Il grande complotto islamonazicomunista
 



immagine tratta dal sito dell'Anti Llama League




Miguel Martínez

Questo articolo è uscito per la prima volta sul numero 16 - settembre 2003 - della rivista Rosso XXI (via Del Papa 98, 50053 Empoli, FI, e-mail rossoventunesimo@tin.it). La rivista è anche consultabile online.      




Vigilia del Social Forum di Firenze. Da quasi un anno, la stampa, prima locale e poi nazionale, si era dedicata con entusiasmo a descrivere la prossima devastazione della città da parte delle orde barbare.

Il 29 ottobre del 2002, Libero, il quotidiano di Vittorio Feltri, rivelò in prima pagina esattamente chi muoveva le fila del sacco di Firenze: non mercanti d’arte con pochi scrupoli, ma un terrificante fronte islamonazicomunista.

In prima pagina, sopra un’inserzione che pubblicizzava il “Calendario Mussolini 2003”, troneggiava il titolo: “ I no global nuova arma di Allah ”.

Nello stesso numero del quotidiano, un certo Franco Mauri, sotto il titolo “Lasciateli liberi di sfasciare il David” si lamentava sarcasticamente della presunta arrendevolezza delle autorità:

“L’ideale sarebbe la decapitazione del David di Donatello, l’imbrattamento della Sala di Palazzo Vecchio, la devastazione con furto degli Uffizi”.

Nell’editoriale, Renato Farina commentava:

“Una faccenda simile non dovrebbe far gola a chi ci vorrebbe in ginocchio e detesta la nostra arte, classica e cristiana?
Ed ecco ora le rivelazioni di Libero. C’è un tentativo in atto di congiungere forze fondamentaliste islamiche e compagini marxiste, oltre che oscuri gruppi nazi-comunisti, per ‘spianare l’asse Bush-Blair-Berlusconi.”

Inutile dire che il contenuto dell’articolo, come può intuire chiunque si ricordi di come si è svolto effettivamente il Forum Sociale, era pura fuffa. Ma quello che interessa è proprio il riferimento, tutt’altro che isolato, al presunto complotto islamonazicomunista.

Il Complotto islamonazicomunista si costruisce con molta semplicità: si prende un tot di musulmani, un tot di nazisti e un tot di comunisti, veri o presunti. Poi si mette tutto insieme, ed ecco che l’esistenza simultanea di fatti isolati dimostra l’esistenza del complotto. Si tratta di un meccanismo che incontriamo ogni giorno: se si parla della Palestina, si mettono insieme gli islamisti di Hamas, le simpatie filogermaniche del Mufti al-Husseini, morto mezzo secolo fa e la partecipazione la settimana scorsa di “comunisti” a un corteo di sostegno al popolo palestinese.



Il complotto e lo scontro di civiltà

Il Complotto islamonazicomunista non va sottovalutato: esso costituisce la giustificazione stessa dell’impero americano, esattamente come la salvezza dal complotto ebraico costituiva la giustificazione del nazismo reale.

Questo complotto è un derivato dello slogan, “scontro di civiltà”. Dico slogan e non teoria, perché si tratta di un prodotto analogo a quelli pubblicitari: basti pensare che Samuel Huntington, l’autore dell’espressione, ha finora ricevuto cinque milioni di dollari da varie fondazioni neo-conservative statunitensi, strettamente legate al complesso militare/industriale/politico/finanziario. Lo scontro di civiltà è diventato un paradigma che non riguarda solo i lettori del libro di Huntington: è un luogo comune dei media ed è la bandiera delle casalinghe (leghiste e non) di Voghera.

In sostanza, il concetto di “scontro di civiltà” consiste in una truffa intellettuale. Si pone l’esistenza di una frattura insanabile tra Occidente e non-Occidente. Il target – per usare un termine tecnico del marketing – dello slogan viene definito aprioristicamente come occidentale, per cui non ha molta scelta nel decidere con chi schierarsi: se il mondo fosse davvero un campo di battaglia tra esseri umani ed extraterrestri, esisterebbe ben poca libertà di scelta per noi che abbiamo appena cinque dita per mano e non abbiamo i tentacoli verdi.

