Internet al rogo?
 



Asdrad Torres

Docente associato al dipartimento delle scienze dell'informazione e della comunicazione, università di Rennes-II, Francia.




Alcuni vedono in Internet un progetto portatore di speranze contro il re denaro, il potere dell'impresa e il controllo sociale. A titolo di esempio si cita volentieri l'uso che ne hanno fatto numerose associazioni progressiste (1): questa rete internazionale non è forse servita a denunciare l'esecuzione programmata del giornalista americano Mumia Abu-Jamal o i soprusi dell'esercito messicano nel Chiapas? Ma le holding multimediali, che minacciano di svuotare di ogni contenuto progressista le autostrade dell'informazione, stanno entrando in forze in Internet. Molti altri mercanti aspettano solo che sia resa più sicura la procedura relativa al pagamento elettronico per impegnarsi a fondo nella rete, come già hanno fatto i più temerari. Mentre alimenta presso alcuni il timore di un suo "snaturamento", la componente commerciale d'Internet cresce ormai più velocemente del nucleo originale.

In quanto norma di comunicazione, Internet è decantato per il suo orientamento democratico e ugualitario. Non c'è distinzione alcuna fra un server che fornisce informazioni e un terminale a partire dal quale un utente le consulta, diversamente da quanto avviene per l'utente di Minitel dove la separazione è totale. Su Internet, ogni consumatore è un potenziale produttore (e viceversa). Tuttavia, la neutralità della norma è ben lontana dall'assicurare una qualunque uguaglianza sociale in materia di comunicazione, anzi. Statistiche alla mano, John Barlow, "internauta" avveduto, spiega : "Non c'è grande diversità umana nel ciberspazio, dove viaggiano uomini di meno di cinquant'anni, che dispongono di abbondante tempo di accesso ai computer, maneggiano con grande destrezza le tastiere, hanno opinioni solidamente radicate e soffrono di una tremenda timidezza nei contatti diretti, in particolare con persone dell'altro sesso (2)".

Nelle nostre società sempre più frantumate, la verosimiglianza di un accesso universale a Internet non supera la cerchia dei "collegati". In un paese come la Francia, le diverse migliaia di franchi richiesti per l'acquisto del materiale informatico escludono tuttora milioni di persone. Il calo dei prezzi, spesso detto "vertiginoso", non risolve niente perché viene notevolmente attenuato dalle politiche commerciali ed editoriali: "Per essere interattivi e conviviali, ci vogliono infatti apparecchi sempre più potenti" spiegava un responsabile del settore di micro-informatica del grande magazzino Carrefour, al momento dell'uscita sul mercato di un computer multimedia "grande pubblico", al prezzo di 26.000 franchi [oltre 8 milioni di lire]! "L'apertura di un server Internet (Web) ammette un esperto che milita per la diffusione di Internet senza parlare dei privati, non è neanche alla portata della prima associazione che arriva". L'investimento in materiale informatico e telecom è un primo grosso ostacolo. Poi, molto presto, la bolletta del telefono per una linea permanente diventa gravosa per le borse modeste. Inoltre, si ha un bel dire, ma le competenze tecniche richieste rimangono alte e poco diffuse, il che limita il volontariato.

Nel mondo dell'"associazionismo, una delle priorità è la formazione di chi deve formare". Superata questa barriera, la presenza su Internet originale o meno rimane, come su qualsiasi rete, inutile, senza un minimo di audience. La battaglia per la visibilità è già avviata fra proponitori di servizi commerciali. Alcuni si accordano per citarsi a vicenda sui rispettivi servers. Altri, forti di una audience iniziale, vendono il diritto di figurare nelle inserzioni pubblicitarie elettroniche. In mancanza di un annuario "ufficiale", il controllo dei repertori diventa un obbiettivo capitale. Lo dimostra alla perfezione l'assorbimento del Global Network Navigator, uno dei più noti repertori d'Internet, da parte di America Online, un venditore di teleservizi già solidamente affermato ma arrivato da poco sulla rete. Questa realtà mette a dura prova l'idea di un Internet democraticamente autoregolato, capace di garantire, al di fuori delle grandi potenze finanziarie, il successo dei servizi migliori. L'egualitarismo naturale d'Internet è un'idea che si fonda tanto sulla miopia quanto sulla fede in un determinismo tecnologico.

