Centoventi anni dalla morte di Karl Marx (1883-2003)

Un’occasione per una discussione a tutto campo e per una proposta di autoconvocazione

III parte

 



Per agevolare la lettura, questo articolo di Costanzo Preve è stato diviso in sette parti, più un'introduzione.

All'introduzione

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3. La necessità di un approccio marxista a 120 anni di storia dei marxismi conflittuali

A quasi 120 anni dalla nascita del primo marxismo storicamente costituitosi (la sintesi sistematica di Engels nello Anti-Dühring) è impressionante, e nello stesso tempo purtroppo rivelatore, la mancanza della consapevolezza per cui anche (e soprattutto) al marxismo deve essere applicato il metodo marxista. Tutti gli psicoanalisti sanno che anche Freud si è fatto psicoanalizzare, e che in ogni caso questo passaggio era forse spiacevole, ma anche necessario. L’approccio ideologico-religioso del marxista medio è invece opposto, e si basa sul presupposto che tutti i fenomeni storici dovrebbero essere esaminati con il metodo marxista, al di fuori del marxismo stesso, cui si applica invece il metodo pretesco e sacerdotale tradizionale, e cioè: da un lato noi, che abbiamo ragione, perché siamo fedeli a Marx, alla classe operaia e proletaria, ecc., dall’altro lato gli altri, che sono via via borghesi, piccolo-borghesi, revisionisti, estremisti, ecc..

Questo approccio è demenziale nel suo settarismo e nella sua produzione di falsa coscienza identitaria. Nello stesso tempo, questo approccio demenziale non potrà mai essere superato, ed infatti fino ad oggi non è stato superato, fino a che si accetterà e si introietterà come dato inevitabile la scissione fra due mondi, il mondo militante del rapporto fra dirigenti politici e base di questi dirigenti ed il mondo intellettuale in cui viene creato una specie di zoo-parco protetto, in cui è possibile elaborare qualsiasi concezione politica, economica e filosofica con il presupposto però che sia del tutto irrilevante per l’unica cosa ritenuta realmente seria, e cioè la Linea Politica delegata a dirigenti professionalizzati ed avallata da militanti identitari e creduloni.

Bisogna comprendere bene perché ogni possibile soluzione è bloccata. Ogni soluzione è bloccata non certo perché gli intellettuali siano a priori migliori dei politici di professione (spesso è anzi vero il contrario), ma perché i dirigenti di professione elaborano una Linea Politica a partire da una Tattica, e mai da una Strategia. Naturalmente, a volte dicono a parole di avere anche una strategia (in breve, l’alleanza di classe di lungo periodo per propiziare una transizione inter-modale fra capitalismo e comunismo), ma questo non è quasi mai vero, per il fatto che il gruppo sociale specifico dei dirigenti politici deve essere anche lui indagato con metodo marxista, e da questo risulta che esso è composto da gente che vive dei privilegi offertigli dal sistema politico (parlamentare, stipendiale, pensionistico, ecc.) di tipo capitalistico. Questo fu studiato per la prima volta da Roberto Michels, ed il fatto che si finga sempre di non conoscere le conclusioni impeccabili cui Michels arrivò è un segno della rimozione, o meglio della falsa coscienza necessaria che regna nel mondo magico-mitico dei marxisti. Gli intellettuali di professione vivono molto spesso di Illusioni, mentre i politici di professione vivono quasi sempre di Tattica. Ciò appare evidente non appena si applica a questi due gruppi sociali il metodo di Marx, per cui l’essere sociale determina la coscienza.

Fatta questa premessa, destinata ad essere inglese e francese per il lettore medio, ma anche essere armeno e turco (cioè incomprensibile) per gli intellettuali e i politici di professione, è bene avere chiaro che quando si parla di marxismo si allude in realtà a tre classi di fenomeni culturali ed ideologici distinti: un evoluzionismo positivistico, un’ideologia identitaria ed una libera pratica culturale anticapitalistica. E’ necessario esaminarli separatamente per non incorrere in confusioni pittoresche.

