Alterazioni del paesaggio

sesta parte
 

di Walter Catalano
pubblicato qui agosto 2005



Nabil consultò l'orologio. Il convoglio ritardava ma, se le informazioni erano esatte, avrebbe dovuto passare sicuramente prima del crepuscolo.

Inerpicato sulla cresta rocciosa guardò verso la vallata lontana: in fondo, nella caligine infuocata, si distinguevano confusamente gli edifici del campo: torrette, ciminiere, comignoli, baracche. Impossibile sferrare un attacco diretto, ma, fermando la colonna e liberando i prigionieri si sarebbe potuto tentare un'infiltrazione a sorpresa scatenando una rivolta all'interno ed un'evasione collettiva. Non c'erano droni laggiù e solo il rincalzo di una squadriglia di elicotteri Apache avrebbe potuto sventare la minaccia di un assalto; ma l'aereoporto si trovava a varie centinaia di kilometri e, se l'attacco fosse stato fulmineo, il nemico non avrebbe avuto il tempo materiale per mobilitare i rinforzi. Una scommessa probabilmente persa, ma qualcuno di loro alla fine sarebbe forse riuscito a scoprire cosa c'era laggiù, oltre il filo spinato.

Gli otto ragazzi che erano con lui, sparpagliati fra le rocce come i guerrieri di Geronimo, apparivano tesi ma decisi. Abdul, il tiratore scelto del gruppo, imbracciava spavaldo il vecchio panzerfaust che doveva mettere fuori combattimento la jeep di testa.

Il suo volto affilato era la sintesi fisiognomica di una tipologia umana che il progresso del mondo voleva sopprimere. In lui si riassumevano i tratti dimenticati di milioni di perdenti indomabili: come Cambronne avevano urlato "Merde !" alla storia e la storia reclamava vendetta. La piega ribalda delle labbra ripercorreva le disgrazie di un'originaria rivolta.

Inclinato sull'arma sorrise fra sé e si protese oltre il pinnacolo roccioso alzando una mano verso i compagni. In un turbine di polvere lungo la strada sottostante qualcosa si avvicinava.

Un brusco stridio di freni ruppe la breve pausa di silenzio dopo l'esplosione. Il convoglio ora era fermo e gli automezzi di coda sgommavano fra le urla e le raffiche di mitra cercando di fare marcia indietro sulla ghiaia e portarsi al riparo. I soldati stavano saltando giù dai camion, incerti se prima rispondere al fuoco degli attaccanti o sparare sui prigionieri che si davano alla fuga correndo fra le rocce.

Flavia saltò istintivamente giù dal camion rotolando dolorante sulla sabbia fino ad un costone roccioso dietro il quale cercò di nascondersi.

Anche le donne palestinesi gridando scendevano precipitosamente dal mezzo: due giovani con i bambini più piccoli le si rifugiarono accanto e lei fece loro posto dietro la roccia. Il soldato più vicino dette una sventagliata di mitra abbattendo due vecchie troppo lente per mettersi in salvo, ma un singolo colpo sparato dall'alto di una collina di pietraglia lo colse a sua volta dritto in mezzo ai rayban: Flavia ringraziò in cuor suo lo sconosciuto tiratore. L'eliminazione di quel pericolo dava loro un attimo di tregua: gli altri soldati erano troppo lontani e troppo occupati per notarle. La figura lontana di un ragazzo palestinese che imbracciava un fucile sull'orlo di uno sperone roccioso, fece loro un cenno con la mano indicando il percorso per allontanarsi dal centro della battaglia. Tirandosi dietro i bambini Flavia dette il via al piccolo gruppo: di corsa si inerpicarono fra le pietraie inoltrandosi in una stretta gola coperta. Si voltò di sfuggita dall'apice dell'altura facendo in tempo a notare in lontananza la jeep in fiamme e le sagome carbonizzate degli occupanti: il vento trascinava nella polvere una benda nera da pirata guercio.