Definito il conflitto, non ci resta altro da fare che seguire i nostri generali, infinitamente più saggi di noi, nella speranza che ci salvino: ecco perché il mito dello scontro di civiltà costituisce un prezioso strumento di dominio.



Minigonne, madonne e D’Alema

Le parti si definiscono in una maniera insieme inclusiva ed esclusiva. L’Occidente include parecchie cose: Oriana Fallaci è riuscita a metterci Michelangelo, i grattacieli, il vino, Dante Alighieri, la libertà sessuale, Cristo, le minigonne, Omero, le immagini della Madonna, il Risorgimento, le canzonette, Fidia, le astronavi, e le campane di Santa Maria del Fiore a Firenze. Un’inclusione resa possibile tramite una serie di esclusioni implicite: non solo non si parla di Hiroshima o della schiavitù; si evita di precisare la natura conflittuale delle realtà che vengono accomunate sotto l’etichetta di “Occidente”. Pensiamo ad esempio al vero scontro di civiltà che ci fu tra il mondo pagano degli eredi di Fidia e quello cristiano; oppure tra minigonne e immagini della Madonna.

In questo modo si crea un grandioso ibrido positivo: l’”Occidentale” civile, cristiano, laico, progressista, conservatore, perbene, capitalista, femminista, tradizionalista, pagano, cattolico, ateo, gioiosamente trasgressivo, liberato, disciplinato, lavoratore, creativo, serio, rispettoso… Abbiamo parlato prima del mostruoso ibrido islamonazicomunista, ma, come vedremo, questo non è altro che lo specchio negativo del demoliberalcristiano occidentale. Ecco come un personaggio assai noto si lascia felicemente coinvolgere nell'unità dell'Occidente:

“Commosso. Massimo D'Alema, ex premier: "Dopo gli attentati mi sono detto: ci bombardano. Perché New York, l'America, sono casa nostra".

"Dalle Twin Towers ebbi la percezione più chiara di cosa fosse la globalizzazione. Era il '94, vedevo New York per la prima volta. Salii sulle torri per visitare una grande società finanziaria: la Merrill Lynch. A un desk un paio di ragazzi di colore, molto simpatici, compravano e vendevano titoli pubblici italiani. Capii che da quello che facevano dipendeva buona parte della nostra vita pubblica. Mi dissero che in caso di attentato sarebbe entrata in funzione anche una seconda centrale operativa, in un luogo segreto. Sorridendo pensai: che esagerazione. L'11 settembre, dopo l'attentato, mi sono detto: ci bombardano. Perché New York, l'America, sono casa nostra". [1]

Il Giornale dell’11 novembre 2001 ci riporta invece il testo davvero inclusivo di alcuni striscioni alla manifestazione a sostegno degli USA, indetta dal fiero avversario del sinistro D’Alema, il destro Berlusconi:

- GAYS LOVE AMERICA

- ALL THE WORLD NEEDS IS LOVE

- LOTTA CONTINUA PER GLI STATI UNITI. SOFRI LIBERO

- SE VUOI LA PACE PREPARATI ALLA GUERRA

- PESCARA AMA GLI USA

Anche il non-Occidente viene definito in maniera insieme inclusiva ed esclusiva.



L’islam immaginario

L’anti-Occidente è innanzitutto l’Islam. I musulmani sono molti e a volte anche pittoreschi, almeno secondo i nostri criteri. Sono un perfetto capro espiatorio, perché l’immagine dell’Islam evoca un mostro composito, con tanti elementi che attirano su di sé l’antipatia di settori diversissimi che si riconoscono nell’Occidente: perché nasca un vero odio, il nemico deve essere insieme miserabile, potente e alieno, in modo da risvegliare contemporaneamente disprezzo, invidia e desiderio di sterminio.