La duttilità delle tecnologie dell'informazione dovrebbe invitare alla prudenza. I modi di comunicazione fra gli individui non si riducono mai alla trasposizione meccanica delle proprietà tecniche degli strumenti di mediazione. A esempio, il sistema telematico francese, sebbene costruito secondo un modello gerarchico, ha scatenato una forma di comunicazione trasversale, le chatlines erotiche. E, nello stesso ordine di "contro-impiego", l'impostazione egualitaria d'Internet non impedisce lo sviluppo di comportamenti asimmetrici di puro consumo, che accelerano la banalizzazione della rete. "Comunità virtuali" I gruppi informali di dibattito (o news) nati con Internet vengono frequentemente assimilati a una forma estrema di democrazia. Essi costituiscono centinaia di "luoghi" di dibattito ai quali ogni individuo che abbia accesso alla rete può partecipare senza alcuna formalità. La varietà dei temi trattati rispecchia la straordinaria diversità dei poli d'interesse. Sarebbero quindi effettivamente realizzate le condizioni del pluralismo e della libertà di espressione. Ma i gruppi di news non sono dei forum dove si esprime liberamente il contraddittorio. Funzionano come spazi privati aperti, in cui la partecipazione implica l'adesione alle regole che si è dato il gruppo fondatore. Così, un gruppo di dibattito sulla penalizzazione dell'aborto sarà implicitamente vietato ai fautori del diritto di scelta. D'altra parte, molti gruppi di dibattito vengono "scremati" degli interventi ritenuti inopportuni da un "moderatore" spesso bene intenzionato ma onnipotente. Le limitazioni dell'espressione contraddittoria suscitano una proliferazione di spazi compartimentati che dimostrano ampiamente che la moltiplicazione non è il toccasana del pluralismo (3). Pur non costituendo un modello di democrazia, le news esplorerebbero nuove dimensioni della comunicazione suscettibili di estendere domani il campo della libertà d'espressione a delle "comunità virtuali". Certo, le news consentono a gruppi comunitari che condividono gli stessi riferimenti di affrancarsi dai vincoli di tempo e di spazio che rendevano improbabile il loro incontro. Ma la creazione di cyber-comunità in uno spazio scorrelato dal mondo reale rimane un'illusione. John Barlow rileva: "Nel 1987, ho sentito parlare di un luogo che avrei potuto visitare senza lasciare il Wyoming. Mi sembrava che, dentro il Well (Whole Earth Lectronic Link), ci fosse quasi tutto quanto uno possa trovare recandosi in una piccola città . In seguito il mio entusiasmo per la virtualità si è raffreddato. In realtà, a parte il rapporto interattivo con la gente con cui scambio la posta elettronica, non dedico più molto tempo alle comunità virtuali. Mi sembra che gran parte degli esiti a breve scadenza che mi prefiguravo siano rimasti altrettanto lontani nel futuro di quanto lo erano quando mi sono collegato per la prima volta". Noam Chomsky ritiene che il funzionamento dell'istituzione Internet abbia conservato l'impronta delle origini della rete: "Essenzialmente un monopolio di settori relativamente privilegiati, di persone che hanno accesso ai computer nelle università". Forse si potrebbe aggiungere quello che Christian Huitema, presidente dell'Internet Architecture Board (Lab) chiama "lo spirito Internet, ereditato dalle idee libertarie dei ricercatori che, negli anni sessanta, hanno sviluppato questa rete di reti (4)". Ammesso che questo spirito esista, esso sembra ingabbiato nella contemplazione di sé stesso, al punto da occultare le condizioni che hanno presieduto alla sua genesi e al suo sviluppo. Tutto funziona infatti come se "il pensiero Internet" fosse refrattario all'idea che la rete costituisce un bene comune alla società nel suo insieme, che ha lavorato per finanziarlo, e non soltanto proprietà dell'élite che lo ha elaborato. Il "pensiero Internet" si mostra altrettanto refrattario all'idea che la folla dei nuovi arrivati possa influire sulle norme stabilite dal nucleo originale. "C'è un numero infinito di regole di buona condotta più o meno formali nei news groups. Un utente che non le rispetti rischia di ricevere migliaia di lettere di internauti' che cercheranno di rieducarlo (5)". I guardiani dell'ortodossia "Rieducarlo": questa formula esprime la mentalità dei guardiani di una certa ortodossia. Una volta avvenuta l'integrazione nella comunità, "si ritiene che tutti gli utenti abbiano gli stessi diritti", afferma Christian Huitema. Eppure, quando si tratta di decidere, alcuni sembrano più uguali di altri. "Come ogni società di tipo anarchico precisa Huitema Internet ha espresso un'aristocrazia composta da chi ha dato di più alla rete. Ma respingiamo i monarchi, i presidenti e anche i voti perché rischieremmo di produrre decisioni arbitrarie". Questi principi di riproduzione e di legittimazione di un sistema di baronato ricordano quanto certi concetti di base d'Internet siano estranei ai valori democratici. L'ambiguità ideologica non riguarda solo le istanze ufficiali.

