3. La necessità di un
approccio marxista a 120 anni di storia dei marxismi conflittuali
A quasi 120 anni dalla nascita
del primo marxismo storicamente costituitosi (la sintesi sistematica di Engels
nello Anti-Dühring) è impressionante, e nello stesso tempo purtroppo
rivelatore, la mancanza della consapevolezza per cui anche (e soprattutto) al
marxismo deve essere applicato il metodo marxista. Tutti gli psicoanalisti
sanno che anche Freud si è fatto psicoanalizzare, e che in ogni caso questo
passaggio era forse spiacevole, ma anche necessario. L’approccio
ideologico-religioso del marxista medio è invece opposto, e si basa sul
presupposto che tutti i fenomeni storici dovrebbero essere esaminati con il
metodo marxista, al di fuori del marxismo stesso, cui si applica invece il
metodo pretesco e sacerdotale tradizionale, e cioè: da un lato noi, che abbiamo
ragione, perché siamo fedeli a Marx, alla classe operaia e proletaria, ecc.,
dall’altro lato gli altri, che sono via via borghesi, piccolo-borghesi,
revisionisti, estremisti, ecc..
Questo approccio è demenziale nel
suo settarismo e nella sua produzione di falsa coscienza identitaria. Nello
stesso tempo, questo approccio demenziale non potrà mai essere superato, ed
infatti fino ad oggi non è stato superato, fino a che si accetterà e si
introietterà come dato inevitabile la scissione fra due mondi, il mondo
militante del rapporto fra dirigenti politici e base di questi dirigenti ed il
mondo intellettuale in cui viene creato una specie di zoo-parco protetto, in
cui è possibile elaborare qualsiasi concezione politica, economica e filosofica
con il presupposto però che sia del tutto irrilevante per l’unica cosa
ritenuta realmente seria, e cioè la Linea Politica delegata a dirigenti
professionalizzati ed avallata da militanti identitari e creduloni.
Bisogna comprendere bene perché
ogni possibile soluzione è bloccata. Ogni soluzione è bloccata non certo perché
gli intellettuali siano a priori migliori dei politici di professione (spesso è
anzi vero il contrario), ma perché i dirigenti di professione elaborano una
Linea Politica a partire da una Tattica, e mai da una Strategia. Naturalmente,
a volte dicono a parole di avere anche una strategia (in breve, l’alleanza di
classe di lungo periodo per propiziare una transizione inter-modale fra
capitalismo e comunismo), ma questo non è quasi mai vero, per il fatto che il
gruppo sociale specifico dei dirigenti politici deve essere anche lui indagato
con metodo marxista, e da questo risulta che esso è composto da gente che vive
dei privilegi offertigli dal sistema politico (parlamentare, stipendiale,
pensionistico, ecc.) di tipo capitalistico. Questo fu studiato per la prima
volta da Roberto Michels, ed il fatto che si finga sempre di non conoscere le
conclusioni impeccabili cui Michels arrivò è un segno della rimozione, o meglio
della falsa coscienza necessaria che regna nel mondo magico-mitico dei
marxisti. Gli intellettuali di professione vivono molto spesso di Illusioni,
mentre i politici di professione vivono quasi sempre di Tattica. Ciò appare
evidente non appena si applica a questi due gruppi sociali il metodo di Marx,
per cui l’essere sociale determina la coscienza.
Fatta questa premessa, destinata
ad essere inglese e francese per il lettore medio, ma anche essere armeno e
turco (cioè incomprensibile) per gli intellettuali e i politici di professione,
è bene avere chiaro che quando si parla di marxismo si allude in realtà a tre
classi di fenomeni culturali ed ideologici distinti: un evoluzionismo
positivistico, un’ideologia identitaria ed una libera pratica culturale
anticapitalistica. E’ necessario esaminarli separatamente per non incorrere in
confusioni pittoresche.