Il musulmano immaginario soddisfa tutti questi bisogni: è miserabile quando assume le forme dell’immigrato, è potente quando assume le forme dello sceicco petroliere ed è alieno sempre. E poi scrive da destra a sinistra…


arabo musulmano terrorista


La demonizzazione del musulmano ha una doppia funzione. Una è letterale. Infatti, giustifica le guerre di aggressione contro i paesi del Medio Oriente, mentre l’emarginazione degli immigrati permette oggi il loro sfruttamento, e domani la loro trasformazione in casta, in perenne conflitto con altre caste della nostra società, sul modello americano, che ha trasformato il conflitto di classe in conflitto etnico.

L’altra funzione però è metaforica. La nostra mente riesce a percepire, almeno con facilità, un solo nemico alla volta, e quel nemico deve essere assoluto. Ecco perché l’Occidente demoliberalcristiano deve avere un nemico metafisico assoluto e intercambiabile, applicabile a ogni possibile forma di opposizione. Si tratta chiaramente dello stesso ruolo giocato da Satana in tempi passati. Il Maligno era infatti meravigliosamente polimorfo; era capace nello stesso momento di guidare le orde barbaresche contro la cristianità, le fanciulle verso pensieri impuri, i filosofi verso lo scetticismo, i poveri contro il giusto ordine delle cose e i massoni verso il sovvertimento della società naturale e cristiana.



Il nuovo Satana

Solo che il moderno Satana deve essere laico, o comunque laicamente comprensibile. Deve quindi assumere la forma pseudorazionale del complotto. Il nemico islamico non è in grado di dare conto delle crisi interne all’Occidente: occorre quindi estendere il concetto a un unico grande nemico.

Questo nemico assume varie forme. Nella pratica quotidiana e mediatica si tratta di una serie di combinazioni di tre parole: islam, comunismo, nazismo.

Si ha una difficoltà tremenda a capire la differenza tra l’uso metaforico di un termine, e il suo significato reale. I simboli restano, mentre il loro significato cambia continuamente: San Martino, messo a morte come obiettore di coscienza, divenne in seguito il patrono dei militari perché era stato un soldato. Ma i suoi cultori continuarono a venerarlo.

Non confondiamo quindi i fenomeni storici reali che vanno sotto il nome di islam, di nazismo o di comunismo con il valore simbolico che i tre fenomeni hanno attualmente.



Il comunismo immaginario

L’anticomunismo ai tempi della Guerra fredda aveva funzioni diverse da quelle che ha oggi. Serviva allora soprattutto a giustificare le immense spese militari della NATO e la feroce repressione dei movimenti contadini del Terzo Mondo. Oggi queste funzioni sono in parte cambiate: se la sorte dei movimenti contadini è sempre tragica – si pensi alla Colombia – l’anticomunismo in Occidente ha assunto una funzione positiva. Non si tratta più di paventare minacce militari: questo ruolo viene svolto dall’Islam. Il comunista immaginario è un animale composito. In parte è il sovversivo spaccavetrine, ma soprattutto è il grigio burocrate brezhneviano. Infatti, la storia dei paesi che si sono definiti comunisti dimostrerebbe che non esiste alcuna alternativa al liberismo globale. Perciò non esiste alcuna alternativa politica; quindi la gestione della cosa pubblica deve restare all’interno di un sistema bipolare, che a sua volta può fare scelte puramente amministrative, e di un unico tipo. Un sistema di controllo sociale altamente sofisticato, quindi.



karl marx antisemita

Immagine tratta da un sito che attacca "Marx razzista antisemita"


Il nazismo immaginario

Il terzo elemento del complotto è il nazismo metaforico. Qui non mi interessa affatto parlare del governo reale di Adolf Hitler. Ci sono aspetti ormai arcaici – il culto della disciplina industriale-militare preconsumista, l’uso di mitologie romantiche, ad esempio, che potevano funzionare potentemente nel mondo di settant'anni fa, ma che oggi potrebbero trovare qualche parallelo solo in qualche sfortunatissimo e innocuo paese del Terzo Mondo. Per altri versi, il nazismo aveva aspetti estremamente moderni. Era una società capitalista dominata da un apparato che univa grandi interessi privati, la ricerca, la politica e il mondo militare, attorno a progetti imperialistici: potrebbe essere la descrizione della guardia pretoriana che oggi domina negli Stati Uniti.


