"Da una parte, io e due zingare
dall'altra, il mondo intero"

III parte
 



Per agevolare la lettura, questo articolo di Miguel Martinez è stato diviso in dodici parti.

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Il peggiore di tutti i falsificatori dei fatti di Lecco è stato Bruno Vespa, con la devastante potenza mediatica di cui gode (non dimentichiamo come creò dal nulla il "musulmano cattivo", Adel Smith). Il 10 febbraio, Porta a Porta è stato dedicato a due casi: quello di Lecco e la sentenza del giudice Clementina Forleo. Purtroppo non ho registrato la trasmissione, ma ricostruisco a memoria gli elementi fondamentali, perché sono ricchi di insegnamenti sul mondo in cui viviamo.

Lo spettacolo era su due piani: da una parte, un elegante e amichevole duello tra destra e sinistra; dall'altra, un feroce massacro compiuto congiuntamente da destra e sinistra contro le romnijà di Lecco e contro Muhammad Daki, un giovane marocchino che era stato appena assolto dall'accusa di terrorismo internazionale.



Chi getta le premesse dei discorsi, ovviamente li controlla.

A Porta a Porta, la discussione era:

premesso che gli zingari rubano bambini e che i marocchini mettono bombe, i magistrati che li lasciano liberi sono rappresentativi di tutta la magistratura o sono mele marce? A tutti i telespettatori d'Italia scegliere.

Lo sfondo dietro Vespa infatti è un fermo-immagine demenziale dello stesso Daki, forse scelto per somigliare a una foto di Osama bin Laden. Se somiglia a bin Laden, deve essere colpevole, no? Ma durante la trasmissione, Daki viene intervistato nello studio del suo avvocato, Vainer Burani. Scopriamo così che Muhammad Daki è un ragazzo dal viso simpatico, che non somiglia per nulla al pauroso mostro che campeggiava alle spalle di Vespa.

Per creare un equilibrio apparente sono presenti, per la destra, Roberto Calderoli, per la sinistra Di Pietro.

Veramente illuminanti, a proposito della contrapposizione Polo/Ulivo, le risate complici con cui entrambi istigano Vespa a infierire su Daki: Vespa, con battute, insulti, prese in giro, cerca infatti di provocare Daki. Con la sua incommensurabile superiorità linguistica e di esperienza mediatica, Vespa presenta Daki come un terrorista, giudizio condiviso con entusiasmo da Di Pietro. Di Pietro, per quel poco che riesce a dire tra le risate, sostiene che lui personalmente avrebbe certamente condannato Daki. E soprattutto, il pubblico non si preoccupi, non tutti i magistrati italiani sono come la Forleo.

Vespa passa poi a parlare dell'episodio di Lecco. Per tre o quattro volte, parla esplicitamente delle "nomadi" o delle "zingare" che "hanno cercato di portare via una bambina" a Lecco. E' interessante vedere come Vespa si fermi di fronte all'ovvia definizione delle signore in questione come rumene: è un termine che Vespa non adopera mai. Non esiste l'ambasciatore dei "nomadi", ma quello dei rumeni sì, e potrebbe magari pure protestare.

La sceneggiatura demonizzante è in un certo senso geniale: c'è un'intervista, segnata da profonda simpatia e condivisione, con la madre e il padre della bambina, ripresi di spalle "per evidenti motivi". Così, si cerca di far risaltare la minaccia assolutamente inesistente che graverebbe sulle teste dei due. Ma c'è anche un altro elemento più sottile: proprio perché non si vedono i loro visi, i due diventano tutti i giovani genitori d'Italia, tutti ugualmente minacciati, prima dal terrorista marocchino e adesso dalle zingare rapitrici.

La madre dice che la "nomade" è arrivata "a una decina di centimetri" dalla bambina che era nel passeggino. La madre dice di aver preso al volo in braccio la bambina, senza specificare come abbia fatto a slegarla in un istante. Chiunque abbia slegato un bambino da un passeggino sa che non è un'operazione istantanea, e quindi viene da sospettare un po' di confusione da parte sua.

Straordinaria la prova che la madre più volte porta a dimostrazione delle intenzioni delle romnijà: non hanno rubato la sua borsa, "quindi cos'altro potevano volere"? Fermiamoci un attimo. Se una zingara non ruba, vuol dire che ha in mente qualcosa di peggiore. Poi ci si chiede perché gli zingari non trovano lavoro. Anche se sarebbe più corretto dire che gli zingari che hanno la fortuna di trovare un lavoro evitano di dire di essere zingari...

Poi il colpo di scena: il marito che dice di aver visto - cioè qualcuno che conosce gli avrebbe detto di aver visto - le stesse romnijà nel suo quartiere il giorno dopo, "sicuramente" lì per rapirgli di nuovo la bambina. Quella bambina evidentemente interessa l'Internazionale Rom.

Infine, la voce della scienza: Simonetta Matone, della procura minorile di Roma, dice, "non voglio alimentare leggende metropolitane" e poi le alimenta nella maniera più subdola:

"...però quando vengono fermati, spesso non si riesce a stabilire di chi sono figli".
C'è una mezza verità assolutamente fuorviante in questa dichiarazione. Chiunque abbia una minima dimestichezza con storie di immigrati conosce gli incredibili stratagemmi che sono richiesti per risolvere problemi, che nemmeno esistono per i cittadini italiani.

Pensiamo a una donna che abbia un permesso di soggiorno in regola, ma che nasconda a casa sua il fratello clandestino e il figlio di lui. Se la polizia ferma per strada la donna con suo nipote, è molto probabile che la donna dirà che è il proprio figlio.

In tutta la trasmissione, nessuna voce, nessuna, nessuna, che si alzasse per condannare la mostruosa calunnia dei "rapimenti dei bambini".

Ma tutto questo, lo spettatore medio non lo vedeva nemmeno, e questa è forse la cosa più terribile: vedeva solo una banale polemichetta tra destra e sinistra sulla magistratura. Non poteva cogliere il linciaggio dell'immigrato marocchino, perché è ovvio che gli immigrati marocchini sono tutti terroristi; e per lo spettatore medio, che gli zingari rubino i bambini è ovvio quanto poteva essere una volta pensare che gli ebrei li sacrifichino a Pasqua, o come il cittadino medio dell'Alabama sapeva che i negri stuprano le belle donne bianche.

Non c'era nulla di strano, e proprio questo è terribile. La banalità del male.

Ma perché il male è così banale e ovvio?



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