Nella nebulosa Internet, l'Electronic Frontier Foundation (Eff) (6) si è battuta per l'estensione alle reti elettroniche delle garanzie costituzionali americane previste per lo scritto (primo emendamento); inoltre la Eff si è fatta notare per aver denunciato certe pratiche federali e per aver difeso le vittime di restrizioni alla libertà di comunicare. Tuttavia questa associazione, che sbandiera posizioni piuttosto radicali, si avvale per gran parte dei suoi lavori dei finanziamenti di società quali At&t, Mci, Bell Atlantic, Ibm, Sun Microsystems, Apple o Microsoft. La spiegazione corrente sottolinea una convergenza d'interessi: ogni ostacolo alla libertà di comunicare intralcerebbe anche lo sviluppo dei mercati di queste società. Ma se certe ditte, non particolarmente note per la loro battaglia in favore della libertà di espressione sia in generale che al loro interno , possono appoggiare la lotta di Eff, è perché questa fondazione difende una "libertà di comunicare" che non valica la soglia dell'azienda.

D'altra parte, nel chiedere ai paesi del G7 di adottare come principio fondamentale la tutela della libera circolazione delle informazioni sulle reti elettroniche, la Eff non fa alcuna distinzione fra aziende e individui. Mancanza di immaginazione, ingenuità oppure autocensura? Poco importa per le lobby industriali. La dichiarazione che tre di esse che finanziano la Eff rivolgono allo stesso G7, è priva di falsi pudori; "Le leggi di certi paesi relative alla protezione dei dati vietano o restringono la trasmissione d'informazioni personali oltre le frontiere. Tuttavia, a patto che siano stati predisposti i necessari limiti, le restrizioni in nome della tutela della vita privata non devono costituire un ostacolo al diritto degli affari (legitimate business) di svolgersi mediante gli strumenti elettronici sia all'interno che oltre le frontiere (7)". Il campo rimane quindi libero per un'offensiva ideologica volta ad attribuire alle aziende il fascino di una cittadinanza finora riservata alle persone. Del resto, di fronte a uno stato dalle mire liberticide, aziende e cittadini non condividono forse obbiettivi comuni? Di questo passo, si arriva a sfiorare un discorso anarco-liberale. E molte delle idee che fluttuano nello "spirito Internet" sono sufficientemente vaghe da essere perfettamente reversibili. La destra americana, che ha perfettamente capito, si dice sicura di cementarle. "Meno stato, più libertà", questa la parola d'ordine del Cato Institute, uno dei laboratori di idee (think tank) che alimentano la riflessione politica negli Stati uniti (8). Questo istituto di ricerca, che coniuga posizioni aperte sulle questioni sociali con un ultraliberalismo devastante sulle questioni economiche, naviga agevolmente nelle acque dello spirito Internet. Esso fa sua la rivendicazione della Eff di estendere il primo emendamento a tutti i mezzi di comunicazione, ma ricollocandolo nella prospettiva di una deregolamentazione totale. Quanto a garantire "l'accesso a tutti", la miopia di alcuni "internauti" lascia qui il posto a un discorso elaborato.

All'amministrazione democratica, che invoca la necessità di una regolamentazione volta a garantire un minimo di uguaglianza, il Cato Institute replica: "Il vice presidente Gore reclama un accesso garantito ai servizi, il che significa che i fornitori saranno costretti a offrire servizi gratuiti a certi clienti.