soldati USA


Guarda caso, l'antinazismo contemporaneo sottolinea sempre il primo aspetto del nazismo e tace del secondo; per cui non può servire assolutamente come guida attendibile alla comparsa di un vero pericolo analogo a quello nazista. L'antinazista di oggi denuncia con sdegno le svastiche disegnate sulle panchine da adolescenti annoiati, mentre tace sull'equivalente moderno dei Krupp o dell'invasione della Polonia. Farebbe bene a queste persone rileggere quel vecchio, ma attualissimo testo che è Fascismo e gran capitale, scritto nel lontano 1936 da Daniel Guérin.

I termini “fascismo” e “nazismo” si adoperano in maniera abbastanza intercambiabile, ma l’enfasi è oggi certamente sul secondo. Il nazismo metaforico è diverso dal fascismo metaforico.

Prima di tutto, perché il fascismo ha un elemento caricaturale e cialtrone che lo rende poco credibile in un ruolo veramente diabolico. Ma anche perché l’antifascismo ha funzioni morali diverse dall’antinazismo. Certo, l’antifascismo istituzionale ha giustificato, nell’Italia repubblicana, la sostanziale complicità tra apparati democristiani e quelli del PCI e dei sindacati. Ma nella sua migliore accezione, antifascismo significa diritto di ribellarsi alla sopraffazione. Se è legittima la “Repubblica nata dalla Resistenza”, è legittimo anche l'operato del Hezbollah.

Invece, l’antinazismo si riferisce a un paese diverso dall’Italia, cosa che fa molto comodo agli italiani. Il nazismo ha curato molto la propria immagine, come si dice oggi: e quindi fornisce una fantastica galleria di stendardi, divise e foto di gruppo o di massa. Anche il cinema finisce per rispecchiare l’autopresentazione del nazismo stesso, come sistema totale, che coinvolge un’intera nazione, terribile, mistico e affascinante. Trascurando sia un’analisi storica del nazismo, sia il milione circa di dissidenti tedeschi (non ebrei) uccisi dai nazisti.

Ma soprattutto – nell’antifascismo, il nemico del regime è lo stesso popolo italiano. Nell’antinazismo, il nemico del regime è unicamente l’esercito americano: cosa dimostrata, alla faccia di decine di milioni di sovietici e jugoslavi morti, dall’evidenza hollywoodiana, immediatamente tangibile a chiunque.



La capra che creò il nazismo

Il fascismo nasce dallo scontro tra il movimento operaio e contadino da una parte, e l’industria pesante e gli agrari dall’altra. Il nazismo invece, nell’accezione comune, nasce dal nulla, o almeno non nasce dai rapporti sociali. Le sue sorgenti sono gli abissi psicanalitici della cattiveria umana. Secondo una tesi diffusa, il nazismo nacque per colpa di una capra poco in vena di giochi erotici che morse il pene al giovane Hitler. In questo senso, rientra nel mondo onirico dei serial killer cinematografici.

Come nasce dal nulla, o da un mondo metafisico, il nazismo ritorna nel nulla: mentre in Italia un partito di origine neofascista occupa vari posti ministeriali, i nazisti reali sono sostanzialmente collezionisti di militaria, che fanno follie per acquistare magliette con gli stemmi di tutte e trentotto le divisioni delle SS (da abbinare magari al cappellino dell’FBI). Così come un Berlusconi sbraita contro “il comunismo” solo quando non c’è più un’Unione Sovietica con cui fare affari, il nazismo diventa un nemico tanto più assoluto quanto irreale. Insomma, a parlare male di Hitler non si perdono né consensi significativi, né commesse.