In quanto evoluzionismo
positivistico, sorto fra il 1875 ed il 1890 e poi mai più veramente riformato
ma sempre e soltanto aggiornato, il marxismo è una concezione del mondo ormai
sorpassata, incorreggibile ed improponibile, e che per poter essere mantenuta
nelle sue due intenzioni critiche (anticapitalistica e comunista) deve essere
“rivoluzionata”, e non solo riformata o riaggiornata. Nel linguaggio
dell’epistemologo Kuhn, che personalmente approvo ed adotto, il marxismo è
dentro una crisi scientifica tale che non ne uscirà senza una vera rivoluzione
scientifica. Questo evoluzionismo positivistico si basa su tre fondamenti tutti
e tre insostenibili: una forma di economicismo (centralità della teoria del
valore-lavoro e non dei rapporti sociali complessivi di produzione e
riproduzione); una forma di storicismo (grande-narrazione progressista di tipo
unilineare, e pertanto eurocentrico allargato a macchia d’olio); una forma di
utopismo (e cioè una concezione naturalistica ed organicistica del comunismo, più
esattamente una concezione naturalistica dei bisogni ed organicistica del
rapporto fra società ed individuo).
Questo evoluzionismo
positivistico rifiuta la conoscenza filosofica, unica alternativa dialogica
alla religione ed alla ideologia, ritenendola del tutto “assorbita” nella
scienza e nella conoscenza scientifica, e connota con la dicitura impropria di
“materialismo” (storico e/o dialettico) la somma di economicismo, storicismo ed
utopismo. Un simile pasticcio non può più essere solo aggiornato e riformato,
ma deve essere radicalmente rivoluzionato. Le speranze di farlo in un tempo
ragionevole sono a mio avviso minime, per la triplice resistenza delle comunità
universitarie, che vogliono solo specialismi accademici e non un sapere sociale
unitario incompatibile con i loro specialismi, dei gruppi dirigenti dei
politici di professione, che vogliono un’ideologia identitaria di mobilitazione
facilmente spendibile sul mercato politico, ed infine della stragrande
maggioranza dei militanti di base, che vogliono mantenere illusioni religiose
totalmente false che nutrano però orizzonti a breve termine capaci di dare un
senso ai sacrifici della militanza.
In quanto ideologia identitaria
di gruppetti di “comunisti” di vario tipo (trotzkisti, maoisti, bordighisti,
operaisti, togliattiano-stalinisti, confusionario-eclettico-noglobal-newglobal,
ecc.) il marxismo non ha nessun valore conoscitivo, ma solo di bandiera
organizzativa. Dal momento che il pesce puzza dalla testa e non dalla coda, e
questa metafora acquatica vale anche per il marxismo, è bene ricordare che la
responsabilità principale di questa degradazione ideologica ed identitaria del
marxismo non va addebitata principalmente ai gruppetti fondamentalisti prima
ricordati, che senza paranoia identitaria si scioglierebbero come gelati al
sole, ma deve essere ricondotta alla corrente principale del comunismo storico
novecentesco, staliniana nel mondo e togliattiana in Italia. Fu questa corrente
principale fino dagli anni Venti a trasformare il marxismo in bandiera
ideologica identitaria connotando come “nemico del popolo” ogni dissenziente
razionale.
In quanto libera pratica
culturale anticapitalistica il marxismo ovviamente è vivo, è stato vivo, sarà
vivo e non potrà mai morire, almeno fino a quando non sarà sostituito da una
sintesi complessiva più convincente. Ne siamo ancora lontani. Chiunque abbia un
senso delle proporzioni ed una consapevolezza epistemologica sana sa
perfettamente che una somma di critiche, anche convincenti e pertinenti, non fa
ancora una teoria migliore. Chi scrive, ad esempio, ne è perfettamente
consapevole, e per questo non si illude affatto di essere “oltre Marx”, ma
ritiene semplicemente di trovarsi criticamente dentro la prospettiva aperta da
Marx e non ancora veramente superata.
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