Nabil aveva fatto raccogliere i fuggiaschi in un specie di conca al riparo delle colline, i pochi uomini in grado di maneggiare le armi si erano uniti agli aggressori e tenevano a bada i soldati che si stavano ormai riorganizzando.

"Lei non è palestinese. Che ci fa qui ?" - chiese in ottimo inglese notando Flavia. "Ero con gli osservatori stranieri del convoglio grande. Quando hanno staccato questo gruppo più piccolo sono riuscita a nascondermi: volevano dirottare tutti sull'altro e allora io…"

"Ha fatto bene. Non vogliono testimoni laggiù" - indicò la vallata e i profili indistinti di lontane costruzioni .

"Un campo ?" - chiese Flavia.

"Uno dei nuovi campi. Campi di destinazione, li chiamano."

"Sembra un programma davvero speciale. Avevo sentito delle voci in proposito ma nessuno ne vuole parlare. Lei ne sa qualcosa ?"

"Niente di preciso per ora. Ormai non ci resta che andare a vedere e cercare di tornare indietro per poterlo raccontare".

"Come spera di riuscirci ?"

Nabil alzò lo sguardo al cielo sorridendo. "Allah è grande" - disse.

Ancora Nobadaddy pensò Flavia aggrottando la fronte: il vecchio demone della montagna, il delirio di Abramo.

"Non metto in dubbio la grandezza di Allah, ma voi siete pochi e, a quanto ho visto, male armati: avete già fatto tanto riuscendo a fermare il convoglio. Laggiù ci saranno soldati a centinaia". "No. Non sono molti. Li osserviamo da giorni. Solo guardiani e poliziotti e molti prigionieri che noi faremo fuggire. Non ci sono troppi soldati: se hanno problemi chiamano gli elicotteri ".

"Dici nulla. Bastano due elicotteri e siete fregati."

"Non faranno in tempo a chiamarli."

"Non faranno in tempo ? Crede che non abbiano una radio ? Li avranno già avvertiti appena avete attaccato."

"No. Abbiamo fatto saltare la jeep. La radio di solito è nella jeep."

"Già. Di solito. E poi dove fuggirete ? In fondo al deserto, senza mezzi di trasporto…"

"Li ruberemo al campo".

"Lei è matto. Mi scusi. - Flavia esitò. Il sorriso del ragazzo la invitò a continuare - " E' proprio matto."

Nabil le porse due borracce.

"Faccia bere queste persone e beva un po' d'acqua anche lei."

"Grazie. Io ho la mia" - rispose Flavia passando le borracce ai bambini.

Estrasse il piccolo termos che teneva alla cintura.

"Ne vuole ? E' ancora passabilmente fresca."

Il giovane fece un cortese cenno di diniego.

"Torno dai miei compagni" - disse - "Voglio…"

Un improvviso spostamento d'aria lo interruppe facendolo vacillare. La piccola moltitudine quasi all'unisono alzò gli occhi spauriti verso il cielo.

"Droni ! " - esclamò Nabil esterrefatto - "Ma come possono attraversare il deserto !"

Tutti si lanciarono in una fuga disperata. Anche i combattenti sugli spalti rocciosi abbandonarono la battaglia cercando un inutile rifugio fra le gole. Intanto la squadriglia di droni - nell'orribile, caratteristico silenzio che permetteva loro di giungere sempre a sorpresa come l'Angelo Sterminatore - scendeva a bassa quota disponendosi in formazione a delta.

Nascosto da qualche parte, un oscuro ufficiale davanti ad una consolle, teleguidava i velivoli robot sull'obbiettivo: i volti terrorizzati dei fuggiaschi baluginavano sfarfallanti sui monitor; le zoomate sulla loro morte saturavano l'obbiettivo delle telecamere installate sulle ali accanto ai lanciamissili; un regista al quartier generale avrebbe in seguito rimontato la scena al rallentatore simulando immaginari dolly e carrelli per un audiovisivo didattico da mostrare alle reclute delle squadre scelte.


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