Il nazismo, nell’immaginario mediatico-collettivo, era soprattutto uno “stato totalitario”. Questa vaga categoria – richiamata non a caso proprio all’inizio del documento ufficiale con cui gli Stati Uniti affermano la loro politica strategica per il terzo millennio - comprende sì il fascismo, ma anche l’URSS, i vari governi mediorientali più o meno invisi agli USA, le socialdemocrazie europee e in certi casi, anche ogni forma di assistenza medica o di attività sociale dello stato: il contrario del nazismo diventa così, non il socialismo, ma “la libertà”, parola-talismano che significa, in sostanza, la libertà d’impresa. Ed ecco che diventa importante mascherare la natura per molti versi normale della vita nella Germania capitalista ai tempi di Adolf Hitler.

Il mito dello scontro di civiltà deve coprire un delitto infame e di portata planetaria: l’aggressione contro i paesi del Terzo Mondo e il loro saccheggio, l’abolizione progressiva dell’autentica democrazia, la trasformazione della legalità internazionale in rapporti di pura forza, la distruzione della funzione sociale dello stato e la creazione dell’impero americano.

Proprio per questo, la retorica del dominio deve assolutizzare il nemico. Il contestatore che scende in piazza per denunciare l’esproprio è un “comunista”, ergo sia un terrorista che un totalitario. In quanto terrorista, è un alieno musulmano, estraneo al complesso dell’Occidente; in quanto totalitario, è un nazista, ergo colpevole di Auschwitz, ergo punibile soltanto con l’annientamento. Ma siccome i nazisti con la svastica non sono certamente al potere oggi, diventano anche loro “terroristi” e “sovversivi”, irrequieti teppisti “neri” che si distinguono poco – nell'immaginario comune – dai black bloc, come abbiamo potuto vedere all’inizio di questo articolo.

Viviamo in un’epoca in cui l’immaginario ha un’importanza cruciale. Salvo i pochi folli come i lettori di questo giornale che si prendono la briga di investigare, il nostro quadro del mondo è dato soprattutto dalla rappresentazione che ne danno i media. Non si tratta solo di una rappresentazione di parte; si tratta di una rappresentazione spettacolare, in cui le notizie sono scelte in base alla loro componente drammatica, staccate da ogni senso o analisi, e vivono in contemporaneità: proprio mentre vedevamo le scarne immagini della guerra in Afghanistan, ci hanno propinato quelle molto più più realistiche, di Salvate il soldato Ryan, un film che ci insegna a rispettare i nostri liberatori e le loro armi. Ieri, oggi e per sempre.



La Palestina immaginaria

Ma parallelamente all'immaginario riguardante la seconda guerra mondiale, esiste un altro evento/luogo che ci colpisce tutti profondamente e ci riporta per vie traverse alla questione del complotto islamonazicomunista: la Palestina. Non solo come martellante presenza mediatica: i sionisti hanno ragione a lamentarsi del fatto che i media dedicano più attenzione a Israele di quanto dedichino a qualunque altro paese; ma tacciono quando questa attenzione va a loro favore.

A sinistra vige la regola secondo cui la questione israelo-palestinese debba essere trattata come ogni altro conflitto etnico e politico; le tragedie di Gaza non differirebbero da quelle del Kosovo. Questa regola si impone per due motivi: primo, per un'inveterata tendenza a vedere esclusivamente le motivazioni immediatamente economiche dei conflitti, secondo, per non cadere nell'accusa di antisemitismo.

In realtà, è ovvio che il conflitto israelo-palestinese ha caratteristiche uniche: lo stesso stato d'Israele nasce come impresa volontaria e ha un'importanza spropositata anche per motivi legati all'immaginario. Se sentiamo parlare più spesso di Tel Aviv che di Diyarbakir, non è perché i singoli fatti che vi avvengono siano più terribili di quelli che hanno luogo nella principale città curda della Turchia. è anche perché Israele è lo stato di una comunità che si riconosce in associazioni bibliche, e le associazioni bibliche sono una delle trame fondamentali dell’autocoscienza del mondo europeo e americano. Israele si giustifica come rifugio degli ebrei di tutto il mondo dal nazismo. Israele combatte i musulmani. Israele è criticato, magari con mille distinguo, da persone e ambienti di sinistra.

