate politiche di comunisti. Ma il comunismo ha storicamente una particolarità, e cioè il fatto che mentre gli altri sistemi sociali cominciano a puzzare generalmente dai piedi (fuor di metafora, dalle situazioni sfavorite in fondo alla scala sociale), il comunismo invece comincia sempre a puzzare dalla testa, cioè dal nichilismo disperato dei suoi dirigenti. Sfido qualunque storico a trovare l'equivalente di questa affermazione virgolettata di Michail Gorbaciov (cfr. La Stampa, 26-8-02: "Io non invito a tornare al comunismo, perché ritengo quell'utopia ormai esaurita", detto in occasione della conferenza mondiale di Johannesburg). Se pensiamo che Gorbaciov è stato il comunista ufficialmente più potente e più importante del mondo dal 1985 al 1991, è come se un papa cattolico dicesse: "Cari fedeli, è vero che se ci fosse Dio tutto sarebbe più sensato, perché i buoni verrebbero premiati ed i cattivi puniti, ma purtroppo le ultime scoperte dell'astrofisica e della genetica ci costringono a rinunciare a questa superstizione prescientifica". Ebbene, sarebbe esattamente lo stesso, ma appunto non avverrebbe mai, perché storicamente soltanto il comunismo ha saputo produrre ultimi uomini tanto cristallini e nichilisti tanto compiuti.

Ne indagheremo più avanti le ragioni. Per ora basta notare che l'incredibile Gorby ha semplicemente riproposto l'equazione comunismo = utopia, che conviene brevemente esaminare.

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