Nei fatti, gli individui hanno già un accesso garantito a qualunque servizio disponibile sul mercato, fin che essi pagano per ottenerlo (9)". Secondo il Cato Institute, converrebbe sostituire il diritto commerciale comune a tutte le disposizioni che regolano la comunicazione. Un'idea che è stata ripresa al volo da un altro think tank, la Progress and Freedom Foundation (Pff) vicina a Newton Gingrich, presidente della Camera dei rappresentanti che reclama lo scioglimento della Federal Communications Commission (un organismo che corrisponderebbe in Francia a una combinazione tra il Consiglio superiore dell'audiovisivo e la direzione generale delle poste e telecomunicazioni). "Un po' di materiale informatico e molta deregolamentazione": alle generazioni future non resterebbe che ispirarsi all'eroe del cyber-western celebrato dai teorici della Pff: "Il pirata informatico (hacker) ha ignorato tutte le pressioni sociali e violato tutte le regole per sviluppare competenze grazie al suo rapporto intenso e precoce con un'informatica onnipresente e a buon mercato (10)". Gli stessi autori ultraliberali definiscono le scuole delle "istituzioni di massa" ereditate da un'era industriale ormai superata. La glorificazione del pirata, "vitale per la crescita economica e la supremazia commerciale" non annuncia quindi un appello generale all'insubordinazione, bensì delle opzioni piuttosto preoccupanti di politica educativa.

In queste condizioni, dobbiamo spedire Internet al rogo? Questa domanda sembrerà fuori posto alle migliaia di utenti che difendono, su Internet e ovunque, le libertà democratiche quotidiane. Come riassume l'universitario Jon Wiener: "Internet rende disponibili immense risorse di informazioni su una scala che non ha precedenti. Agevola le comunicazioni dirette, e questo potrebbe rafforzare la democrazia. Ed è anche un piacere. Ma non è un nuovo mondo di libertà, sostanzialmente diverso dal nostro in termini di libertà di parola e di censura, di calunnia e di diffamazione, di gerarchia sociale e sessuale, per non parlare della pubblicità e del commercio [...]. La realtà virtuale non si è affrancata dai limiti della vita reale (11)". Possiamo dispiacerci che Internet sia lo specchio delle nostre società non egualitarie, deplorare che i dibattiti di questo fine secolo lascino la loro impronta sulle idee che li attraversano ben più che non viceversa. Ma possiamo anche rallegrarcene, perché l'immersione di Internet nel mondo reale significa che il corpo sociale ha presa su di esso.

 

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(1) Carlos Alberto Afonso, "Al servizio della società civile", e Roberto Bissio, "Ciberspazio e democrazia", le Monde diplomatique/il manifesto, luglio 1994.

 

(2) John Perry Barlow, "Howdy Neighbours", The Guardian, 25 luglio 1995.

 

(3) Si legga Andrew L. Shapiro, "Street Corners in Cyberspace", The Nation, New York, 3 luglio 1995.

 

(4) Christian Huitema, "Un Franēais à la tāte d'Internet", Internet Reporter, maggio 1995.

 

(5) Ibidem.

 

(6) Creata da J.P. Barlow e Mitch Kapor, cofondatore multimilionario della societa di sviluppo del software Lotus. Si legga Yves Eudes, "L'odissea dei pirati nella giungla Internet", le Monde diplomatique/Il manifesto, giugno 1995.

 

(7) Eurobit-ITT-Jeida, Global Information Infrastructure. Tripartite Preparatory Meeting, 26/27 gennaio 1995.

 

(8) Si legga Serge Halimi, "Dove nascono le idee della destra americana", le Monde diplomatique/il manifesto, maggio 1995.

 

(9) The Cato Handbook for Congress, Cato Institute, Washington, 1995.

 

(10) Esther Dyson, George Gilder, George Keyworth e Alvin Toffler, The Cyberspace and the American Dream: A Magna Carta for the Knowledge, Progress for Freedom Foundation, Washington, 22 agosto 1994.

 

(11) Jon Wiener, "Free Speech on the Internet", The Nation, 13 giugno 1994.

 

(Traduzione di M.G.G.)

(Ndr: Ripreso nel novembre 1995 dal Manifesto)







questo articolo è tratto da un elenco di documenti riguardanti i "neoconservatori" o "neocon" americani presenti sul sito di Fisica/Mente. Non rispecchia quindi necessariamente l'opinione del curatore del sito Kelebek. Fare clic qui per la pagina principale di questa parte del sito, dedicata ai neoconservatori.




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