Da ciò derivano molte cose. L’idea necessaria che esista un antisemitismo eterno, completamente distinto dai fatti storici che hanno condotto in passato ai pogrom e al genocidio nazista; ma distinto anche dal razzismo come forma perenne e diffusa del comportamento umano. Se non esistesse un Hitler immortale, che con una specie di idealismo perverso dedicherebbe la sua intramontabile esistenza a perseguitare ebrei, utilizzando oggi comunisti e musulmani, lo stato d’Israele potrebbe dichiarare lo stato di cessato allarme. O magari aprire le sue porte a tutti gli altri popoli che oggi vengono realmente perseguitati.

Il mito dell’eterno antisemitismo, che si incarnerebbe proprio nel complotto islamonazicomunista, è tipicamente americano: si potrebbero raccogliere tonnellate di documentazione sulla maniera in cui i conflitti sociali americani vengano trasformati in conflitti etnici. Non è colpa dei rapporti di classe, ma degli anglosassoni, se gli irlandesi non diventano miliardari; è colpa dell’odio eterno dei bianchi che i neri non escono dai ghetti; è colpa dei neri che esiste la delinquenza; è colpa degli irlandesi che i poliziotti sono tutti razzisti… Ogni gruppo etnico è in perenne guerra con tutti gli altri, e gli ebrei non fanno eccezione. Soprattutto se si pensa al carattere complottista e astorico delle spiegazioni che in genere vengono date di queste cose, nella società americana.



Le funzioni sociali del complotto

Il complotto islamonazicomunista svolge quindi una funzione primaria anche nella maniera in cui guardiamo il conflitto mediorientale.

Riunisce una destra da sempre anticomunista, ma adesso ansiosa di dimostrarsi “antinazista” a poco prezzo. Raccoglie tutta la xenofobia latente nella nostra società. Permette ai gruppi sociali tradizionalmente antiebraici degli Stati Uniti di crearsi un nuovo complotto, di segno diverso ma di contenuto identico. Mobilita i cristiani che si oppongono al comunismo, si distinguono dall’islam e colgono l’occasione per definire il nazismo “statolatria pagana”. Esalta i laici che si oppongono alle teocrazie e ai regimi ideologici. Dimostra quotidianamente e sul campo la superiorità intrinseca degli occidentali che hanno creato “l'unica democrazia del Medio Oriente” sulla pullulante subumanità dei ghetti palestinesi. Perché la Palestina simboleggia in modo assoluto lo scontro di civiltà.



Il complotto e la sinistra masochista

Nonostante il suo carattere demenziale, la tesi del complotto gode di notevole successo in quella che potremmo chiamare la sinistra masochista.

Esiste un’area di antagonismo sociale e culturale, certamente in perfetta buona fede, che entra in panico ogni volta che viene accusata di islamonazicomunismo.

L’accusa di essere “comunisti” si può digerire. Ma all’accusa di essere “islamici”, la sinistra masochista risponde tagliandosi fuori dai conflitti reali dei nostri tempi: dire “né con Bush né con Bin Laden” vuol dire rifugiarsi nell’”altro mondo possibile”, anziché combattere per cambiare l’unico mondo che esiste realmente. Finendo così per considerare degne di rispetto unicamente le lotte di alcune categorie di occidentali perbene.

Di fronte all’accusa di essere “nazisti”, la prima reazione consiste in un frenetico tentativo di dimostrare di non esserlo, epurando i propri ranghi da presunti infiltrati.

Ora, è vero che trent’anni fa, in pieno scontro sociale, ci furono alcuni neofascisti infiltrati nella sinistra, in particolare nel gruppo di Pietro Valpreda. Erano dieci, infiltrati in un gruppo a sua volta di venti o trenta persone? Fatto sta che episodi di questo tipo, per quanto terribili, sono stati molto rari. Non si è mai sentito di pericolose infiltrazioni neofasciste, che so, in Democrazia Proletaria o in Lotta Continua o nella FGCI, e nemmeno nelle Brigate Rosse.

