Note critiche sul bordighismo

Contributi per una discussione da proseguire

IX e ultima parte
 



Per agevolare la lettura, questo articolo di Costanzo Preve, apparso per la prima volta sulla rivista Praxis è stato diviso in nove parti.


Alla prima parte




21. Resta però un ultimo punto teorico, forse il più interessante. Si tratta dell'attesa, in posizione sempre cocciuta e settaria, dell'avvento previsto della rivoluzione comunista entro il 1975. Tutto ciò merita un breve commento.

Tutto ciò mi ricorda un episodio. Quando avevo solo sei anni, e stavo imparando a leggere le maiuscole dei titoli dei giornali esposti fuori delle edicole, ricordo che rimasi letteralmente terrorizzato dall'annuncio di un profeta sulla prossima fine del mondo, cui il profeta ed i suoi seguaci si sarebbero sottratti salendo sul Monte Bianco. Dal momento che nella mia beata infanzia credevo che tutto ciò che era scritto sui giornali fosse vero (in buona compagnia con il 90% degli adulti nel moderno capitalismo liberale), scongiurai mia nonna piangendo di salire in montagna anche noi per sottrarci al diluvio. Ma la miscredente non volle sentire ragioni, ed in effetti pochi giorni dopo ebbi la mia prima lezione sulla teoria popperiana della falsificabilità degli enunciati empirici.

In modo rigorosamente popperiano, il che torna a suo onore, Bordiga si sbilancia nel dare una data di scadenza alla profezia, il 1975. Esso è passato, ma il capitalismo c'è ancora. Bisogna dire, però, che Bordiga aveva correttamente previsto un mutamento d'epoca, ed infatti gli anni Settanta furono il decennio di svolta epocale della storia del capitalismo storico del Novecento. Come tutti i crollisti impenitenti, Bordiga aveva confuso una crisi ricorsiva con una crisi precipitativa e definitiva. Il passaggio dalla seconda alla terza età del capitalismo fu scambiato per il crollo finale del sistema.

Non c'è niente da ridere, niente da sogghignare e niente da sghignazzare. Solo chi non si espone in previsioni non sbaglia mai. Meglio chi si espone dei furbastri e dei "pesci in barile" che hanno sempre ragione perché fanno sempre molta attenzione a calibrare ipocritamente le previsioni, come gli antichi oracoli greci e romani, che si prestavano sempre ad una doppia interpretazione. Bordiga si espose, al rischio di falsificare se stesso. Ricordo ancora un gruppo di suoi seguaci pazzi, che avendo verificato che nel 1975 il capitalismo non era crollato, ne trassero la conclusione allucinata per cui il capitalismo procedeva come un sonnambulo "drogato", e camminava solo appunto perché drogato.

Ma lasciamo da parte il pittoresco folklore gruppuscolare e minoritario, perenne sorgente di involontaria comicità. Qui bisogna invece capire una cosa, e cioè che se non si abbandona una concezione crollistica delle crisi capitalistiche per una più sobria concezione ricorsiva si incapperà sempre in simili profezie. Chi vuole esaminare bene tutte le teorie crollistiche può proficuamente rivolgersi al libro di F. Maggiora (Il dibattito sull'economia nell'ambito del marxismo, Loescher, Torino 1978). Chi invece vuole uscire da gioco di specchi del crollismo precipitativo dovrebbe rivolgersi al chiaro libro di Gianfranco La Grassa (cfr. La tela di Penelope, Editrice CRT, Pistoia 1999). Per quanto mi riguarda, io ho già tratto le mie conclusioni. Ed esse stanno in ciò, che tutti i crollisti, di qualunque tendenza, sono solo dei bordighisti inconseguenti, ed allora tanto vale andare all'originale e lasciar perdere le copie.

22. Bene, con questo chiudiamo. Se il lettore esaminerà insieme i tre testi successivi sul trotzkismo, sul maoismo e sul bordighismo, vedrà che si tratta di un solo ed unico testo diviso in tre parti. Un testo che parla della grandezza e della dignità umana dei rivoluzionari, di Trotzky, di Mao e di Bordiga, ma anche della necessità di essere più coraggiosi nell'innovazione. Detto questo, so bene con Luigi Einaudi che quanto dico fa per ora parte della lunga serie delle prediche inutili.



Alla prima parte





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