In quanto evoluzionismo positivistico, sorto fra il 1875 ed il 1890 e poi mai più veramente riformato ma sempre e soltanto aggiornato, il marxismo è una concezione del mondo ormai sorpassata, incorreggibile ed improponibile, e che per poter essere mantenuta nelle sue due intenzioni critiche (anticapitalistica e comunista) deve essere “rivoluzionata”, e non solo riformata o riaggiornata. Nel linguaggio dell’epistemologo Kuhn, che personalmente approvo ed adotto, il marxismo è dentro una crisi scientifica tale che non ne uscirà senza una vera rivoluzione scientifica. Questo evoluzionismo positivistico si basa su tre fondamenti tutti e tre insostenibili: una forma di economicismo (centralità della teoria del valore-lavoro e non dei rapporti sociali complessivi di produzione e riproduzione); una forma di storicismo (grande-narrazione progressista di tipo unilineare, e pertanto eurocentrico allargato a macchia d’olio); una forma di utopismo (e cioè una concezione naturalistica ed organicistica del comunismo, più esattamente una concezione naturalistica dei bisogni ed organicistica del rapporto fra società ed individuo).

Questo evoluzionismo positivistico rifiuta la conoscenza filosofica, unica alternativa dialogica alla religione ed alla ideologia, ritenendola del tutto “assorbita” nella scienza e nella conoscenza scientifica, e connota con la dicitura impropria di “materialismo” (storico e/o dialettico) la somma di economicismo, storicismo ed utopismo. Un simile pasticcio non può più essere solo aggiornato e riformato, ma deve essere radicalmente rivoluzionato. Le speranze di farlo in un tempo ragionevole sono a mio avviso minime, per la triplice resistenza delle comunità universitarie, che vogliono solo specialismi accademici e non un sapere sociale unitario incompatibile con i loro specialismi, dei gruppi dirigenti dei politici di professione, che vogliono un’ideologia identitaria di mobilitazione facilmente spendibile sul mercato politico, ed infine della stragrande maggioranza dei militanti di base, che vogliono mantenere illusioni religiose totalmente false che nutrano però orizzonti a breve termine capaci di dare un senso ai sacrifici della militanza.

In quanto ideologia identitaria di gruppetti di “comunisti” di vario tipo (trotzkisti, maoisti, bordighisti, operaisti, togliattiano-stalinisti, confusionario-eclettico-noglobal-newglobal, ecc.) il marxismo non ha nessun valore conoscitivo, ma solo di bandiera organizzativa. Dal momento che il pesce puzza dalla testa e non dalla coda, e questa metafora acquatica vale anche per il marxismo, è bene ricordare che la responsabilità principale di questa degradazione ideologica ed identitaria del marxismo non va addebitata principalmente ai gruppetti fondamentalisti prima ricordati, che senza paranoia identitaria si scioglierebbero come gelati al sole, ma deve essere ricondotta alla corrente principale del comunismo storico novecentesco, staliniana nel mondo e togliattiana in Italia. Fu questa corrente principale fino dagli anni Venti a trasformare il marxismo in bandiera ideologica identitaria connotando come “nemico del popolo” ogni dissenziente razionale.

In quanto libera pratica culturale anticapitalistica il marxismo ovviamente è vivo, è stato vivo, sarà vivo e non potrà mai morire, almeno fino a quando non sarà sostituito da una sintesi complessiva più convincente. Ne siamo ancora lontani. Chiunque abbia un senso delle proporzioni ed una consapevolezza epistemologica sana sa perfettamente che una somma di critiche, anche convincenti e pertinenti, non fa ancora una teoria migliore. Chi scrive, ad esempio, ne è perfettamente consapevole, e per questo non si illude affatto di essere “oltre Marx”, ma ritiene semplicemente di trovarsi criticamente dentro la prospettiva aperta da Marx e non ancora veramente superata.




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