Oggi, diciamocelo, il problema semplicemente non esiste. Cosa consigliereste a un neofascista che desiderasse avere successo nella vita? Infiltrarsi nel mondo piccolo e povero di una sinistra in piena sconfitta, oppure entrare in un partito che sta al governo, come Alleanza Nazionale?

Quei quattro gatti di skinhead e affini che veramente hanno il culto di Hitler sono soprattutto ostili agli immigrati, che per loro coincidono con “i musulmani”. E quindi hanno un’antipatia radicale per i “comunisti” che permettono agli immigrati di distruggere il nostro paese.

Le principali organizzazioni neofasciste, come i residui della Fiamma Tricolore o Forza Nuova, sono a parole contro l’America. Nei fatti, sono innanzitutto contrari all’immigrazione e sono sostanzialmente subalterni al governo attuale, che rimane comunque il loro riferimento, nel bene o nel male. Questa gente ha cose più interessanti da fare che infiltrarsi nella sinistra, soprattutto adesso che l’anticomunismo e l’antislamismo vanno di moda.

Restano alcuni individui che hanno forse legami emotivi con il fascismo, ma che non sono primariamente ostili all’immigrazione, e che vedono negli Usa il nemico principale dei nostri tempi. Sono casi personali, non numerosi, e che non hanno nulla a che fare con organizzazioni o gruppi.



Feltri non perdona

Esiste una “sinistra” – nel senso bipolare, almeno – che non sarà mai accusata di islamonazicomunismo: si tratta della sinistra di Blair, per intenderci, quella che Berlusconi ha additato al mondo come l’unica con cui lui potrebbe dialogare.

Ma qualunque "sinistra a sinistra di Blair", persino un D'Alema se sospira contro la guerra, è potenzialmente oggetto dell'accusa di islamonazicomunismo.

Si può reagire in due modi.

In un caso, si prende terribilmente sul serio ogni accusa di questo tipo, dando la caccia al presunto infiltrato, o all’amico del presunto infiltrato, per dimostrare la propria presunta purezza di fronte all'avversario, che può quindi decidere non solo il campo di battaglia, ma persino chi si deve trovare di fronte su quel campo.

Questo tipo di autopurificazione si compie nella speranza che l'avversario desista. In fondo, si sogna che Libero pubblichi una ritrattazione: "la mailing list Y non fa parte del complotto islamonazicomunista perché ha subito cacciato a pedate il sospetto postatore fascista," firmato Vittorio Feltri. Proprio sopra la pubblicità della biografia del Duce, tanto Libero di questi scrupoli non se ne fa.

Ovviamente, Libero non ritratterà. Continuerà a denunciare, e se necessario inventare di sana pianta, complotti islamonazicomunisti. Per cui la strategia dell'autoepurazione potrà privare qualcuno di un buon arabista, ma non sazierà Libero. In compenso riporterà i puri nel campo più impuro che si possa immaginare, quello della “sinistra”, intesa come la grande famiglia che va da Prodi a Toni Negri.

L'altra strategia consiste nel non farsi condizionare dall’avversario, e nemmeno dalla paranoia. Non è difficile. Ci sono principi elementari di realismo che bastano. Esistono criteri semplicissimi, che non sono quelli biografici. Basta definire che cosa si intende per “fascismo”, vedere se le persone in questione hanno tratti “fascisti” nelle posizioni reali che assumono. Poniamo, rozzamente, una definizione di questo tipo, si può migliorare quanto si vuole: “fascista” vuol dire una persona che crede al superiore diritto della propria patria – comunque definita – rispetto a quella degli altri. Vuol dire una persona che ritiene che certi gruppi etnici abbiano il diritto di imporsi sugli altri.



Un pornografo archeofuturista

Esistono in tal senso posizioni precise, che rappresentano un reale pericolo. Ne possiamo citare due: sul piano politico, Forza Nuova e sul piano culturale, l'archeofuturismo.

Sarebbe infantile scandalizzarsi per i segni tribali che i militanti di Forza Nuova adoperano: tagli bizzarri dei capelli, oppure croci celtiche. Il reale scandalo di Forza Nuova consiste nel fatto che questa organizzazione inebria alcune migliaia di giovani irrequieti con parole d'ordine tanto esaltanti quanto vuote, attorno a una specie di perbenismo truce. Un berlusconismo senza veline, che ha come obiettivo fondamentale dividere i giovani tra di loro – l'antico massacro dei “rossi” contro i “neri” che rispecchia in modo caricaturale e tragico l'elegante duello tra Rutelli e Berlusconi – e di lanciare una guerra tra poveri, contrapponendo i diseredati “italiani” a quelli “immigrati”. Questo è male, e Forza Nuova va combattuta. Ma si deve ricordare un fatto: Forza Nuova vive parassitariamente sulla notorietà mediatica che riesce a guadagnarsi, tramite provocazioni altamente visibili, offendendo gli antifascisti, gli immigrati, gli omosessuali, per scatenare la guerra tra bande e guadagnarsi la simpatia della parte più rozza dell’elettorato berlusconiano. è quindi necessariamente e rumorosamente antisinistra, per cui il problema di un eventuale dialogo o di infiltrazioni semplicemente non si pone.

L'archeofuturismo, invece, è il parto di Guillaume Faye, avventuriero francese, ex-gauchiste ed ex-attore pornografico (per evidenti motivi di orgoglio virile, ci tiene a sottolineare di essere stato attore e non semplice regista). La sua invenzione, che gode di un certo seguito anche in Italia tra le destre radicali in crisi, si presta a interpretazioni ambigue già dal nome, che semplicemente non vuol dire nulla. Ma se i sedicenti archeofuturisti italiani hanno idee spesso contraddittorie, quelle originarie di Faye sono chiarissime. Egli sostiene la creazione di un’Europa fisicamente depurata dai musulmani, forte e armata, alleata a Israele e in amichevole concorrenza con gli Stati Uniti per lo sfruttamento di un Terzo Mondo ridotto deliberatamente nella più totale miseria. Questa è una posizione coerente, sensata e – ci mancherebbe – nemica. Posizioni di questo tipo si affiancano spesso a forme estreme di narcisismo: la scuola di Faye sostiene che loro, l’autoproclamata élite, avrebbero il diritto a ogni forma di pratica strana, dal consumo di sostanze stupefacenti alla pedofilia, mentre le masse dovrebbero essere assoggettate a un rigoroso moralismo cristiano. A modo suo, l'archeofuturismo è quindi un autentico nazismo per il Terzo Millennio. Per fortuna, la personalità disturbata del suo fondatore squalifica in partenza questo movimento.



Guillaume Faye

Guillaume Faye

Il narcisismo può prendere anche forme più ingenue. Fondendo narcisismo e gaffe erotico-eugenetiche tanto più significative in quanto non intenzionali, un recente convegno di esaltati affronta, tra gli altri temi, quello della “selezione dei migliori tramite opportuni processi di riproduzione”.

è abbastanza irrilevante sapere se simili persone ammirino Mussolini: per condannarle, basta sapere che ammirano se stesse e – soprattutto – disprezzano gli altri. Senza dimenticare che tutti i forzanovisti e tutti gli archeofuturisti d'Italia non hanno i mezzi per fare del male che ha un singolo assessore regionale ciellino.

Non è necessario immaginarsi spaventosi complotti, per concludere che con organizzazioni come Forza Nuova o portatori di idee come l'archeofuturismo non si ponga nemmeno il problema di qualche dialogo. Mentre con persone che non sono di questo tipo, è perfettamente possibile dialogare, sulla base della comune accettazione dei valori di libertà, uguaglianza e fratellanza. Punto e basta, per citare la maestra italiana dello scontro di civiltà.




Note

[1] “Americano e me ne vanto L'autocritica ("L'antiamericanismo è un errore") e gli elogi ("Bush si è mosso con notevole saggezza") del presidente ds."
Intervista a Panorama 28 Settembre 2001, di Paola Sacchi   



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